Prima di passare la parola al magico Dan Hero, che ci racconta la prima parte della storia di Westwood, con Dragonstrike, Eye of the Beholder e tanti altri, vi ricordo che l’articolo è tratto da una Time Machine della nostra amata rivista (parecchi numeri fa, su TGM 368), dove gli articoli di approfondimento del nostro eroe vengono pubblicati ogni mese. Fossi in voi non me li farei mancare.È strano pensare che la passione per le arti grafiche sia al centro della genesi di Westwood Studios, una software house solitamente associata a generi cerebrali quali giochi di ruolo o strategici. Nasce tutto dall’inclinazione artistica di Louis Castle, uno studente di arte appassionato di cubismo e con un futuro apparentemente già scritto, in quel di Los Angeles. Louis desiderava diventare un architetto, ma aveva fatto i conti senza l’Apple II, una macchina che mutò fondamentalmente il suo mondo grazie alla splendida resa dei colori su schermo e alla semplicità con cui poteva trasferire le sue ispirazioni su una tavolozza digitale, uno scenario avveniristico che lo spinse a mettere da parte certezze apparentemente incrollabili per studiare la programmazione, frequentando corsi di belle arti e scienza dell’informatica presso l’università del Nevada.
Qui il destino giocò la sua seconda mano, ché a Las Vegas è un attimo: lavorando part time presso un negozio di computer chiamato Century 23, Louis entrò in contatto con un’attivissima comunità di programmatori amatoriali tra cui spiccava Brett Sperry. Entrati in contatto grazie ad amici comuni, i due trovarono un importante punto d’incontro nella bellezza della grafica digitale: Brett aveva già lavorato in passato come freelancer presso importanti realtà come la Epyx, e l’arrivo della nuova generazione di macchine a sedici bit aveva acceso in lui l’entusiasmo delle grandi occasioni, spingendolo ad varare la software house dei suoi sogni. Louis appariva dunque con il socio ideale, abile e ambizioso; tutto quello che restava da fare era trovare un nome per la nuova etichetta, e la scelta cadde sul distretto californiano di Westwood, al tempo la località più “in” della zona, dove la monumentale Hollywood incontrava le tendenze giovanili provenienti dall’Università della California di Los Angeles (UCLA) dando vita alle ultimissime mode.
Il distretto di Westwood era la località più “in” della zona, dove la monumentale Hollywood incontrava le tendenze giovanili provenienti dall’ UCLA.
Tornando a noi, i Westwood si occuparono di svecchiare la serie nella Temple of Apshai Trilogy (1985), migliorando significativamente grafica ed interfaccia. Non solo: la prima versione sfornata dal loro studio fu quella per MAC, che vantava un sistema di gioco reimmaginato in tempo reale che avrebbe mandato in pensione i classici turni con cui i Dunjonquest (tutti quei giochi scritti col motore originale di Temple of Apshai) erano da sempre conosciuti. Epyx bocciò l’idea e chiese di fare un passo indietro per tornare alle meccaniche iniziali, pensando che i giocatori non sarebbero mai stati in grado di gestire sul momento complesse scelte strategiche; dopo questa perla di saggezza, avrei pagato volentieri per vedere la faccia di Bob Lidsey di fronte al successo universale di Eye of the Beholder!
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