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World of Warcraft: tra un viaggio nuovo e l’esaltazione del fantasy – Speciale

Fino a una settimana fa, non ho mai giocato prima a World of Warcraft. È stato un momento speciale, quando ho capito che era giunto il momento di farmi avanti e provarlo, dopo averne sentito parlare bene. Era una mancanza da colmare, mi sono detto. E lo era davvero, perché da quando ho iniziato a giocare a World of Warcraft Classic, la versione presa a piene mani dal 2004, ho compreso che mi era passata davanti una storia bellissima che non avevo minimamente calcolato a dovere prima di chiedermi “Oh, ma non sarà mica il caso di giocare a World of Warcraft?” Misteri della fede. Vorrei impuntare la colpa alla mia età, ma forse sarebbe eccessivo. 

Poi ho chiacchierato con Alessandro Alosi, con qualche amico e ho descritto meglio come mi sono sentito quando ho avviato la prima partita, subito dopo aver creato il mio personaggio. Nel frattempo, anche per avere una consapevolezza maggiore di cosa avrei trattato, ho comprato due libri. Il primo è dedicato alla storia del mondo di Azeroth fino alla sua evoluzione, mentre l’altro racconta della situazione geopolitica del mondo. Intitolato “World of Warcraft: I Regni Orientali”. È stato un acquisto compulsivo giunto dopo le mie prime dieci ore sul capitolo pubblicato nel 2019, che, come ho asserito poco più sopra, è il World of Warcraft del 2004. Da quel momento, e un po’ forse grazie al mio ravvicinamento alla serie Dragon Age a seguito della recensione di The Veilguard, ho ritrovato un gusto sano, genuino e piacevole nell’avvicinarmi a qualcosa di cui avevo solamente sentito parlare.

Stormwind è veramente una delle città fantasy più belle che abbia mai visitato. Senza nulla togliere a Kirkwall, ovviamente!

Per capirci, così non rischio nulla: non ho ancora provato la versione retail. Mi sono dedicato, dunque, solamente alla Classic, che è una versione specialissima, davvero splendida, ottima e, come dicono quelli che non fanno altro che vivere questa passione con amore reale, sincero e non artificioso, infognante. È un termine che in italiano ha un suo significato speciale. World of Warcraft non fa nulla, ecco, per impedire che non sia così.

Scoprire un videogioco dopo vent’anni è possibile: Classic dà la possibilità di rivivere e vivere, in parte, qualcosa che non si è mai vissuto

Chiacchierando con amici di sempre, con persone legate al videogioco anche da prima di World of Warcraft, quando la produzione si chiamava solamente Warcraft: Humans & Orcs, ho capito che è stato un momento importante per tanti. Prima di essere uno sbarbatello (Alessandro, ndr), il nostro giocava tanto, molto, lo trovava un viaggio speciale. Immagino sia ancora così perché, quando abbiamo parlato, mi ha raccontato cosa avesse significato. E quindi, un po’ per curiosità e un po’ perché mi piace studiare, mi sono guardato un numero esagerato di video su WoW che… be’, mi hanno descritto bene le sensazioni che sto provando io mentre lo scopro, in una gilda di amici che sono i miei compagni di viaggio. Ma mentirei se non mi trovassi a mio agio in questa solitudine, cosa per cui provo un grande piacere personale, perché mi consente di zittire qualunque cosa.

DALLE PAROLE DI UN AMICO ALLE MIE CONSAPEVOLEZZE

Cogliere dalle parole di Alessandro cosa ha significato per lui Azeroth e il suo mondo è stato un po’ come chiacchierare attorno a fuoco. Come se, da quel momento in avanti, mi stesse dicendo: “Vai, Nick; ora tocca a te”. Eppure, immagino sia complesso per lui lasciare il testimone. Anzi, credo addirittura che non lo farà. E la mia speranza è che torni sul Classic, per giocarci assieme. E allora sono entrato nei gruppi, ho guardato chi c’era ancora di attivo e mi sono fatto un’idea su chi stia giocando al Classic, che è una versione incredibile in fatto di preservazione. E, nonostante io abbia detto più volte che non amo le microtransazioni, trovo comunque giustificato cosa offre l’esperienza per quanto viene pagato, ovvero il corrispettivo di un abbonamento che potrebbe essere per qualunque cosa. Se non altro, quando una settimana fa mi è venuta voglia di immergermi in questo mondo e di perdermi in esso, mi sono posto una domanda: ha davvero senso, nel 2024, giocare a World of Warcraft Classic?

