Ci interroghiamo da decenni sulla possibilità che i videogiochi siano o meno opere d’arte, anni e anni di elucubrazioni, veri e propri trattati, libri a tema e via discorrendo, senza dimenticare i milioni di messaggi scambiati sui forum di tutto il mondo. Così tanto tempo a discutere di un argomento tutto sommato trascurabile che abbiamo evitato di porgerci una domanda decisamente più importante: può un’opera d’arte diventare un videogioco?
La risposta a questo interrogativo è chiaramente affermativa, e a dimostrarlo ci hanno pensato la piccolissima software house indipendente Nomada Studio e l’illustratore Conrad Roset, quest’ultimo artista di fama internazionale con base a Barcellona. L’incontro tra Adrian Cuevas e Roger Mendoza, le menti creative del team indie, e Roset ha fatto sì che il trio desse vita a GRIS, un’affascinante avventura bidimensionale che si svolge interamente tra le opere disegnate dall’artista catalano. Prima di entrare nel vivo della recensione, se volete, potete tuffarvi nel nostro let’s play con i primi 10 minuti di gioco.
CHE COLORE HA IL DOLORE?
È davvero difficile rimanere impassibili difronte alla maestosità di GRIS, dinanzi alle sofferenze di una ragazza che si rifugia in una dimensione fantastica, spesso surreale, per metabolizzare un momento durissimo della sua vita. La giovane donna che dà il nome al titolo di debutto di Nomada Studio si avventura così in un viaggio che le permetterà di osservare il mondo da una prospettiva differente. D’altronde la stessa realtà immaginaria in cui si muove Gris è in costante evoluzione, sottoposta a mutamenti continui che rappresentano la naturale conseguenza del raggiungimento di tappe fondamentali nell’assimilazione dei tormenti di questa malinconica ragazza.
in GRIS non vi è alcuno spazio per prove di abilità frustranti che portano spesso al game over
MEMENTO
Ciò non significa che non sia richiesta una certa abilità per completare al cento percento il gioco. Sì perché raggiungere i titoli di coda è decisamente facile, ma in ogni livello sono nascosti degli oggetti collezionabili accessibili solo dopo aver affrontato delle prove leggermente più articolate. Nulla di particolarmente complesso, sia chiaro, ma è comunque richiesta una relativa prontezza di riflessi unita a una certa agilità mentale per arrivare in posti apparentemente irraggiungibili. La ricerca e conseguente raccolta di questi frammenti di ricordo – o “memento” come vengono chiamati in GRIS – aumenta leggermente la longevità del gioco, inoltre contribuisce a offrire qualche informazione di contesto aggiuntiva mentre si affronta il viaggio di questa giovane ragazza.
sia la struttura ludica che il dipanarsi dell’intreccio narrativo ricordano opere del calibro di Journey o ABZÛ
RINASCITA NEL TORMENTO
La forza del titolo di debutto di Nomada Studio risiede proprio qui, nella fusione di un gameplay immediato e privo di fronzoli con una componente estetica e artistica che si incastra alla perfezione negli spazi lasciati aperti da un comparto sonoro eccezionale, il tutto per dare vita a uno strumento narrativo capace di avvolgere il fruitore dell’esperienza in un caloroso abbraccio, appassionante e coinvolgente.
la causa scatenante del dolore della giovane ragazza diventa cristallina già nelle prime battute del gioco
GRIS è un’esperienza artistica prestata al mondo dei videogiochi, ma ciò non significa che sia priva di un gameplay degno di questo nome. La struttura ludica, per quanto semplice, svolge egregiamente il suo lavoro di veicolo per un messaggio narrativo portato avanti anche e soprattutto da un comparto audiovisivo di prim’ordine, merito delle composizioni di Berlinist e dei fondali eccezionali disegnati dall’artista Conrad Roset. L’opera prima di Nomada Studio è emozionante, delicata ed elegante, una vera e propria perla nel panorama videoludico indipendente.