THUMPER È DIMOSTRAZIONE CHE ANCHE LA VECCHIA SCUOLA PUÒ ESSERE RINNOVATA, REGALANDO AL CONTEMPO UN PO’ DI VERTIGINE AL MERCATO

Thumper è pura rhythm violence, come due giganteschi pezzi di metallo che sbattono e risuonano nello spazio.
E non è un caso che Drool abbia sviluppato il gioco con in testa la devastante versione VR, accompagnando il lancio di Rez Infinite e anticipando Tetris Effect, Rock Band VR (che incroci costanti e affascinanti), Pistol Whip e soprattutto quello che poi è diventato il vero fenomeno del genere su visori: Beat Saber. Beat Games non ha fatto altro che assemblare il cult perfetto. Spade laser, musica dance con cassa dritta, realtà virtuale. Praticamente il Just Dance del cyberpunk, con quel layer di attività aerobica che può fare solo bene a corpo e spirito. È l’outro perfetta per un genere che si evolve insieme alla tecnologia, allontanandosi quasi istintivamente da schemi di controllo tradizionali. Da Dance Dance Revolution a Taiko no Tatsujin, da Guitar Hero a Beat Saber, saziando sempre l’atavica sete di ritmo dell’uomo, quella danza ancestrale che dalla luce calda del falò si è spostata a quella fredda degli OLED, senza però mutarne il significato.

La nuova frontiera della zumba da casa. Una volta superato l’eventuale motion sickness Beat Saber diventa un intransigente corso di aerobica jedi.
Come spesso accade la saturazione di una fetta di mercato porta al suo collasso, implodendo con un’intensità proporzionale al successo raggiunto e fertilizzando con i suoi detriti le menti di chi coglie il momento, la svolta. Il risultato di un processo durato 10 anni che ha portato ad avere innanzitutto più consapevolezza del concetto di sonoro nei videogiochi, cambiando i tempi di gioco quanto quelli narrativi e ritrovando concetti di game design in opere che mai ci saremmo sognati di definire rhythm game.
L’INFLUENZA DEI RHYTHM GAME SI ESTENDE AD ALTRI GENERI, PASSA DAGLI SCONTRI A 140 BPM DI SOON AI DUELLI DI SEKIRO
Staccate le cuffie resta solo il ronzio nei timpani, ricordo del suono che pervada tutto il corpo come il mare nella conchiglia, cassa di risonanza per esperienze che non smetteranno mai di vibrare, fonte di elettricità verso cui siamo costretti a tornare per ricaricarci, nutrendoci non dalla bocca ma dalle orecchie.