In un gioco dove la maggior parte del tempo viene trascorso guardando due figuri che si prendono a cazzottoni, il character design di chi prende parte a questi scontri potrà forse sembrare una caratteristica secondaria. Non è però così, anzi: nei picchiaduro non va sottovalutata la quantità di impegno che va nel creare l’aspetto di ogni singolo combattente. E a riflettere sull’argomento ci aiutano i due diversi approcci di Capcom e di SNK con gli ultimi capitoli delle rispettive serie di punta: Street Fighter e The King of Fighters.
Street Fighter 6 è stato uno dei principali titoli annunciati durante questo primo quarto di 2022. Dai numerosi teaser trailer pubblicati nelle settimane scorse il picchiaduro di casa Capcom sembra puntare non solo su un rinnovato motore grafico, ma anche su nuove meccaniche ludiche finalizzate tanto alla soddisfazione di quella larga platea di giocatori esperti che si sfidano quotidianamente online quanto a una nuova generazione di giocatori che ha mai premuto correttamente la sequenza di tasti per effettuare un hadoken. In verità, questa personcina qui scrivente non vuole discutere di picchiaduro, della loro storia o della loro evoluzione in uno dei principali generi del videogioco online, ossia il buon e vecchio multigiocatore; ma vuole portare alla vostra attenzione questa immagine comica diffusa in seguito ai primi teaser trailer.
CAPCOM: LA VOLONTÀ DI INNOVARE UNA STORIA TRENTENNALE
Questo sesto capitolo sarà ambientato canonicamente dopo il terzo, quindi diversamente dai semi-prequel precedenti ambientati tra il secondo leggendario titolo e il terzo. Inoltre una mezza dozzina di nuovi personaggi riceveranno la loro introduzione in Street Fighter 6; in particolare, secondo gli stessi sviluppatori, Jamie e Luke, quest’ultimo apparso in precedenza nell’ultimo DLC del quinto capitolo, avranno il ruolo di personaggi di copertina per la nuova generazione di giocatori, come decenni prima fecero personaggi entrati nella leggenda come Ryu, Ken e Chun-Li. Questi ultimi sono rappresentati più avanti con gli anni rispetto al passato, e con un aspetto più maturo; basti pensare che al di là del meme “She took the kids, Ryu” (povero Ken), la stessa Capcom ha volto indicare come il kasaya indossato da Ryu simboleggi una sua maturazione.
Il futuro Street Fighter 6 è un esempio perfetto di come ampliare il proprio pubblico di riferimento e di catturare le nuove generazioni attraverso l’introduzione di nuovi personaggi che nell’aspetto puramente grafico rispecchiano le tendenze, le mode, e volgarmente anche i meme del momento. Niente di anomalo, abc del character design, la stessa Capcom ci provò con il terzo capitolo in maniera piuttosto fallimentare, almeno per quanto riguardava il personaggio di copertina, ossia Alex. Sì, per i titoli con una storia ventennale e trentennale è difficile introdurre nuovi personaggi che abbiano successo come quelli precedenti. Difficile vivere dietro alle leggende o peggio sostituirle.
Queste prime immagini dei nuovi personaggi di Street Fighter VI hanno suscitato diverse reazioni. No, non parlerò di Cammy con i leggings e non più con la canonica bodysuit verde; perché, può sembrare strano soprattutto ai lettori di Frequenza Critica, ho ancora quel pizzico di dignità che mi spinge a non diventare il tipico quarantenne che piange per il presunto genocidio delle rosse da parte dei nostri nuovi infiniti padroni di Amazon-Disney (anche se negli Stati Uniti si devono un po’ calmare con questa isteria puritana, arrivando a sconsigliare l’utilizzo di determinati personaggi nei tornei ufficiali o con le quotidiane tragedia su Twitter.) No, maggiormente interessante è stata la reazione del pubblico cinese e di quello giapponese al nuovo aspetto di Chun-Li, in particolare di come essa rappresenterebbe non una vera cinese, ma l’idea di cinese da parte degli occidentali e sopratutto degli statunitensi (vabbè, dato che tutto il mondo è paese, alcuni nipponici hanno criticato che questa nuova Chun-Li fosse troppo cinese). Velata critica a come Capcom volesse accontentare esclusivamente il mercato occidentale, tralasciando quello nativo; un qualcosa di comune a molte case sviluppatrici nipponiche che tentano di destreggiarsi tra il proprio pubblico e quello straniero, spesso soggetto a ondate di isteria ipocrita collettiva.
SNK: LA VOLONTÀ DI CONSERVARE UN TESORETTO TRENTENNALE
Abbandoniamo Capcom e passiamo a SNK, e al recente quindicesimo capitolo di The King of Fighters. SNK presenta condizioni diverse da Capcom, ha una storia travagliata sul piano economico tra fallimenti, acquisizioni, sfruttamento del mercato mobile e di quello dei pachinko, da una proprietà a maggioranza cinese all’ingresso preponderante dei fondi sauditi. In verità SNK è un’eccezione, perché negli anni è diventata una, se non addirittura l’unica casa videoludica, a essere amata prevalentemente da mercati non occidentali o non nipponici: non solo quello cinese, ma soprattutto quello latino-americano e panarabo. Merito del fatto che in passato gli economici e facilmente replicabili cabinati Neo-Geo fossero diffusi in tali zone del mondo, e molto più accessibili rispetto alle console della quinta generazione.
