Sony ha davvero paura di Game Pass?

Interrogata dal CADE (Administrative Council for Economic Defense) brasiliano in merito all’acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft, Sony ha dichiarato che non ha paura di un Call of Duty sotto la bandiera della casa di Redmond. Ma che Game Pass stia infastidendo la zaibatsu nipponica è abbastanza chiaro.Riassunto veloce delle puntate precedenti: lo scorso gennaio Microsoft annuncia di aver avviato l’acquisizione di Activision Blizzard per circa 68 miliardi di dollari. Il mondo del gaming trema, quello della borsa impazzisce e le varie autorità mondiali a tutela della concorrenza sul mercato – quello che solitamente chiamiamo Antitrust – iniziano a chiedersi se la mossa sia legittima. A questo proposito un paio di settimane fa le autorità europee hanno convocato Sony e Nintendo, mentre lo scorso mese l’autorità britannica in materia ha aperto un’inchiesta. Ma quello che interessa davvero a noi è il procedimento avviato in Brasile. O meglio, le dichiarazioni in merito rilasciate da Sony al CADE.

IL BRAND PIÙ  TITOLATO AL MONDO

Secondo Sony nessuno può competere con Call of Duty. Al di là delle dichiarazioni a proposito della professionalità maturata dai team di sviluppo dietro la serie, il punto del discorso è questo: CoD è stato quasi sempre il titolo più venduto dell’anno nel corso dell’ultima decade, e all’interno del genere sparatutto è a mani basse il titolo che muove più milioni di copie ad ogni release. Parliamo del terzo franchise di videogiochi al mondo, davanti a Pokémon e dietro ai soli Tetris e Super Mario. Guardando i dati di vendita è chiara l’egemonia del franchise, che dall’alto dei suoi oltre 400 milioni di copie vendute complessivamente guarda con distacco i competitor – Halo si ferma a “soli” 81 milioni di copie. Si potrebbe a questo punto obiettare che CoD è multipiattaforma, mentre Halo è un’esclusiva Microsoft. Disponibile anche su PC, certo, ma nei primi anni con un certo ritardo rispetto alla release console, seguiti poi da una lunga latitanza fino al cambio di rotta dell’azienda di Redmond sul finire della scorsa generazione. È in quest’ottica che probabilmente va letta la seconda delle dichiarazioni di Sony rilevanti per questo discorso: i videogiochi in esclusiva sono uno dei parametri della competizione tra Microsoft e Sony Interactive Entertainment, ma per il momento nessuna delle due aziende è riuscita a sviluppare o ad acquisire una Proprietà Intellettuale in grado di chiudere la competizione.

Sony Game Pass

La cosa veramente incredibile è che Pokémon sia lì davanti avendo fatturato soprattutto sul segmento handheld. E con giochi tutto sommato low budget.

Manca chi sposta gli equilibri, a voler evocare un altro tormentone legato al mondo rossonero. Laddove Nintendo negli anni è riuscita a costruire in casa (o tramite le sue seconde parti) dei system seller in grado di giustificare l’acquisto delle sue macchine, i titoli più venduti su Xbox e PlayStation sono da sempre i third-party Tripla-A. Pokémon come si diceva prima è dietro di qualche milione di copie rispetto a Call of Duty, ma sono numeri registrati su basi installate più piccole. Nintendo Switch ha raggiunto qualche giorno fa i 111 milioni di pezzi, la sola PlayStation 4 a marzo di quest’anno contava circa 117 milioni di unità. La domanda, a questo punto, è questa: un Call of Duty in esclusiva potrebbe riuscire laddove nel 2017 Leonardo Bonucci aveva fallito oppure sarebbe un brutto colpo per una serie non necessariamente in salute come sembrerebbe dalle parole di Sony?

CONTI IN TASCA A CALL OF DUTY…

Il capitolo più venduto in tutta la storia di Call of Duty è Black Ops (2010), capace di sfondare le trenta milioni di copie. Da quel punto in poi la serie via via ha perso pezzi anni dopo anno, con WWII sette anni dopo fermo sotto le venti milioni di copie. Certo, complessivamente parliamo ancora di tantissimi soldi e la serie è ancora uno dei top seller annuali, ma anche il reboot di Modern Warfare datato 2019 ha impiegato un paio di mesi per generare ricavi per un miliardo di dollari, contro i 16 giorni del Modern Warfare 3 del 2011. A questo punto poi va preso in considerazione Warzone. O meglio, va preso in considerazione il fatto che ad ora i capitoli della serie usciti in epoca Warzone non hanno di certo brillato per performance al botteghino.

i capitoli della serie usciti in epoca Warzone non hanno di certo brillato per performance al botteghino

Qui i dati si fanno più incerti, perché gli unici statement ufficiali parlano di un Black Ops: Cold War capace di piazzare 5.7 milioni di copie nel primo mese di vendita e di generare ricavi per 678 milioni di dollari in sei settimane. Modern Warfare Reboot aveva però raggiunto i 600 milioni di ricavi nei suoi primi tre giorni, toccando come detto il miliardo nelle prime otto settimane. Ancora meno sappiamo di Vanguard, dove non ci sono cifre ufficiali ma solo dichiarazioni di Activision che vedono il capitolo firmato da Sledgehammer Games performare peggio di Cold War. È probabilmente presto per arrivare alla conclusione che Warzone ha messo (o comunque sta mettendo) fine all’epoca dei capitoli distribuiti con un modello più tradizionale, e da questo punto di vista la prova del 9 sarà il prossimo Modern Warfare 2. Ma quello che appare chiaro guardando i numeri è che la serie – pur mantenendosi in cima alla catena alimentare dei videogiochi più venduti – è ben lontana dalla sua età dell’oro. E i numeri ottenuti fino a questo momento tengono conto, appunto, di tutta la base installata possibile. Cosa succederebbe rinunciando a distribuire la serie su PlayStation?

