HP Reverb G2 – Recensione

LE DUE LENTI HANNO UNA RISOLUZIONE DA 2160×2160 E UNA REFRESH RATE DA 90 HZ: RICHIEDONO, DUNQUE, UN HARDWARE CHE RIESCA A TENERE IL PASSO

In compenso, il framerate e i fenomeni di tearing possono incidere notevolmente sull’esperienza virtuale: il Reverb G2 adotta una velocità di refresh pari a 90 Hz con tecniche di syncing, per cui la nostra unica preoccupazione sarà fornire al nostro visore dei giochi, e un hardware abbastanza potente, da gestire 90 frame per secondo a 4320×2160 pixel o, il massimo che potremo fare, sarà dimezzare il framerate a 45, con una vistosa diminuzione della fluidità e l’insorgere di effetti di motion sickness. Ma su questo ci torniamo dopo. Prima, lasciatemi finire il discorso “immersione” con la sezione audio: essere immersi in una nuova realtà non significa solo vederla, ma anche sentirla.

HP in questo caso ha adottato – in collaborazione con Valve – la medesima soluzione usata dall’Index: una coppia di altoparlanti fisicamente separata dai padiglioni auricolari, che producono il suono senza isolare completamente l’ascoltatore. A parte l’ovvio vantaggio sulla sicurezza durante l’uso, non avere le orecchie tappate da un padiglione o imbrogliate dagli auricolari aumenta sensibilmente il grado di immersione, perché il cervello non è in grado di capire che il suono è prodotto a pochi millimetri dalle orecchie, e per di più non deve subire la sensazione tattile delle cuffie, neanche il calore sui lobi.

PUNTO QUARTO: IL CONTROLLO MANUALE

Immergersi in un mondo significa anche interagirvi. Che si tratti di afferrare un oggetto inesistente, brandire un’arma virtuale o schiacciare un semplice pulsante, oltre al casco in testa dobbiamo avere anche qualcosa in mano. Il Reverb G2 segue pedissequamente le specifiche dettate da Microsoft con il suo ambiente Windows Mixed Reality e fornisce due manopole dotate di quattro pulsanti e una levetta analogica ciascuna, più altri due tasti di controllo. A vederli sembrano due coni per il gelato con una corona adornata di LED bianchi, indispensabili per il tracciamento – cioè per rilevare la loro posizione nello spazio e, quindi, quella delle nostre mani – cosa che avviene tramite quattro telecamere con sensori piazzate sul visore, due frontali e due laterali.

Esiste purtroppo un angolo cieco quando si sta in piedi e si abbassano le mani sui fianchi: in questo caso intervengono i giroscopi inseriti nei due controller, ma è facile che il gioco e/o l’app in VR “perdano” momentaneamente di vista le nostre mani, ma a tutto si fa l’abitudine. Quello che invece resta un problema reale è l’impiego di 4 batterie AA da 1,5v che, dopo poche ore di utilizzo, si scaricano e ci lasciano alla mercé di un mondo ingovernabile. Fortunatamente, si risolve con batterie ricaricabili e apposito caricabatterie. È possibile usare anche altri tipi di controller durante il gioco e, qualora fossimo disposti a spendere cifre considerevoli pur di avere il “setup virtuale perfetto”, anche quelli dell’Index di Valve (ad oggi i migliori sul mercato). In questo caso, però, dovremo procurarci anche la base per la ricezione e imparare a usare dei software realizzati da terzi (la procedura è descritta molto bene qui; a quel punto, forse si fa prima a comprare l’Index per intero.

Continua nella prossima pagina…

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