Ritmo sintetico – Morte e rinascita del Rhythm Game

UN MERCATO SATURATO IN TEMPO ZERO, CON TANTI, TROPPI CAPITOLI, TUTTI UN CHIODO SULLA BARA DEL GENERE

Ma il problema non è solo la saturazione folle e autodistruttiva di quel segmento di mercato, è proprio la contemporanea crisi d’identità del mondo della musica a trascinare il genere con sé, lentamente divorata da pirateria e avvento dello streaming, da quei “dischi che non si vendono più”, da un ricambio generazionale che stenta ad essere violento come in passato, quando i leoni giovani sbranavano il vecchio capobranco per impossessarsi del suo territorio. È MTV che punta sui reality show (o Shore) e sparisce dal canale 8 delle nostre televisioni, probabilmente perché ci eravamo stancati di aspettare che passassero i videoclip in alta rotazione, o forse di pagare per qualcosa che potevamo scaricare in 5 minuti da eMule.

Rock Band 4 era un buon titolo, ma giunto in un momento in cui il genere si era evoluto oltre.

Lo studio di Boston viene venduto ancora, costretto a licenziare parte del personale e intraprende la strada dell’indipendenza dalle major, mentre Activision cancella tutto ciò che riguarda Guitar Hero nel breve termine, fino al disastroso capitolo Live del 2015, in concomitanza con Rock Band 4, come una di quelle reunion un po’ scazzate, a maggior gloria dell’immagine, dopo che i due leader si erano presi a sputi e bestemmie anni prima. Ma a quel tempo i cocci del rhythm game erano stati già raccolti e incollati in modo astratto, creando costrutti di game design totalmente diversi dall’opera originale, plasmati da quegli indie che si nutrono dei profitti infranti delle major, riciclando senza disperdere un solo pixel nell’ambiente.

LA FORMA DEL SUONO

Sperimentare il suono, non imitarlo, dargli un senso, farlo dipendere dalle nostre azioni invece di inseguirlo, evitando la purezza di genere e cercando invece la contaminazione, come insegna il genio Tetsuya Mizuguchi nel post-Space Channel 5 con Rez e Lumines, o Japan Studio con Patapon. Opere che non funzionerebbero mai senza groove, battito cardiaco dell’organismo creativo che trasforma il pad in uno stetoscopio. È il 2012 quando Sound Shapes di Jonathan Mak e Shaw-Han Liem manda in botta il PlayStation Store facendo ascoltare alla gente cosa si può creare col ritmo: ogni cosa. Piattaforme, nemici, background, lo stesso alter ego sferico e appiccicoso mosso dal giocatore è parte del mixaggio. Nel progetto partecipano Jim Guthrie, il top DJ Deadmau5 e Beck, che esattamente a metà tra Modern Guilt (2008) e Morning Phase (Album of the Year ai Grammy del 2014) scrive e arrangia tre tracce esclusive, clamorose, mai uscite fuori dal videogioco, per dare vita a tre livelli altrettanto straordinari.

In Sound Shapes ogni elemento a schermo corrisponde a un suono. Per me fu subito amore a primo ascolto!

Un concetto di level design che cambia tutto e batte i primi 4/4 di una rivolta underground del rhythm game che ad oggi non ha ancora concluso le sue scosse di assestamento. Un club virtuale in cui i team mettono in mostra un talento capace di trascendere il medium e puntare direttamente il dito contro il mondo della musica. “Noi siamo il nuovo concetto di videoclip, la terra senza frontiere uditive dove l’ascolto si fa con tutto il corpo”. Album da giocare, suoni da vedere, immagini da toccare. L’installazione (da pochi MB) di arte moderna scolpita da Ludopium e orchestrata Juan Orjuela: Vectronom e la sua elettronica geometrica che si fa puzzle-platform, dove l’enigma è interpretare e tenere il tempo come metronomi viventi e il salto è lontano/verso un colore che rappresenta salvezza/pericolo.

In Vectronom i sensi sono talmente coordinati che dopo aver imparato bene una traccia e i movimenti, si potrebbe giocare a occhi chiusi/orecchie tappate.

Roba che funziona come un vaccino a mRNA che spiega all’organismo come sintetizzare un nuovo tipo di endorfine, per godere totalmente della sua bellezza audio-ludo-visiva attraverso la memoria muscolare. Il beat ‘em up dove il “beat” si fa ambiguo, alludendo tanto ad un gorilla mosso da una furia vendicatrice, brutale, quanto all’esibizione del Rat Pack formato da Cuzzillo-Foddy-Boch al club Ape Out. Jazz session sanguinosa e omicida che accompagna la fuga del primate trasformando ogni arto strappato, testa spaccata e mercenario buttato fuori da una finestra in una scossa di piatti, charleston, timpani, rullanti, mentre la cassa si fa sempre più frenetica, travolgente, angosciante all’avvicinarsi della via di fuga. Un’improvvisazione che è totalmente in mano al giocatore e alla sua efferatezza, il controller che diventa batteria, il battito animale che prende il sopravvento.

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