Quando mi viene data l’opportunità di recensire un titolo particolarmente complesso ho l’abitudine di prendere degli appunti, separando le osservazioni positive da quelle negative, e aggiungendo note di commento più o meno neutrali qua e là. In questi casi, prima di mettermi a stilare l’articolo, cerco di riorganizzare le idee con l’ausilio del foglio di carta che racchiude le impressioni raccolte nei giorni trascorsi in compagnia del videogioco di turno. Ecco, in questo caso il processo che ha portato alla stesura del pezzo che state leggendo è stato abbastanza travagliato: BATTLETECH mi ha messo in seria difficoltà, dal momento che – per la prima volta – mi sono ritrovato con un lungo elenco di pro e contro che, almeno numericamente, si equivalgono. Rileggendoli punto per punto mi sono tornate in mente tutte le sensazioni contrastanti provate mentre giocavo, come l’enorme soddisfazione che mi ha colto dopo aver portato a termine con successo una missione particolarmente lunga e articolata, o la rabbia di trovarsi di fronte a un titolo con così tanto potenziale piagato da un numero consistente di problemi, tecnici e non.
IL GRANDE TRADIMENTO
Ambientato nell’universo narrativo dell’omonimo gioco di ruolo cartaceo ideato negli anni Ottanta da Ross Babcock III e Jordan Weisman (quest’ultimo co-fondatore di Harebrained Schemes), BATTLETECH ci trasporta nel bel mezzo di una guerra civile combattuta dalla parte di Lady Arano, la legittima sovrana dei territori dell’Aurigan Reach, deposta al termine di un rapido colpo di stato e creduta morta per anni. Come capo di una compagnia di mercenari, a noi spetta il compito di affiancare i ribelli al fine di ripristinare il potere della casata Arano, riconquistando il Reach pianeta dopo pianeta. Quale sia il motivo della discesa in campo della banda di prezzolati tocca unicamente a noi deciderlo: sia esso l’ottenimento di una lauta ricompensa o la volontà di veder crollare un regime spietato che domina i suoi cittadini con il terrore, un profondo sistema di dialoghi permette di impostare la direzione della campagna in base alla personalità che abbiamo donato al protagonista all’inizio del gioco, stabilendone origini, tratti caratteriali e abilità marziali.
Harebrained Schemes è riuscita nell’impresa non scontata di mettere le battaglie tra mech sullo sfondo del racconto
IL COSTO DELLA GUERRA
Gestire una compagnia di mercenari, però, non è semplice: ai mechwarrior – così vengono chiamati i piloti dei battlemech – non interessa la gloria eterna, né gli importa qualcosa del destino del Reach; tutto ciò che cercano è un assegno mensile con cui rimpinguare il conto corrente. Per questo motivo parte del tempo del giocatore è speso nell’amministrazione del gruppo di militari, bilanciando attentamente le spese di manutenzione, i costi di espansione dell’Argo (la nave madre della compagnia) e gli introiti derivanti dalle missioni portate a termine nei vari angoli della galassia. Il mestiere di soldato prezzolato paga decisamente bene, a patto di essere in grado di scegliere gli incarichi più fruttuosi e di completarli senza riportare troppe ammaccature; già perché alla fine di ogni missione bisogna fare la conta dei danni e – in caso di vittorie pirriche – è altamente probabile che le spese per rimettere in sesto i mech danneggiati superino la ricompensa patteggiata con il committente. Bisogna fare particolarmente attenzione in questi casi, dal momento che terminare i fondi a disposizione implica il non poter più coprire i costi di gestione, arrivando inevitabilmente alla schermata di game over.
parte del tempo del giocatore è speso nell’amministrazione del gruppo di militari
SALVARE IL METALLO
Non ci troveremmo di fronte a un tattico a turni che si rispetti se non venisse offerta la possibilità di personalizzare i propri soldati e, in questo caso, anche i battlemech. Scontro dopo scontro, i mechwarrior che riescono a tornare sull’Argo acquisiscono punti esperienza che possono essere spesi al fine di sbloccare abilità aggiuntive sulla base delle loro specializzazioni, aumentandone la letalità nel combattimento corpo a corpo, le capacità di pilotaggio o la precisione con le armi a proiettili, a energia o di artiglieria. Inoltre, al termine di ogni battaglia è possibile raccogliere i rottami dei mech nemici per recuperare gli oggetti di equipaggiamento in buono stato, al fine di installarli sui propri mezzi. Più si combatte, maggiori sono le possibilità di ottenere armi e sistemi ausiliari rari, e più in fretta i mercenari riescono a salire di livello. Peccato che questo significhi anche che bisogna affrontare le solite missioni secondarie per espandere l’arsenale e per prepararsi al meglio in vista degli scontri più complessi.
l’opera di Harebrained Schemes è piagata da problemi tecnici che vanno ben al di là delle pessime routine dell’IA
BILE E VELENO
Durante le missioni che prevedono il supporto o la scorta di alleati viene a galla il peggio di BATTLETECH. Questi scenari si basano quasi esclusivamente sulla fortuna, poiché non si sa mai come si possa comportare l’Intelligenza Artificiale alleata. Spesso le forze amiche preferiscono prendere di mira i bersagli più corazzati, quando magari in gittata vi sono nemici più esposti o in fin di vita; altre volte si muovono esponendo il retro agli attacchi, diventando facili prede di avversari che, di contro, si comportano sempre in modo da massimizzare il risultato delle azioni. In un paio di casi, invece, è capitato che un convoglio alleato non si muovesse verso il punto di estrazione, nonostante sulla mappa non fossero più presenti nemici e la strada fosse sgombra, impedendomi di portare a termine la missione e costringendomi alla ritirata, perdendo denaro e reputazione.
BATTLETECH avrebbe immediato bisogno di alcune patch correttive
Sapete cos’è che mi infastidisce di più? La consapevolezza di avere tra le mani un prodotto che, con un po’ più di cura, avrebbe potuto rivaleggiare ad armi pari con i mostri sacri del genere. BATTLETECH può fare affidamento su un universo narrativo ormai collaudato, sull’eccellente abilità di scrittura di Harebrained Schemes e su un impianto di regole che – sulla carta – permette un grado di profondità tattica elevatissimo. Poi, però, si va a sbattere contro una struttura di gioco estremamente ripetitiva che solamente durante le missioni principali esprime appieno il suo potenziale, sempre che non ci si imbatta nelle troppe criticità che, purtroppo, affliggono il comparto tecnico. Magari ne riparliamo tra qualche mese.