IL REVERB G2 HA MOLTI PUNTI A SUO FAVORE, PRIMI FRA TUTTI LA FACILITÀ D’USO E LA SUA COMODITÀ UNA VOLTA INDOSSATO
La maschera in dotazione, tuttavia, lascia abbastanza spazio per gli occhiali e per tanto, chi è miope come me, potrà tranquillamente usarli anche quando indossa il Reverb G2 (in alternativa, chi ha problemi di vista può ricorrere a un paio di lenti a contatto o a lenti correttive da applicare direttamente sul visore). La pressione sul cranio è invece mitigata dall’uso di fascette elastiche che non solo si adattano naturalmente alla rotondità della testa, ma semplificano anche la fase di indosso: non è proprio come inforcare in paio di occhiali o indossare il casco di una motocicletta, bisogna prima appoggiare il visore al volto e poi, con una mano, afferrare la fascia posteriore e tirarla verso il basso, operazione che la fascia elastica permette di compiere con rapidità e fermezza.
PUNTO TERZO, IL SENSO D’IMMERSIONE
Indossare uno di questi caschi è un po’ come mettersi la muta da sub e tuffarsi nelle profondità dell’oceano, con la differenza che non sentiremo la pressione dell’acqua su tutto il corpo e non avremo l’assillo dell’ossigeno che può finire, ma saremo (relativamente) al sicuro nella nostra cameretta, in uno spazio presumibilmente adeguato ad accogliere noi e i nostri movimenti inconsulti. I mondi che potremo visitare, immedesimandoci come se fossimo davvero lì, saranno altrettanto alieni, o forse anche di più. Anche se a fare gran parte del lavoro è la qualità della simulazione, il visore ha comunque la sua importanza, essendo l’interfaccia verso questa nuova realtà. Il Reverb G2 adotta due “lenti” da 2160×2160 pixel, questo significa che ha una risoluzione pari a quella di un monitor 4K “un po’ più wide” da 4320×2160 pixel. Sono davvero tantissimi, se pensiamo che sono attaccati ai nostri occhi e, per tanto, il cervello non riuscirà ad accorgersi dell’aliasing.
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