La luna sopra le campagne nefaste di Westfall.

È una domanda che avrà una risposta tra qualche paragrafo. Intanto, è bene sottolinearlo: il ventesimo anniversario è attualmente in corso, con un numero generosissimo di attività e molto altro. In World of Warcraft Classic, infatti, tutto è iniziato dal 30 ottobre, con il nuovo aggiornamento. Però, ecco, è un po’ un peccato concentrarsi unicamente su cos’è uscito solo ora. Immaginate di tornare al 2004, a quando Blizzard rilasciò la beta di quello che sarebbe diventato ben più di un viaggio imperdibile per molti, sia in compagnia che in singolo. E anche se è bene giocarlo con qualcuno, esattamente come mi è capitato con Sea of Thieves, talvolta prediligo di gran lunga vivermi WoW completamente da solo. Questa solitudine è dettata da esperienze ben diverse da World of Warcraft, seppure simili.

Il ventesimo anniversario è attualmente in corso, con un numero generosissimo di attività e molto altro

Arrivo da The Elder Scrolls, da Dragon Age, da Pillars of Eternity, da Divinity, da Gothic, da una marea di altre opere che fanno del fantasy e dell’RPG il principale fulcro del viaggio, incluso il recente e amato Baldur’s Gate 3 – di cui mi mancano, lo ammetto, i primi due capitoli; senza poi citare gli Action RPG che hanno reso le mie giornate splendide, da Grim Dawn a Diablo. Con World of Warcraft Classic sono tornato, per un momento, a quando non aspettavo altro che mollare da lavoro e buttarmici a capofitto.

I TASTI DELLA DELOREAN PUNTATI AL WORLD OF WARCRAFT DEL 2004

L’ho fatto tornando al 2004, quando avevo otto anni. All’epoca, avevo fatto esperienze videoludiche diverse. Warcraft, tuttavia, c’era da un bel pezzo, proprio dal 1994. Blizzard arrivò, con il tempo, dopo tre capitoli interamente RTS, a capire che la chiave di volta poteva arrivare da un sistema diverso. Al tempo, se non altro, era una novità enorme, che poi contribuì a creare effettivamente una leggenda reale e tangibile. Il passaggio da un modo di giocare a un altro non è mai semplice: se prima la visuale era isometrica, diventava in terza persona, muovendo un personaggio creato direttamente nel menu principale. Ma, soprattutto, era completamente online, con una vasta e generosa chat posta poco sopra la barra dell’esperienza, utilissima per chiacchierare con i membri della gilda e, chissà, con altri sconosciuti provenienti da chissà dove.

Due ore di gioco. Dove vado? Cosa faccio? Ah, ecco il Lucca Comics!

C’era già un mondo forgiato, già chiaro, che nella lettura della terza parte della storia dedicata ad Azeroth, racconta di un popolo, quello degli orchi, in fuga da un mondo devastato: Draenor. Al tempo, i racconti venivano vissuti vestendo i panni sia degli uomini che degli orchi, e permettevano di entrare in contatto per la prima volta con un mondo fantasy reale e tangibile da un altro punto di vista. Venendone a conoscenza ora, a distanza di così tanto tempo, ammetto che sì, è vero: quello di Azeroth è un mondo effettivamente immenso, complesso, di un lore fantastico e delineato a dovere. La parte migliore, a mio avviso, arriva proprio quando Blizzard decide di cambiare genere, di arrivare al pubblico di appassionati con una chiave di lettura divergente e meno classica, optando per qualcosa che, diciamocelo, era avanguardistico.

C’era già un mondo forgiato, già chiaro, che nella lettura della terza parte della storia dedicata ad Azeroth, racconta di un popolo, quello degli orchi, in fuga da un mondo devastato

Un mondo completamente esplorabile, con una grande interazione e quest innumerevoli che potevano davvero, ma davvero arricchire e coinvolgere. Era il mondo a parlare al posto dei personaggi, e lo si comprendeva subito dalle strutture e dai territori, dalle creature lo ospitavano. E che lo ospitano. Tornando alla mia esperienza sull’opera, che sa trovare il collante giusto per dare il meglio di sé quando si tratta di far vivere l’avventura, mi sono ritrovato a camminare in lungo e in largo senza mai stancarmi. Missione dopo missione, sono salito di livello, e ho imparato a giocare, a capire come interfacciarmi con i nemici e, soprattutto, a non avere alcuna fretta. World of Warcraft Classic non è la versione semplificata dell’esperienza di Blizzard, ma è quella originale: è tosta, davvero tosta, e servo uno studio attento del personaggio per proseguire. Parte del coinvolgimento di cui parlo, avviene quando si tratta di dover combattere contro gli avversari, di dover grindare, di dover migliorare le statistiche e racimolare ore. Vedendo qualche video dell’esperienza retail, noto che quest’ultima è molto semplificata e adatta, in tal senso, a qualcuno che non vuole avere troppe situazioni da controllare.

