Phoenix Point – Recensione

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Prima di partire con la recensione vera e propria di Phoenix Point è necessaria una breve premessa. Correva l’anno 1994 quando Mythos Games e MicroProse diedero alla luce un certo UFO: Enemy Unknown, il capostipite di un franchise di successo noto con il nome di X-Com. Il suo creatore, Julian Gollop, si sarebbe allontanato dalla serie dopo pochi anni per lavorare ad altro, ma la passione per i tattici a turni lo avrebbe sempre accompagnato. Nel frattempo la saga di X-Com ha potuto contare su numerosi capitoli e spin-off lungo tutti gli anni Novanta, per poi essere accantonata per un intero decennio prima di tornare alla ribalta nel 2012 con un reboot a opera di Firaxis Games.

Il successo strepitoso – e meritatissimo – di XCOM: Enemy Unknown dimostrò che il pubblico aveva ancora fame di tattici a turni, tanto che negli anni seguenti i titoli appartenenti a questo genere si moltiplicarono. In molti hanno provato ad attaccare il trono occupato dallo studio di Sid Meier, persino lo stesso Gollop, che tornò alla ribalta con la sua Snapshot Games firmando il discreto Chaos Reborn, una sorta di gioco di ruolo dal forte ascendente tattico a tema fantasy. Lo scettro rimase però saldamente nelle mani di Firaxis, che ribadì l’assoluto dominio qualche anno più tardi con XCOM 2 e la successiva espansione War of the Chosen. Ora Julian Gollop ha però deciso di tornare alle origini, con un tattico a turni fantascientifico che vuole percorrere la stessa strada battuta da quell’UFO classe 1994, senza però rinunciare al giusto quantitativo di novità e innovazioni in grado di trasporre la formula classica in un genere dominato dalle produzioni di Firaxis Games. Ci sarà riuscito?

TERRORE DAL PROFONDO

Al contrario di quanto avviene di solito, questa volta la minaccia ai danni dell’umanità proviene sì dalle profondità, ma non del cosmo bensì da quelle marine. Un agente patogeno di natura sconosciuta, il cosiddetto Pandoravirus, ha iniziato ad attaccare le creature acquatiche generando aberrazioni mostruose. Ovviamente il virus non si è fermato a infettare i soli pesci e granchi, no, ben presto anche gli esseri umani hanno iniziato a subire gli effetti del contagio mutando in ibridi raccapriccianti il cui unico scopo di vita è diventato quello di trasformare l’intera popolazione terrestre in creature infette dal Pandoravirus. Inutile dire che la successiva pandemia ha messo in ginocchio la civiltà umana, gli stati sono crollati, le organizzazioni sovranazionali scomparse: al loro posto sono sorte tre fazioni ben distinte e con valori diametralmente opposti.
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Un agente patogeno di natura sconosciuta, il cosiddetto Pandoravirus, ha iniziato ad attaccare le creature acquatiche generando aberrazioni mostruose

Da una parte abbiamo New Jericho, la classica fazione fortemente militarista che cerca di debellare completamente il virus e le creature mutate per ristabilire il vecchio ordine mondiale. In completa antitesi, poi, troviamo i Discepoli di Anu: si tratta di un vero e proprio culto religioso che idolatra il Pandoravirus con l’intenzione di controllarlo e piegarlo al volere dell’umanità, tant’è vero che spesso i seguaci di Anu sono geneticamente modificati e condividono molte caratteristiche con gli infetti. Infine, Synedrion si pone esattamente nel mezzo: con una struttura socio-politica che ricorda le antiche democrazie elleniche. Per Synedrion la libertà individuale è sacra, e dunque alla luce di questo concetto non stupisce che sia la fazione neutrale per antonomasia, nonché quella con il maggior numero di scienziati al suo interno. A queste tre bisogna però aggiungerne anche un’altra: Phoenix Point, un’organizzazione segreta sovranazionale che ha lo scopo di proteggere l’umanità dalle minacce più disparate. Come capo di Phoenix Point, starà al giocatore guidare gli sforzi della razza umana nel debellare il Pandoravirus, cercando al contempo di tenere a bada le altre tre fazioni che non esiteranno a darsi battaglia tra loro.

