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Deadlock

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Deadlock: quando Valve torna alla carica

Che succede quando uno shooter incontra un MOBA? Beh, se sei Gearbox, succede che un gioco pur promettente (non cesserò mai di difendere Battleborn sotto questo aspetto) fallisce malissimo perché non hai la minima idea di cosa stai facendo. Quasi un decennio dopo, però, è Valve a provarci: e già in queste prime fasi sembra che Deadlock avrà un destino ben diverso.

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A essere onesti, l’approccio che lo studio di Belleuve ha avuto con Deadlock è stato un po’ bizzarro. Inizialmente solo un gruppo ristretto poteva giocarci, solo che Valve ha deciso che questo gruppo ristretto poteva invitare altri amici, e questi amici a loro volta potevano invitare altre persone.

ASSURDO CHE UN GIOCO DI CUI NON SI POTEVA PARLARE AVESSE VENTIMILA GIOCATORI IN CONTEMPORANEA

Com’è come non è, in breve il gioco si è ritrovato ad avere ventimila giocatori in contemporanea sui server, non essendo però ancora stato ufficialmente annunciato e anzi, essendo proprio vietato parlarne a chi ci poteva giocare (mi ha fatto molto ridere la storia del giornalista di The Verge che ha detto “beh io tecnicamente non ho mai cliccato ok sull’avviso che ti chiede di non parlare del gioco, quindi posso farlo”, e poi è stato bannato dal matchmaking). Una situazione assurda, anche perché su Twitch intanto era pieno di streamer russi che se ne fregavano bellamente, che però non è fortunatamente durata a lungo: il 26 agosto Valve ha rimosso ogni restrizione ed è ora possibile parlare liberamente di Deadlock.

L’IDEA DI VALVE

Ma cosa vuol dire che Deadlock è uno shooter misto MOBA? Spieghiamolo con una rapida panoramica delle meccaniche: l’unica modalità di gioco per il momento presente vede sei contro sei giocatori, su una mappa fissa. L’impostazione è quella di uno shooter in terza persona nel quale, in maniera simile a quanto avviene per esempio su Overwatch, ciascun personaggio ha la sua arma, le sue caratteristiche, e le sue abilità. La mappa su cui le due squadre si affrontano ha invece caratteristiche tipiche dei MOBA: è divisa in quattro corsie, termine che nel gergo indica sezioni che attraversano tutta la mappa collegando le basi delle due squadre, e lungo cui a intervalli regolari squadre di minion controllati dall’IA spawneranno per affrontarsi e cercare di raggiungere la base avversaria.

GLI OBIETTIVI SONO QUELLI TIPICI DI UN QUALUNQUE MOBA

Lungo le corsie si trovano delle strutture (o, nel caso di Deadlock, delle specie di robot un po’ steampunk) che devono servire a rallentare l’avanzata nemica e fare da cardine delle difese. Dovessimo riuscire a superare tutte quelle di una certa corsia, arriveremo alla base nemica, dove ci aspetta il Patron nemico: sconfiggerlo, e vincere così la partita, è il nostro obiettivo. Altra caratteristica tipica dei MOBA che troviamo in Deadlock è l’itemizzazione: eliminando le truppe nemiche, i nemici neutrali sparsi per la mappa e ovviamente gli eroi avversari, otterremo anime che possono essere spese per acquistare oggetti che miglioreranno le statistiche del nostro eroe (danno magico, danni fisico, salute, rigenerazione, cooldown delle abilità…).

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Giocare coi bot va bene per imparare gli eroi, ma le partite vere sono tutt’altra storia!

Qui voglio soffermarmi un attimo sulle fase di laning. In genere non vado matto per gli spiegoni delle meccaniche, ma in questo caso credo che sia importante parlare di alcune scelte che Valve ha fatto per renderla più accessibile a chi ha meno familiarità con l’impostazione da MOBA. Intanto, appena iniziata la partita ci troveremo subito su una delle zipline che porta alla corsia che ci è stata assegnata; ovviamente nulla impedisce di fare a cambio con un altro giocatore, ma già così ci evita la sensazione da “dove devo andare? Cosa devo fare?” comune a chi ha appena iniziato a giocare a un MOBA. Poi: per ottenere le anime, esattamente come in Dota 2 con l’oro, dobbiamo essere noi a dare il colpo di grazia ai minion nemici. In Dota questo significa dover fare a gara con i nostri minion, ma in Deadlock non è così: quando i minion nemici rimarranno con un filo di vita smetteranno di agire e non saranno più attaccati dai nostri minion, lasciandoci quindi una breve finestra di tempo in cui potremo essere sicuri di ottenere il fatidico “last hit”.