Alla ricerca di bandane rosse – e altre diavolerie.

Invece, io cercavo esattamente qualcosa che mi mettesse in difficoltà. Da solo e in compagnia, sono morto una miriade di volte, cercando dove fossi morto per tornare nella mia forma corporea. Ben prima che FromSoftware inserisse l’umanità, Blizzard creava una cosa di questo tipo, facendo comprendere che esiste effettivamente un mondo ulteriore a quello tangibile. Dunque, quando si apprende che Darkwood, la foresta di Elwynn e le Westfall non sono le sole a essere presenti nel mondo di gioco, si capisce del grande mondo creato dallo studio statunitense nel corso del tempo. La versione Classic, seppure impegnativa e di certo graficamente meno attraente, ha un game design che trovo estremamente più azzeccato. La versione retail, da quanto ho visto, è nettamente più semplice, perché Blizzard voleva attirare più giocatori possibili, anche quei casual che, magari, preferiscono non stare troppo a pensare e a riflettere su come potenziare ed evolvere il personaggio.

La preservazione è davvero importante

Quando ho compiuto un atto semplice come imparare una nuova arte di combattimento, quella delle spade a due mani o della doppia lama, ho sorriso. È come viene proposto ad avermi riportato indietro nel tempo, ovvero quando Sacred – il primo, sia chiaro – riempiva le mie giornate e, inevitabilmente, le migliorava. Apprendere l’utilizzo di una nuova arma, vederla migliorare a ogni mia vittoria e sconfitta rende il tutto così ruolistico che diventa impossibile staccarsene. Complice il mondo di gioco, nonché una community che sto imparando a conoscere meglio, World of Warcraft è una costante scoperta giornaliera. E, lo ammetto senza problemi, è divenuta una fuga sana, di quelle che mettono in pausa ciò che accade fuori. Penso che Alessandro, come tanti altri che in questi anni vent’anni si sono persi nel mondo di Azeroth, abbia percepito esattamente questo quando, da sbarbato, ha ritrovato le sue fantasie esaudirsi completamente. È stato bello ascoltarlo, ed è vitale per me aver ritrovato quel genere di gioia che credevo un pochino smarrita, ma che forse era il caso di scovare con maggiore attenzione. Ha senso, dunque, giocare a World of Warcraft Classic? Sì, lo ha.

LA STORIA DI IBELIN

A sottolineare ogni mia scoperta come fosse qualcosa di straordinario, è stata la storia di Matts Steen, scomparso a causa di una malattia degenerativa ai muscoli che lo ha costretto sulla sedia a rotelle. Intanto, è stato realizzato un documentario sulla sua vita, con la partecipazione di Blizzard, che ha animato il personaggio di Ibelin assieme a tutti gli altri suoi ex compagni di gilda, divenuti per circa dieci anni i suoi unici, veri amici.

Il documentario è ora disponibile su Netflix.

Queste sono storie che, se unite alle tante presenti nel medium, riescono a far capire come World of Warcraft sia stato ben più di un ritrovo virtuale, di un videogioco o di un’esperienza fantasy da vivere sopra ogni cosa. L’esaltazione del genere arriva quando determinati valori vengono alla luce, specie se la magia riesce a fare stare bene qualcuno. Se Blizzard nel corso del tempo ha saputo attirare nuovi giocatori, a non farne andare via altri e a perseguire nel suo obiettivo, è stato grazie ai precursori come Matts, che hanno contribuito a far diventare questo videogioco uno spazio fantastico nel vero senso del termine per coloro che ne avevano bisogno.

Queste sono storie che, se unite alle tante presenti nel medium, riesce a far capire come World of Warcraft sia stato ben più di un ritrovo

Non è affatto semplice, a volte, passare a piedi nei luoghi in cui è stato pure lui; ammetto che fa senso, come se fossi osservato da mille occhi che, in passato, erano passati dai luoghi in cui io ora non solo null’altro che un viandante alla ricerca della sua strada. Un vecchio saggio disse che la Via prosegue senza fine. Spero che World of Warcraft non la perda affatto.

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