Neo 2D: il Rinascimento delle due dimensioni – Speciale

HI-RES PIXEL ART: DIMENSIONE PARALLELA

E di acqua in quel bacino ne hanno sversata a tonnellate gli sviluppatori. Inutile andare in ordine cronologico di qui in avanti, meglio lasciarsi trasportare dalle correnti ludoestetiche che sgorgano senza sosta da una diga ormai ceduta. E la prima da analizzare è sicuramente quella della pixel art HD, che è tale sia quando cerca di imitare la grana grossa delle golden age 8 e 16-bit, sia quando sfrutta smaccatamente il progresso tecnologico per usare ogni millimetro degli schermi moderni, con un risultato finale elegantissimo, dettagliato, futuristico, assolutamente irraggiungibile prima d’ora.

FONDAMENTALE, PER QUESTA RINASCITA INDIE DEL 2D, L’ISPIRAZIONE AI GRANDI CLASSICI CHE PERÒ NON SCADE MAI NEL PLAGIO

Gli ingredienti sono semplici e dogmatici: l’ispirazione ai grandi classici – che diventa voglia di riadattare in modo contemporaneo titoli sacri senza sfociare mai nel plagio – l’artigianalità dell’immagine, dagli sprite ai fondali, un gameplay essenziale, pulito, a cui applicare idee più personali, intime. Giochi “facili” da programmare, economici da mantenere, venduti a prezzo budget. Questa è la dimensione parallela dove Nintendo non ha mai pensato a Super Mario 64, dove il secondo analogico è stata un’invenzione superflua e gli sviluppatori occidentali hanno rubato ogni segreto sulla modellazione del pixel ai maestri giapponesi.

neo 2D

Un’opera che a suo modo ha dato un po’ il via definitivo a questa corrente, idealmente culminata, soprattutto a livello estetico, col recente Narita Boy, è Shovel Knight. Il titolo Yacht Club Games, che racconta le gesta di un prode cavaliere errante armato di badile, è quasi un concentrato di quello che era il videogioco DOC a cavallo degli anni ’80; c’è un po’ di Castlevania, Ducktales, Super Mario Bros. 3 e Mega Man, li si riconosce nel level design, nell’estetica, nel modo di combattere, in qualche velata citazione, eppure averlo tra le mani è un’esperienza nuova, rinvigorente.

CREARE UN GIOCO BASANDOSI SOLO SULLA NOSTALGIA È PURA AUTOCOMMISERAZIONE, UN VICOLO CIECO

Ha ritmi totalmente diversi, più compassati, una fluidità capace di ammorbidire ogni partita, renderla scorrevole ed esilarante nonostante un game over gestito alla Dark Souls e una sfida generale decisamente piccante. Il suo successo indica la via a chi verrà dopo: creare un gioco basandosi solo sulla nostalgia è pura autocommiserazione, un vicolo cieco nella Storia del medium, un binario morto. Per beatificare quel tipo di opere bisogna dargli una scossa, un twist, aggiungere spezie esotiche all’aggettivo “derivativo”. Perché non tutti hanno la garra per oltrepassare il confine e rivoluzionare generi vecchi di 30/40 anni, come nel 2012 fecero Dennaton con l’ultra-violenza e la synthwave in Hotline Miami, sangue, crani fracassati, proiettili e pasticche di elettronica sciolte sotto la lingua che hanno cambiato per sempre la faccia del top-down shooter, e Phil Fish con la prospettiva in Fez. Puzzle/platform assolutamente inimitabile, unico per meccaniche ed estetica, il poligono al servizio del pixel, trasformato nella sua impalcatura per permettere alle scenografie di ruotare sul proprio asse: teatro d’avanguardia, genio puro per un capolavoro senza tempo, roba da Olimpo.

Spesso però basta avere il giusto talento e le idee chiare per inserirsi nel solco del “genere”, rivitalizzandolo di anno in anno, come una rievocazione storica che tiene attaccata la spina della tradizione, la ricetta della nonna riproposta in chiave fusion, i tortelli piacentini ma alla piastra, stile Jiaozi. E così Axiom Verge diventa il Super Metroid della Generazione Z, all’inizio suonando sopra la registrazione dell’opera di Sakamoto, a memoria, finché lo stereo comincia a glitchare, emettere suoni alieni, distorti, stridenti, mentre il gameplay viene geneticamente modificato fin nel suo codice, corrotto come la fede di chi abita la Spagna horror-fantasy di Blasphemous, dove l’immaginario cristiano viene ribaltato come una croce durante una messa nera per raccontarne il lato più folle, malato, decomposto.

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