LA MECCANICA DI DENY/LASTHIT È IMPORTANTISSIMA PER LE FASI INIZIALI DEL GIOCO

Anche in Deadlock c’è la meccanica del deny, che permette di negare parte della ricompensa ai nostri avversari, ma qui funziona un po’ diversamente: alla morte, da minion, eroi, robot eccetera spunteranno delle anime che fluttueranno in aria per qualche secondo prima di sparire, e venire incassate da chi ha ottenuto l’uccisione. Queste rappresentano una parte della ricompensa, e possono essere attaccate dagli eroi di entrambi gli schieramenti: se lo farà il legittimo proprietario metterà al sicuro le anime che gli spettano di diritto, mentre se lo faranno i nemici gli ruberanno questa esperienza bonus. Un meccanismo molto più intuitivo rispetto al deny di Dota 2, ma non per questo meno importante! Perdere troppo tempo a concentrarsi sullo sparare agli eroi lontani – i danni delle armi diminuiscono con la distanza – distogliendo quindi la vostra attenzione dal farming a lungo termine potrà finire per costarvi la lane.

Lash sarà pure un “asshole”, come lo descrive la sua bio, ma cavolo se è divertente da giocare!

Proprio la meccanica dei deny/lasthit è secondo me un buon esempio di come funzioni la fusione dei generi di Deadlock. Il gioco è, senza ombra di dubbio, un MOBA: è importante saper gestire la fase di laning, scegliere bene quando ha senso farsi un campo di neutrali per un po’ di anime bonus, tenere d’occhio la mappa per rendersi contro della posizione di eroi nemici e alleati, prestare attenzione alle nostre strutture e in particolare alla base, imparare quando possiamo permetterci di stare da soli e quando sarebbe meglio restare col gruppo, e decidere quali oggetti comprare non solo in base all’eroe che stiamo giocando ma anche a quelli che abbiamo contro (oggetti attivabili come il Debuff Remover o la Metal Skin possono salvarvi la vita). È però anche uno shooter, e chi ha una buona mira e una buona pratica con il movimento tipico degli shooter più arcade come ad esempio Apex Legends potrà fare buon uso delle sue abilità anche qui: pensate a quanto ho spiegato sopra, all’importanza di sparare alle anime fluttuanti, e capite bene che qualcuno con una mira più pronta avrà un buon vantaggio sul suo avversario (o i suoi avversari) durante la fase di laning. Oltre al fatto che, ovviamente, essere in grado di tenere costantemente il mirino sugli avversari è una buona cosa.

Eh sì: qua c’è un attimo da studiare e da imparare.

In questi giorni, devo dire di essermi divertito parecchio su Deadlock, a cui ho giocato sia per conto mio sia in compagnia. Certo, capita di trovare il match a senso unico, o quello in cui qualche giocatore decide di abbandonare dopo poco tempo; purtroppo non è nemmeno difficile capire perché qualcuno possa volerlo fare.

COME IN TUTTI I MOBA, L’ESPERIENZA PUÒ DIVENTARE FRUSTRANTE

Il gioco è pur sempre un MOBA, e quindi succede che se durante la fase di laning ti trovi a passartela male (e questo può capitare a tutti), l’esperienza diventa ben presto frustrante e recuperare non è sempre semplice, soprattutto se non si sta giocando con un team organizzato e i compagni di squadra assegnatici dal matchmaking decidono che la comunicazione non è il loro forte. Questa è, purtroppo, una conseguenza inevitabile di come funzionano le meccaniche del gioco; ma, allo stesso tempo, è evidente che Valve qua ha centrato il bersaglio. Anche se Deadlock si trova in fase beta – Valve ha chiarito che molte delle cose che vediamo sono temporanee e soggette a cambiamento, soprattutto per quanto riguarda gli asset grafici; e anche sul bilanciamento c’è da lavorare – il tutto funziona alla grande, con meccaniche che convincono, lezioni ben imparate dall’esperienza di Dota 2, e in genere una capacità di assorbirti in pieno che da un bel pezzo un gioco multiplayer competitivo non mi faceva provare così intensamente.

TREDICI ANNI DOPO

E a testimoniare che qualcosa di giusto qui dentro ci deve proprio essere ci pensano anche i numeri. Al momento della scrittura, Deadlock ha centomila giocatori connessi, con un picco massimo di centosettantamila; decisamente non pochi per un gioco che, se da un lato accedervi non è difficile – ciascun giocatore ha a disposizione un’ampia quantità di inviti – rimane pur sempre ad accesso limitato e ancora non pubblicizzato in pieno (la pagina Steam non ha nemmeno degli screenshot, per dire). Sembra quasi inevitabile pensare a quello che è successo a Concord negli stessi giorni, e cioè un fallimento per molti versi sì già annunciato, ma anche molto più grave di quello che si potesse immaginare.

TUTTO SEMBRA INDICARE CHE DEADLOCK SARÀ UN GIOCO DI CUI SENTIREMO PARLARE MOLTO IN FUTURO

Ci sono ovviamente molte differenze fra i due giochi, strutturali, di approccio al mercato e anche di background dello sviluppatore. Se da un lato è altamente probabile che ne avrebbe giovato, allo stesso tempo non è per niente assicurato che se Concord avesse adottato la stessa strategia di Deadlock (gratuità del prodotto, graduale apertura al pubblico tramite il sistema a inviti) sarebbe invece riuscito non solo a sopravvivere, ma a prosperare. È impressionante però che Valve, a tredici anni di distanza da quando aveva adottato un approccio simile con Dota 2 (anche lì sistema a inviti, ma con parecchia più pubblicità dietro), sia riuscita di nuovo a catturare il fulmine in bottiglia.

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