Tredici anni. Per qualcuno è un numero senza senso, e potrebbe significare qualunque cosa. Un matrimonio, l’apertura del mutuo, di una Partita IVA o la nascita di un figlio. Per Rockstar Games, invece, quell’anno segnò la pubblicazione di Red Dead Redemption, un esperimento che nacque dalle ceneri di Red Dead Revolver, arrivato sul mercato nel 2004. RD Revolver Raccontava la storia di un giovane cacciatore di taglie, chiamato Red Harlow, pronto a seminare panico e distruzione per vendicare l’assassinio dei suoi genitori. Un anno dopo, anche per cavalcare l’onda del successo di quest’ultimo, venne pubblicato Gun, che parlava delle vicende di Colton White.
Di tempo, da allora, n’è passato parecchio, e quel richiamo del West, utile per omaggiare Sergio Leone, ebbe un impatto deciso nei primi anni del 2000 per molti giocatori. All’epoca, infatti, ero molto piccolo e la prima volta che mi misurai con entrambe le avventure, non immaginavo che il mondo western fosse così vasto; invece, pensate un po’, lo era eccome. Anche se quei modellini sparsi per casa con cowboy in sella a mustang e indiani pronti a prendere i loro scalpi non erano così minacciosi, di fagioli ne dovevo mangiare parecchi, e non potevo basarmi su storie inventate. Quando arrivò Red Dead Redemption non me lo feci sfuggire, e all’epoca mi abbandonai totalmente alla sua meraviglia, a quel John Marston duro e deciso, diverso dall’esperienza di Red Dead Redemption II.
Avevo ancora la bavetta alla bocca ed ero sicuro, infatti, che sarebbe stata un’esperienza che avrei ricordato a lungo. Fu magia, ma non lo fu soltanto per me. Tre giorni fa, però, qualunque genere di annuncio riguardante una remastered dedicata a Red Dead Redemption, mi avrebbe fatto piacere. Poi, però, ecco l’orrenda verità: ciò che uscirà il 17 agosto su PlayStation 4 e Nintendo Switch non sarà una remastered e neppure un remake, bensì la medesima copia carbone del videogioco uscito nel 2010. A distanza di tredici anni, Rockstar Games ha dichiarato un port su uno dei suoi videogiochi di punta, che in quell’anno ebbe la capacità di presentarsi per l’occasione differenziando l’esperienza con una trama mai vista in un Grand Theft Auto o in qualunque altra sua produzione. All’epoca lo chiamavano “Il GTA ambientato nel West”, o “GTA con i cavalli”, divertendosi a nitrire per sottolineare la cosa, come se qualcuno ascoltasse davvero. Chi lo ha giocato, però, sa benissimo che non è stato soltanto questo. Fu altro, tanto altro.
I RICORDI, LA FRONTIERA, IL 2010
Facciamo un salto temporale al 2010, alla pubblicazione di Red Dead Redemption. Rockstar Games era, ma è ancora, la proverbiale gallina dalle uova d’oro. Mentre Grand Theft Auto: San Andreas rimaneva nei sogni erotici di tutti, qualcuno era sicuro che non sarebbe stato possibile replicarne il medesimo successo. Come accade sovente, però, un videogioco va vissuto. All’epoca, infatti, l’impatto di Red Dead Redemption fu tale che molti giocatori s’innamorarono delle vicende di John Marston, del suo passato da fuorilegge e del racconto sospeso fra due realtà, ripreso successivamente in Red Dead Redemption II
Chi avrebbe mai immaginato che un uomo tormentato sarebbe stato così impattante per i giocatori che arrivavano da GTA?
Red Dead Redemption è stato ambientato in un periodo storico complesso, tra un mondo nuovo ormai sempre più meccanizzato, a una frontiera che ancora non si era abituata alla civiltà. 1911. Tre anni prima dell’affondamento del Titanic, quattro anni prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, e sette anni prima della presa del Palazzo d’Inverno da parte delle truppe bolsceviche nella Russia imperiale degli Zar. Era un mondo totalmente immerso in due sentieri che però, in un modo o nell’altro, proseguivano paralleli: chi aveva vissuto il 1800, o una minima parte di esso, conosceva il West e la sua imprevedibilità, ed era abituato a cavarsela senza inventarsi metodi alternativi per guadagnare, poiché o diventavi cacciatore di taglie, o aprivi un saloon, o vendevi prodotti illegali, o ti accontentavi di essere soltanto un qualsiasi fuorilegge.