NEMICO SCONOSCIUTO

Ogni campagna si divide così in due parti che si avvicendano spesso durante tutto il corso di una partita, che può durare dalle venti alle trenta ore a seconda del proprio stile di gioco. Prima di tutto ci troviamo a gestire le varie basi del programma Phoenix Point disseminate lungo tutto il globo, costruendo strutture per la ricerca di nuovo equipaggiamento e per le autopsie dei nemici, realizzando fabbriche per la creazione di armi, armature e veicoli, centri adibiti alla produzione di cibo in grado di sostenere i soldati sotto il nostro comando, senza dimenticare di instaurare collegamenti satellitari per tenere sotto controllo lo stato della Terra e dunque l’eventuale espansione della Bruma, come viene chiamata la nebbia marina che gradualmente cerca di avviluppare la terraferma trasportando il virus. Dalla schermata planetaria abbiamo quindi la possibilità di spostare i vari velivoli contenenti le diverse squadre armate per intrattenere rapporti commerciali e diplomatici con gli insediamenti delle altre fazioni, esplorare le rovine della civiltà umana alla ricerca di provviste, senza ovviamente dimenticarsi di rispondere alle richieste di soccorso, assaltare direttamente i nidi delle creature mutate dal Pandoravirus, oppure dare il via alle diverse missioni propedeutiche all’avanzamento della trama principale.
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rimanere a secco di volontà può far sì che i membri della squadra entrino in uno stato di panico e non rispondano più ai nostri comandi

Le missioni a terra si svolgono attraverso il classico sistema a turni che ci permette di gestire direttamente i movimenti e le azioni di un massimo di otto soldati. Ogni membro del team è dotato di quattro punti azione che possono essere spesi nei modi più disparati: muoversi di una quantitativo di caselle pari alla velocità del personaggio di turno costa un punto, sparare ha un costo variabile che dipende dalla tipologia di arma impugnata (le armi leggere richiedono meno punti azioni di quelle pesanti e viceversa), così come è variabile anche il costo di messa in guardia un soldato affinché sia pronto a reagire quando un nemico si muove all’interno del suo campo visivo. Ciascun membro del team è poi dotato di una seconda risorsa che governa l’utilizzo delle abilità speciali: si tratta dei punti volontà. Questi devono essere spesi con parsimonia dal momento che non si ricaricano dopo ogni turno come i punti azione, bensì vengono acquisiti dopo aver eliminato un nemico e persi dopo che un avversario ha ucciso un alleato. Inoltre, rimanere a secco di volontà può far sì che i membri della squadra entrino in uno stato di panico e non rispondano più ai nostri comandi. L’impiego delle abilità speciali diventa quindi un’arma a doppio taglio per controbilanciarne la potenza. Si parla pur sempre di azioni come movimenti gratuiti o aumento di precisione per un turno, addirittura una classe speciale può usare i punti volontà per prendere il controllo di un’unità nemica. Ovviamente queste abilità non sono immediatamente disponibili, ma vengono sbloccate a mano a mano che i soldati alleati acquisiscono esperienza e salgono di livello, diventando sempre più potenti.

APOCALISSE

Quanto avete appena letto lascerebbe intendere di trovarsi al cospetto di un tattico a turni piuttosto sfaccettato che può contare su una discreta profondità strategica. Sulla carta sarebbe anche così, peccato che Phoenix Point soffra di una quantità di problemi in grado di compromettere le fondamenta stesse su cui si basa la formula ludica. I combattimenti tattici sono spesso sbilanciati nella misura in cui all’utente non vengono mai fornite tutte le informazioni necessarie affinché possa pianificare una strategia efficace. Basti pensare che Phoenix Point non espone mai la percentuale di riuscita di un’azione di tiro: al suo posto troviamo la barra di salute del nemico preso di mira che da rossa diventa più o meno bianca in base alla possibilità di portare a segno il colpo. Ovviamente non si sa mai a quanto corrisponda in percentuale una determinata sfumatura, sappiamo solo che il rosso pieno significa che è impossibile colpire mentre il bianco pieno indica un successo assicurato. Da notare, inoltre, che quando si muove un’unità viene segnalato se nella casella di destinazione avrà o meno una linea di vista verso un determinato nemico, tuttavia non si sa mai se questa visuale sia pulita. Il risultato è che spesso si ha sì un tiro verso un infetto o un avversario umano, ma magari ci si ritrova con un albero o un muro che ne ostruisce parzialmente la visuale, riducendo drasticamente la possibilità di portare a segno l’attacco. Questo, unito al fatto che non esistono le percentuali, rende il combattimento estremamente tedioso dal momento che ogni tiro, anche quello apparentemente più immediato, deve essere portato a compimento attraverso il sistema di mira manuale.
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I combattimenti tattici sono spesso sbilanciati

Già perché Phoenix Point introduce la possibilità di mirare manualmente e bersagliare le diverse parti del corpo dei nemici, affiancandola alla modalità classica che lascia al computer l’opportunità di stabilire il punto in cui provare a colpire il nemico di turno, solitamente al torso. Si tratta di una novità in teoria molto interessante dal momento che mettere fuori uso un braccio o una gamba ha degli effetti tangibili sulle capacità belliche degli avversari, riducendone la mira o la distanza di movimento per esempio, ma che allunga a dismisura i tempi di combattimento arrivando a stufare presto. Anche perché le missioni sono tutte, sistematicamente troppo simili tra loro. La creazione procedurale dei livelli fa sì che ogni nuova location sia sostanzialmente identica alle precedenti, apportando modifiche infinitesimali alla disposizione delle coperture. Persino gli obiettivi delle missioni si contano sulle dita di una mano: per la maggior parte del tempo saremo impegnati a difendere delle casse di rifornimenti dagli infetti, oppure a cercare di sopravvivere per tre turni a un’imboscata notturna. Tutto questo mentre i nemici rimarranno tutto sommato invariati e la difficoltà generale si attesta su un livello estremamente basso.