SNK HA DECISO DI DISFARSI DEI SUOI PERSONAGGI NUOVI, PUNTANDO PIUTTOSTO A VOLTI FAMILIARI CHE, PERÒ, NON SEMPRE HANNO ANCORA MOLTO DA DIRE
Un atteggiamento conservatore con risultati altalenanti, dato che i personaggi nuovi non sono riusciti a eguagliare il successo di quelli vecchi, e sì, mi domando cosa diavolo sia passato per la testa durante la creazione di Shun’ei, comprensibile l’aspetto giovanile e placido lontano dalla truzzaggine di un Kyo e K’, ma diamine le cuffie fisse! No non accetto la storia delle voci, non l’accetto davvero, quelle cuffie sono un vero e proprio pugno nell’occhio e caratterizzano negativamente il personaggio. Oh, non dico che il successo e l’insuccesso di un titolo e in particolare di un picchiaduro, genere oramai saldato con il mondo delle competizioni online, dipenda dall’aspetto narrativo e dal character design; anzi questa personcina scrivente sta parlando letteralmente di sesso degli angeli. Ma forse SNK avrebbe dovuto esagerare, fare come sta facendo Capcom (o in modo minore Netherrealm, sebbene quest’ultima abbia trasformato Mortal Kombat in un incrocio tra Super Smash Bros e Soulcalibur per quarantenni che piangono vedendo Robocop), introducendo e proteggendo i nuovi personaggi, non puntare sempre sulle stesse facce che a un certo punto non hanno più da dire. Da Ryo a Robert oramai ridotti a macchiette comiche, per non parlare di tutti i personaggi della saga NESTS, che avevano concluso la loro storia nel lontano 2001. Oramai K’ è passato da violento ragazzo ribelle con un passato oscuro e modi bruschi (sigarette a alcool inclusi) alla versione umana del compianto grumpy cat; mentre Kula da povera e innocente arma vivente con un aspetto tra il dolce e l’alieno, a una quattordicenne dalle forme da top model ventenne e il quoziente intellettivo di Ralph Winchester.
UN LIBRO SI GIUDICA DALLA COPERTINA
Essendo i videogiochi un media principalmente visivo, il character design ha un’importanza fondamentale, perché deve non solo attirare il giocatore ma deve trasmettere immediatamente gli aspetti astratti e caratteriali dello stesso personaggio e aiutare nella comprensione della storia narrata e dell’ambientazione. Preoccupazione non solo valida per le case AAA+ con la loro schiera di artisti usciti dalla Ivy League e psicologi comportamentali, ma anche per la minuscola casa indie; creare un protagonista non carismatico può diventare una delle tante cause dell’insuccesso di un titolo, creare un protagonista o anche un semplice personaggio secondario carismatico vuol dire avere un piccolo tesoretto da utilizzare nei seguiti e altri titoli. Rimanendo al genere dei picchiaduro, basti pensare a come il successo dei titoli dell’Arc System Works sia in parte dovuto anche al carisma dei suoi personaggi; o di come l’abbigliamento e i movimenti di uno Scorpion o di un Sub-Zero, o addirittura la particolare acconciatura di un Heihachi Mishima siano entrati nell’immaginario popolare. Attenzione, questo non implica esclusivamente l’aspetto concreto, ossia abbigliamento o acconciatura. I diversi titoli di una ventina o trentina di anni fa puntavano a caratterizzare i personaggi attraverso i dialoghi (e se doppiati le loro voci).
CANONI DI BELLEZZA
Chiudiamo con una piccola parentesi, che ci porta a guardare al di là dei picchiaduro. Oltre a questi ultimi, il genere videoludico maggiormente utilizzabile per comprendere il ruolo del character design è quello dei dating sims; genere particolare, e arrivato in Occidente con una quindicina di anni di ritardo grazie alla traduzione amatoriale dell’edizione per SNES del primissimo Tokimeki Memorial o quella ufficiale del primo Dōkyūsei della defunta Elf.
Le differenze tra le diverse ragazzi e ragazze devono essere immediatamente percettibilità attraverso l’aspetto fisico; mai troveremo due personaggi simili. Non solo simulatori di appuntamenti, ma anche titoli “miscellanei” basti pensare come nei Persona dell’Atlus l’abbigliamento indossato dai protagonisti o le loro azioni rispecchi il loro carattere e aiuti nello svolgimento della trama; o come nei Sakura Taisen di Sega i personaggi femminili sono letteralmente scomponibili in base all’aspetto fisico e all’abbigliamento.