Red Dead Redemption, nel raccontare queste vicende, vinse la bellezza di ben centosei premi
C’ERA UNA VOLTA ROCKSTAR GAMES
Tempi che una volta, diciamocelo chiaro e tondo, sarebbero stati accettabili, perché tanto quel videogioco usciva, non ci pensavi più, lo giocavi e potevi considerarti contento. “Un nuovo viaggio ha inizio”, oppure “Un altro viaggio si è concluso”, e ovunque conducesse, in un modo o nell’altro, lo aveva intrapreso. C’era quel tipo di passività e te la facevi andare bene, tanto cosa poteva accadere? Alla peggio veniva rimandato, ma non è mai accaduto in Rockstar Games, anche perché, se c’è una cosa ha sempre saputo fare il team statunitense, è stato promettere la Luna e dare con quest’ultima pure Giove, Saturno e Urano. Poi è accaduto qualcosa, si è rotto l’ingranaggio che univa il raziocinio con l’empatia, e si è pensato al guadagno. Ed è giusto che questo accada: Rockstar Games è quotata in borsa, ha interessi enormi e deve seguire i suoi obiettivi.
Dopo la pubblicazione di Grand Theft Auto: The Trilogy – Definitive Edition, che avrebbe dovuto essere una grande riscoperta, è successo qualcosa. In parole povere, è accaduto che i tre videogiochi rimasterizzati per la nuova generazione non sono stati curati con adeguatezza. Tre opere uniche che, oltre a meritare un certo tipo di preservazione, necessitavano di essere trattate con rispetto. Al lancio, infatti, Grand Theft Auto: The Trilogy – Definitive Edition ricevette numerose critiche a causa del suo lato tecnico claudicante e per un’ottimizzazione grafica non all’altezza. C’è da dirlo, poiché è utile sottolinearlo: è evidente che Rockstar Games, dopo Grand Theft Auto V e Red Redemption II, abbia deciso di sedersi sugli allori e godere del suo successo. Lo farebbe chiunque, sia chiaro, ma la discesa è stata così repentina che qualcuno si è dimenticato di mettere il freno a mano. Al centro del ciclone, inoltre, ci fu Grove Street Games, che si occupò delle tre remaster non avendone, tuttavia, le capacità realizzative.
Se però un team come Rockstar Games non punta sul suo passato, concentrando le sue energie per rendere quelle esperienze di successo memorabili, perché qualcun altro incaricato della missione dovrebbe renderle tali?
QUEL TRENO, IN RITARDO, PER RED DEAD REDEMPTION
L’operazione di Red Dead Redemption, infatti, non suona come una vittoria per i giocatori. Non lo è per i possessori di una PlayStation 4, come non lo è neppure per chi possiede una PlayStation 5 o un Nintendo Switch. Perché non cito i fruitori Xbox? Semplice: la versione retrocompatibile, a sessanta fotogrammi al secondo, ce l’hanno già. Impostiamo la data della nostra DeLorean immaginaria al 2014: se anche fosse stata annunciata una conversione del prodotto per PlayStation 4 o Xbox One, nessuno ne sarebbe stato entusiasta. Chiunque avrebbe preteso una remastered. E se lo stesso fosse accaduto nel 2017 con Nintendo Switch, gli utenti della Grande N avrebbero preteso una versione rimasterizzata, proprio per godere un’esperienza meritevole.
