L’industria dei videogioco negli anni ha visto una crescita di pubblico impressionante ed è ormai diventata la prima nel settore dell’intrattenimento per giro d’affari. Eppure nell’ultimo anno e mezzo abbiamo assistito a una quantità di licenziamenti massivi che suggeriscono uno stato di salute economica molto meno roseo, sorvolando sulle modalità dei suddetti licenziamenti, spesso al limite dell’illecito. Ha fatto scalpore la notizia di pochi giorni fa del CEO di Embracer Group, holding proprietaria di diversi publisher come THQ Nordic e studi di sviluppo tra cui Gearbox Software e l’italiana Milestone, che paventa la possibilità di un aumento ulteriore del prezzo dei videogiochi rispetto ai canonici 70$. Sacrilegio! Ma se fosse davvero una soluzione?
In realtà nell’intervista per GamesIndustry Lars Wingefors approfondisce i problemi produttivi odierni del settore e dice diverse cose interessanti. Si parla soprattutto di Dead Island 2 e Alone in the Dark, due prodotti di punta per vari aspetti simili pubblicati dal marchio nello scorso anno fiscale con risultati economici molto diversi. Stando alla parole di Wingefors il tempo e il denaro che i giocatori destinano ai videogiochi, in particolare alle nuove uscite, è relativamente poco, e solo i prodotti che eccellono davvero nel genere di appartenenza o che riescono a distinguersi in qualche modo particolare ottengono l’attenzione del pubblico.
Lo stesso Wingefors sottolinea poi come Dead Island 2 sia stato economicamente aiutato dall’inclusione in Xbox Game Pass
INFLAZIONE, VENDITE E GUADAGNI NEL MONDO DEI VIDEOGIOCHI
Il CEO di Embracer spiega come l’inflazione abbia colpito inevitabilmente anche lo sviluppo videoludico, aumentando i costi, mentre i prezzi mediamente sono rimasti invariati da tanti anni. Al tempo stesso i consumatori oggi hanno molta più scelta che in passato e contemporaneamente tendono a prediligere IP note a cui sono affezionati. Solo a questo punto, in risposta a una domanda dell’intervistatore, Wingefors si lancia nella frase che è stata rimbalzata da tutte le testate del mondo. I prezzi si potrebbero effettivamente provare ad alzare, sostiene il CEO, ma nessuno lo ha ancora fatto; i giocatori sarebbero disposti a pagare di più per un gioco che offre 100 o 150 ore di contenuti ben realizzati e con un tipo di esperienza unico? Se lo fossero, avrebbero potenzialmente più prodotti in arrivo sul mercato, sempre secondo l’intervistato. Abbastanza in linea con quanto sostenuto diversi anni fa da Shawn Layden, ex dirigente di Sony, cioè che lo sviluppo di tripla A a queste cifre e questi prezzi non è sostenibile.
Noi videogiocatori saremmo disposti a spendere 100€ per il nuovo Zelda? Per GTA VI? Per The Last of Us 3? Io penso che la risposta tendenzialmente sia sì, forse per titoli così attesi e rilevanti anche di più, o almeno che il numero di copie che rimarrebbero sugli scaffali a causa del rialzo varrebbero meno del surplus di ricavi dato dall’aumento di prezzo. Il punto è che i titoli che ho citato sono parte di franchise estremamente affermati, realizzati da team di sviluppo per cui il pubblico nutre enorme fiducia. Ad esempio nel caso di Dead Island 2 è lecito chiedersi quante di quelle tre milioni di unità vendute avrebbe perso se lanciato sul mercato a un prezzo di cento o più eurodollari.
IL VALORE PERCEPITIO
Siamo chiaramente nell’ambito delle supposizioni che lasciano il tempo che trovano, ma secondo me l’aspetto davvero interessante di questo discorso è proprio sul valore di un videogioco. Tre anni fa in un mio articolo piuttosto acerbo scrivevo che Metroid Dread non valeva 60€. Oggi la trovo un’affermazione forte e piuttosto provocatoria, ma non del tutto insensata. Metroid Dread vale quanto Tears of the Kingdom?
Il valore di un videogioco ovviamente non è quantificabile. Non esistono dati oggettivi su cui basare un giudizio del genere. Nemmeno conoscere esattamente i costi produttivi di un prodotto basterebbe a stabilirne il valore. Si possono investire cento milioni sulla produzione di un videogioco e ottenere risultati estremamente diversi. Un buon management, una buona idea di base, dei professionisti bravi, ben organizzati e affiatati possono tirar fuori da quei cento milioni un gioco eccezionale. Dall’altro lato può andare tutto storto, il denaro si può spendere in modo totalmente casuale e arrivare a produrre un obbrobrio senza capo né coda. Con ovviamente tutta una serie di sfumature tra i due estremi.
Un buon management, una buona idea di base, dei professionisti bravi, ben organizzati e affiatati possono tirar fuori da quei cento milioni un gioco eccezionale
Ecco, io penso che il vero problema dell’industria attuale sia il valore che dà ai suoi prodotti. Da un lato abbiamo i servizi in abbonamento, su tutti il Game Pass di Microsoft, che inevitabilmente danno ai giocatori la percezione di poter fruire tantissimi giochi spendendo poco, quindi svalutandoli. Dall’altro i giochi sempre più grandi e i publisher che vogliono aumentare i prezzi. Penso bisognerebbe smetterla di inseguire le ipotetiche galline dalle uova d’oro (l’open world gigantesco che vende trenta milioni di copie, il game as a service che continua a fruttare per otto anni) e variegare il tipo di prodotti su cui si investe. E, cosa più importante, variegare anche i prezzi di conseguenza di un qualunque videogioco. A quel punto quando nell’arco di un anno i vari publisher spalmano prodotti di vario tipo e dimensioni su un’ampia scala di prezzi, allora sì che – forse – mettere sul mercato un grosso open world ben confezionato a un prezzo che supera i 70-80€/$ può diventare una strategia sensata.