TUTORI DELL’ORDINE

Poi improvvisamente tutto cambia: da un momento all’altro la quantità di nemici in ogni missione cresce a dismisura, le stesse creature di base diventano estremamente più coriacee e letali, arrivando addirittura a uccidere le unità alleate con un colpo solo, entrano in gioco le Sirene che senza penalità alcuna prendono il controllo dei membri del nostro team da una distanza siderale, persino senza linea di vista diretta. E poi c’è lei, l’abilità più simpatica e – perdonate il francesismo – più stronza di tutte le abilità stronze: il fuoco di risposta. Da un certo momento in poi quasi tutte le unità nemiche guadagnano la capacità di sparare immediatamente dopo essere state bersagliate da un attacco della squadra sotto il nostro controllo: ciò significa che nel malaugurato caso in cui non si riesca a mettere KO una creatura Pandora con un colpo, e il nostro attaccante si trovi entro la gittata dell’arma nemica, l’avversario effettuerà subito un attacco di risposta senza nessuna penalità che ha – per mia esperienza – il 100% di possibilità di colpire e provoca danni pieni. Volete sapere come ho aggirato questa situazione tanto assurda? Con squadre di cinque o sette cecchini, a seconda della capacità del velivolo da trasporto, e un assaltatore che funga da spotter. In sostanza la sola presenza di questa fantastica regola ha limitato il numero di strategie vincenti alla fenomenale cifra di uno, restringendo al massimo la profondità tattica offerta dal gioco e rendendo ancora più piatto ogni scontro. Ciò significa tante cose: prima di tutto che giocare in maniera aggressiva non è possibile, in secondo luogo che tutte le varie classi al di fuori dei cecchini e degli assaltatori sono completamente inutili, e per finire l’unico modo che ha il gioco di mettere i bastoni tra le ruote all’utente è piegare le regole per essere quanto più scorretto possibile. Ne consegue che il fallimento di una missione non è quasi mai colpa del giocatore, rendendo tutta l’esperienza ludica complessivamente frustrante. Ammetto che se non avessi dovuto finirlo per scrivere questa recensione, avrei abbandonato Phoenix Point al primo segno di scorrettezza.
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il fallimento di una missione non è quasi mai colpa del giocatore

E ovviamente in tutto questo non ho citato i tantissimi bug che caratterizzano l’ultima fatica di Snapshot Games. Va detto che i più gravi sono stati quasi tutti risolti in queste prime settimane, ma resta la possibilità che il gioco crashi improvvisamente, mentre permane un problema che fa sì che i nemici possano sparare ai soldati alleati senza linea di vista, aggiungendo ulteriore danno alla beffa. In linea di massima, il team di sviluppo avrebbe forse avuto bisogno di più tempo per raccogliere i feedback della community e aggiustare il tiro dal momento che attualmente Phoenix Point sembra più un videogioco nelle prime fasi di un Early Access che un titolo pronto per il mercato. È tuttavia indubbio che ci sia del buono nella formula ideata da Julian Gollop, e non nego che quando funziona riesca a dare più di qualche soddisfazione, ma tutto il potenziale viene sommerso da una mole incredibile di criticità che non fanno altro che smorzarne l’efficacia e rendere quantomai frustrante l’esperienza complessiva.

Phoenix Point non è che l’ombra di uno dei primi tattici a turni di Julian Gollop. Il ritorno alle origini del papà di X-Com si presenta con tante buone intenzioni e premesse che però non trovano riscontro nel prodotto finale. L’ultima fatica di Snapshot Games è dunque un videogioco pieno zeppo di problemi (tecnici e non) che potrebbe essere adatto soltanto ai fan irriducibili di Gollop. Per tutti gli altri, le alternative per fortuna non mancano.

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Pro

  • Buona l’idea delle tre fazioni umane.
  • La mira libera è una novità gradita.
  • Il design dei nemici stupisce in positivo.

Contro

  • La profondità tattica e strategica scarseggia.
  • Ancora tanti problemi tecnici.
  • È un gioco estremamente scorretto.
6

Sufficiente

Le leggende narrano che a Potenza ci sia un antro dentro al quale vive una misteriosa creatura chiamata Alteridan. In realtà è solo il nostro Daniele, che alterna stati diurni di brillantezza ad altri notturni dove i suoi amici non hanno ancora capito che non conviene fargli assumere troppo alcol.

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