A distanza di così tanto tempo, nell’anno del Signore 2023, ci si ritrova ad analizzare un’operazione che arriva in ritardo di nove anni. Perché il port, e di questo si parla, non è più tollerabile, come non è accettabile soltanto una remastered, anche se sarebbe stata la scelta migliore dopo il successo di Red Dead Redemption II in relazione con il mercato odierno. Come non sarebbe naturale, tuttavia, un remake: Red Dead Redemption, aggiustato come remaster, poteva essere la scelta migliora. L’altro problema scellerato, già evidenziata, è l’assenza del videogioco western su PC. E dato che il tempo è tiranno, la scelta di escludere gli utenti Master Race è come dare una caramella al gusto di fragola mentre se ne toglie una alla menta. Nel primo caso parlo di Red Dead Redemption II, che è presente nella nutrita libreria di Steam, e nel secondo caso, invece, mi riferisco alla prima iterazione del franchise, ancora una volta accantonata senza particolari motivazioni.
Si parla di cinquanta euro, un prezzo che per una conversione da una console a un’altra, è appunto fare la stessa copia carbone e accontentarsi di questo
Perché è così, chiunque lo farà e sarà comunque coinvolto totalmente all’interno del mondo di Red Dead Redemption, e il suo acquisto segnerà un altro punto per Rockstar Games, come lo è stato in passato con la discutibile e problematica remastered dei primi capitoli di Grand Theft Auto. Con queste premesse, insomma, la conversione è un’idea che premia più il guadagno totale ottenendo minimi risultati, proprio per arrivare all’obiettivo di vendere, di non puntare effettivamente sul passato come si dovrebbe e non dare ai giocatori un videogioco migliore. Nessuna versione PC significa aver perso il contatto con la realtà, specie ora che il mercato Master Race è in costante crescita, stabilizzato ed equilibrato. Oltre a essere venduto come un gioco nuovo, che è fondamentalmente ciò che Rockstar Games sta facendo passare, c’è una nuova esclusione, che di nuovo non ha nulla, in realtà. Come si fa a vendere il secondo capitolo su PC se il primo capitolo manca in un qualunque catalogo come Steam o Epic? Di nuovo, una mancanza di coerenza. Insomma, è come guardare la seconda stagione di una serie televisiva senza aver visto la prima, pensando di sapere già tutto.
A non aiutare affatto, inoltre, sono le ultime dichiarazioni di Strauss Zelnick, CEO di Take-Two, che ha considerato il prezzo “Commercialmente accurato”, con Hanne Sage, EVP Finance del colosso americano, che ha ricordato che sarà incluso nel pacchetto anche Undead Nightmare. Su Xbox, al momento, Red Dead Redemption costa 22,99 euro, un prezzo comunque abbordabile, ed è la stessa versione che Rockstar Games intende trasportare su PlayStation 4 e Nintendo Switch senza particolari aggiunte o correzioni del caso. Un porting che permette al videogioco di girare sulle specifiche console sopracitate, venduto allo stesso prezzo di Remnant II, che di aggiunte e stile ne ha portato eccome nelle ultime settimane, con Gunfire Games che ha dimostrato una personalità degna di nota in un panorama complesso e intricato, migliorando quanto aveva realizzato in passato. Prendo in esempio i creatori del franchise di Remnant perché è giusto farlo, è fondamentale scandire le parole e dire che c’è chi non si è seduto sugli allori e ha lavorato, ma ha lavorato duro, tanto, a lungo e con impegno. Vogliamo davvero accontentarci del minimo sforzo, massimo risultato? O forse meritiamo qualcosa di più?
NON CHIAMATELA PRESERVAZIONE
Considerando che la preservazione è un argomento serio, da trattare con i guanti e nel merito, è da sottolineare che il porting di un’opera non c’entra un bel niente, specie quando si parla di una conversione di questo genere. Il passato si preserva attraverso le biblioteche digitali, rendendo i videogiochi multipiattaforma su tutte le piattaforme e, soprattutto, adeguate alle console che sono uscite di recente. Non giocare Red Dead Redemption a sessanta fotogrammi al secondo su PlayStation 5, in effetti, non è un bel modo per sottolineare quanto sia fondamentale il tema della preservazione, e non va inserita in un contesto del genere.
Peccato, però, che questo precluda a molti giocatori di vivere l’esperienza al massimo delle sue potenzialità