Ebbene sì, cari lettori. Prima o poi sarebbe dovuto accadere. No, non ho battuto la testa e nessuno mi sta puntando una pistola alla tempia (anche se forse questo è proprio ciò che direbbe qualcuno sotto minaccia). In quest’ultimo periodo sto giochicchiando a Fortnite e devo purtroppo ammettere che – sto per dirlo – mi sto anche divertendo.
Facciamo un passo indietro e torniamo ai giorni tra marzo e aprile, più o meno, cioè quando mi venne proposto per la prima volta di scaricare il battle royale di Epic. L’opportunità si è presentata in occasione del lancio della modalità Zero Costruzioni, divenuta un’aggiunta permanente proprio nei primi giorni di primavera. È stato allora che il gruppetto di amici con cui condivido la passione per la fotografia virtuale ha deciso di lanciarsi dall’autobus e darsi battaglia sull’isola cangiante di Fortnite, tirandomi dentro senza che io opponessi tanta resistenza. Inizialmente decisi di giocare per provare a smentire (o confermare) un mio pregiudizio. In realtà avevo già giocato a Fortnite in passato, proprio all’uscita della versione free-to-play, ma quel sistema di gioco non mi prese per nulla. Anzi, in me si venne a creare una sorta di avversione fisiologica al sottogenere dei battle royale, un’antipatia di cui tra l’altro non ho mai fatto mistero.
NIENTE COSTRUZIONI: FORMULA VINCENTE?
Poi però, spinto anche dall’entusiasmo di questo nutrito gruppo di amici, ho provato a superare questa mia intolleranza e devo ammettere che il gioco – strano a dirsi – mi ha preso. Sarà che ci ho giocato (e continuo ancora oggi a giocarci) in compagnia, oppure il merito è della nuova modalità senza costruzioni, dove ci si spara e picchia come se non ci fosse un domani senza dover raccogliere risorse e costruire ripari, fatto sta che sono ormai due mesi che Fortnite è presente sulla mia PS5 e non penso di avere – ancora – intenzione di far spazio sull’SSD.
in squadra si sono venuti a creare dei team davvero affiatati
Se però il gioco in sé lo sto trovando godibile, tutto ciò che gravita attorno alle dinamiche ludiche di Fortnite mi sembra piuttosto problematico. E sto usando un eufemismo. Sì perché Epic Games ha messo in piedi un sistema predatorio che fa leva sulle debolezze dei giocatori al fine di forzarli a spendere quanti più soldi possibile.
FORTNITE E LA FOMO
Non è la prima volta che in un editoriale parlo di FOMO (fear of missing out), ossia la paura di perdersi qualcosa per strada, di non riuscire a sbloccare quel determinato costume o di non partecipare a un evento che si tiene solo in tempi e circostanze specifici. In quegli articoli confessavo di essere diventato schiavo della FOMO, ma in quest’ultimo periodo devo ammettere di aver raggiunto una sorta di pace interiore, quasi un compromesso zen, che mi ha fatto allontanare dalle logiche che stanno alla base di questi sistemi di gratificazione effimera.
Non mi interessano più le quest giornaliere, seguo i vari eventi in-game solo se mi ritrovo effettivamente ad avere il tempo per essi (tempo che peraltro scarseggia sempre di più). Niente più scalata ai livelli di un Battle Pass: non mi strappo i capelli se a fine stagione non ho raggiunto il livello 100 e non ho sbloccato quella skin bellissima che diventerà fuori moda dopo un paio di settimane. Per dire, ho lasciato a metà la stagione di Destiny 2 che si è appena conclusa per dedicarmi ad altro. È il gioco che deve piegarsi ai miei tempi e ai miei bisogni, non viceversa.
È il gioco che deve piegarsi ai miei tempi e ai miei bisogni
Ciò detto, credo sia un vero peccato perché il gioco è effettivamente godibile, ma provo profondo disgusto per la monetizzazione di Fortnite. Dal mio canto è molto probabile che continuerò a giocarci, rigorosamente con le skin base dacché di soldi a Epic non è che abbia tanta voglia di darne. E chissà che non riesca a convincere il gruppetto con cui gioco che per divertirsi non serve avere per forza la skin di Doctor Strange o l’emote del balletto del momento. Speranze vane, lo so.