Sony Game Pass

Call of Duty Ghosts a quasi 30 milioni è una roba quasi criminale, ma business is business.

Togliendo grossomodo 150 milioni di pezzi dalla potenziale base installata e la logica impone un calo fisiologico, a questo punto. Non il massimo, all’interno di un’operazione che di miliardi – questa volta di dollari – ne è costata quasi 70, e per quanto siano probabilmente le IP e i canali di vendita di King quelli su cui Microsoft pensa di recuperare l’investimento sembrerebbero soldi lasciati sul piatto senza motivo. A Redmond lo sanno, e non a caso la scorsa settimana è arrivata la conferma: Call of Duty rimarrà un titolo multipiattaforma, seguendo la stessa strategia messa in piedi dopo l’acquisizione di Minecraft.

…MA SENZA L’OSTE

Dopotutto perché privarsi degli introiti di Call of Duty sulle piattaforme della concorrenza quando comunque l’obiettivo è portare abbonati? Con un’esclusività si può dare quasi per certo un calo nei ricavi. Uscendo comunque su PS4 e PS5 le perdite sarebbero contingentate, e contemporaneamente la manovra diventerebbe marketing a costo quasi zero per Game Pass, dove il gioco sarebbe incluso automaticamente nel catalogo. Il discorso vale a maggior ragione per Warzone, scaricabile gratuitamente ma capace di generare introiti in-game. Chiaro, le transazioni su PC e Xbox porterebbero più soldi nelle casse di Microsoft, non dovendo pagare royalties a terzi come invece succede attualmente su PlayStation. Ma dovendo scegliere tra il perdere il 30% da ogni transazione e una percentuale più o meno prossima al 100% la scelta sembra abbastanza ovvia. Di più: cosa succederebbe se un domani l’abbonamento a Game Pass offrisse per tutti gli iscritti il Bundle Battle Pass di Warzone? Attualmente il bundle può essere riscattato in cambio di 2400 punti CoD (19.99€ su PlayStation Network). Meno dei 12.99€ al mese di Game Pass, se si considera che ha una durata stagionale e non mensile, ma abbastanza interessante da essere comunque un incentivo a scoprire il servizio. Magari complici anche altri benefit che potrebbero arrivare in corsa, visto che ci avviciniamo al rilascio di Overwatch 2 – anche in questo caso il modello scelto è quello del free to play con micro-transazioni – e nella cassaforte di Activision-Blizzard esiste già un abbonamento che potrebbe accorparsi a Game Pass, World of Warcraft.

Con un’esclusività si può dare quasi per certo un calo nei ricavi.

Non è un caso che Microsoft stia pungolando Sony sul tema degli abbonamenti. La settimana passata si è chiusa con le accuse da parte di Redmond nei confronti dei giapponesi di ricorrere a clausole anti-Game Pass quando Sony stipula accordi con le terze parti, mentre in parallelo ci si chiedeva come mai visto che anche la concorrenza offre un servizio sovrapponibile al Pass questo non includa dal day one le sue esclusive. Ora, è chiaro che Microsoft sa perfettamente perché questo non possa succedere. A Redmond la divisione gaming è una delle tante e i soldi veri entrano da Azure e da Office, mentre per Sony PlayStation è una delle principali fonti di introito proprio in virtù del business model che permette all’azienda di fatturare grazie alle royalties di ogni software distribuito sulla piattaforma. In più ogni first party costa a Jim Ryan una cifra attorno ai 100 milioni di dollari a fronte di un numero di copie vendute che oscilla tra i 5 e i 20 milioni a seconda del titolo. PlayStation è incastrata in questa strategia e non può al momento fare nulla per cambiarla: l’acquisizione di Bungie suggerisce sul medio periodo il tentativo di provare a costruire in house qualche Game as a Service che potrebbe effettivamente andare ad impreziosire PlayStation Plus elargendo agli abbonati qualche extra, ma quanti videogiochi hanno provato a sfidare Fortnite negli ultimi anni e sono ancora vivi per raccontarlo? Lo stesso Halo Infinite dopo una partenza incredibile è tornato quasi nel dimenticatoio.

Sony Game Pass

Halo, Call of Duty, Quake, Doom, Wolfenstein, Overwatch… Insomma, se vuoi sparare pare proprio che Game Pass stia diventando d’obbligo.

L’unica cosa davvero chiara è che le due aziende stanno giocando a braccio di ferro tra loro. Da una parte Microsoft che continua a fare carte false per far crescere Game Pass, acquisendo studi, stringendo accordi e vendendo a più riprese l’abbonamento al di sotto del suo valore nominale. Dall’altra Sony, in questo momento evidentemente un po’ succube delle mosse di Phil Spencer, che cerca di resistere il più possibile ad ogni modo sapendo che comunque prima o poi la concorrenza dovrà smettere di metter mano al portafoglio e rientrare degli investimenti.

Chiaro, questo ragionando da persone che si trovano a dover fare costantemente i conti con il denaro per arrivare alla prossima mensilità. Nel mondo in cui un’azienda può decidere di comprare il vicino di casa per 70 miliardi di dollari la nostra logica da comuni mortali ha ancora senso?

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