Se oggi voi siete qui a leggere queste righe e io sono qui a scriverle il motivo probabilmente è riassumibile in una sola parola: FPS. Lo stesso acronimo che, durante l’adolescenza, mi ha portato ad accantonare le tanto amate console per dedicarmi a quella forma superiore di gioco che è incarnata dal PC (ok, questa è l’equivalente del rocker che cita la città in cui sta suonando, lo so), traducibile in una telecamera in prima persona con un braccio armato ben piantato al centro dello schermo. Per tutti coloro il cui anno di nascita non affonda nei meandri dello scorso millennio può sembrare strano, lo so, ma c’è stato un tempo in cui le console semplicemente non erano in grado di far girare un FPS. Sciaguratamente per SEGA e Nintendo, quel periodo è riconosciuto come l’epoca d’oro degli FPS: chi giocava col pad in quegli anni si è potuto forse consolare con alcuni dei migliori platform della storia, ma con ogni probabilità si è anche perso alcune delle annate più gloriose di The Games Machine (oltre l’attuale, ça va sans dire NdClod).
Nonostante i milioni di proiettili sparati da allora, l’infinita rifinitura a cui i ruvidi poligoni di un tempo sono stati sottoposti nel corso degli anni e l’ormai innegabile poligamia che lega il genere tanto alle console quanto al PC, gli sparatutto in prima persona occupano tuttora un posto speciale nel cuore di TGM, dei suoi lettori, ma anche dei suoi redattori. La nuova produzione libraria dell’etichetta britannica Bitmap Books, I’m Too Young to Die – The ultimate guide to first-person shooter 1992-2002, riesce dunque a sintetizzare perfettamente i due principali motivi di questo amore: noi eravamo giovani e gli FPS erano il genere più innovativo e cool della nostra adolescenza.
File 012 – I’m Too Young to Die – The ultimate guide to first-person shooter 1992-2002
Dove trovarlo: Bitmap Books
Con ormai una dozzina di numeri della Antica Libreria alle spalle più qualche speciale, non credo siate sorpresi nello scoprire che da queste parti vogliamo bene a Bitmap Books. D’altra parte il publisher londinese fa un lavoro pazzesco e quasi unico nel panorama dell’editoria videoludica sul piano della ricerca e della divulgazione. I videogiochi sono una specie a rischio, come dimostra la quotidiana sparizione di titoli anche di grande rilevanza dai database degli store digitali, e l’impegno editoriale che Bitmap Books si è assunta nel corso degli anni contribuisce alla loro conservazione e salvaguardia, quanto meno sulla carta.
ANCHE NEL CONTESTO DEI LIBRI DI ALTA QUALITÀ PUBBLICATI DA BITMAP BOOKS, I’M TOO YOUNG TO DIE SPICCA DA SUBITO GRAZIE ALL’IMPECCABILE FATTURA
Fatta questa doverosa promessa, mi lancio in una valutazione roboante: I’m Too Young to Die è il miglior libro pubblicato da Bitmap Books (quanto meno fino ad oggi). Non che le precedenti pubblicazioni fossero di qualità inferiore (ne abbiamo parlato qui, qui, qui e qui), ma nel caso di I’m Too Young To Die: The Ultimate Guide to First-Person Shooters 1992–2002 subentrano una serie di fattori che senza dubbio influiscono sulla mia valutazione: su tutti la nostalgia, ma prima ancora la confezione fisica del volume. Anche nel contesto dei libri di alta qualità pubblicati da Bitmap Books, I’m Too Young To Die spicca da subito grazie all’impeccabile fattura.
Innanzi tutto per il formato, con la sua impaginazione in orizzontale, 210mm di altezza per 297mm in larghezza, quasi un 16:9 cinematografico che esalta la frequente riproduzione a tutta pagina di screenshot. La cura per i dettagli trapela con forza nella rilegatura solida e resistente, ma abbastanza flessibile da consentire di aprire completamente a 180° il volume appiattendolo sul tavolo (supporto indispensabili visto peso e dimensioni) rendendo visibile e leggibili anche le parti della pagina più vicine al filo e alla curva. E sarebbe davvero un peccato perdersi lo splendore della stampa litografica, di qualità elevatissima, impreziosita dall’utilizzo di un particolare inchiostro Pantone che garantisce alle immagini una resa vivida e d’impatto. Tutta questa meraviglia di cellulosa è racchiusa, letteralmente, in una elegante rilegatura protetta da una sovraccoperta su cui campeggia un’aggressiva illustrazione di Ian Pestridg, artista con una ventina d’anni di esperienza nel videogioco. Il filo conduttore tra contenitore e contenuto è rappresentato dal font scelto per i testi che conferisce alle pagine un aspetto piuttosto retrò. Più in generale, l’intera impostazione grafica realizzata da Sam Dyer riporta alla mente lo stile dell’internet nel decennio che ha preceduto la fine dello scorso millennio, arco temporale scelto da BItmap per coprire nascita e apoteosi del genere.
Come racconta però John Romero nell’introduzione al volume da lui firmata, la nobile arte di sparare in prima persona ha radici ben più antiche: secondo il fondatore di id Software, fonte alquanto autorevole, l’ispirazione per Wolfenstein 3D, considerato il primo vero FPS nella forma attuale del genere, viene da un cabinato di Pac-Man presente in studio. Lasciando a Romero il compito di unire i puntini (battuta non voluta, NdClod) tra Pac-Man e il massacro di nazisti in soggettiva, il volume prosegue ponendo una serie di punti fermi definendo gli elementi fondativi del genere, contestualizzandone il periodo storico, i motivi del successo, le critiche relative alla presunta carica di violenza connessa alle sparatorie virtuali, nonché i motivi che rendono il genere degli FPS particolarmente eccitante: e non fate quella faccia, nella cameretta in cui vivevate a 16 anni di sicuro c’è ancora un qualche segno tangibile di un rage quit su un qualche mobile.
IL CORPO CENTRALE DELLE OLTRE 400 PAGINE DI CUI SI COMPONE IL VOLUME, TUTTAVIA, È OCCUPATO DA APPROFONDIMENTI PIÙ O MENO LUNGHI DEDICATI A TUTTI O QUASI I FPS PUBBLICATI TRA IL 1992 E IL 2022
Il corpo centrale delle oltre 400 pagine di cui si compone il volume, tuttavia, è occupato da approfondimenti più o meno lunghi dedicati a tutti o quasi i FPS pubblicati tra il 1992 e il 2022. Benché non ambisca a essere una catalogazione completa e rigorosa, rinunciando a trattare titoli che hanno lasciato una traccia troppo flebile del loro passaggio, I’m Too Young To Die decide di adottare un metodo di indicizzazione in fondo banale ma, all’atto pratico, incredibilmente efficace: l’elencazione cronologica delle opere, suddivise per anno e presentate in ordine sulla base della mera data di pubblicazione, relegando in fondo a ogni capitolo i giochi per cui non è stato possibile recuperare un giorno di uscita certo. Ricordavo perfettamente che SiN fosse uscito pochissimo prima di Half-Life, per l’inevitabile confronto tra le due recensioni sul numero di TGM dell’epoca… ma che Trespasser fosse uscito poco prima di questi due e non anni dopo davvero mi ha costretto a mettere in discussione lo stato dei miei ricordi.
La struttura scelta da Stuart Maine, autore del volume, funziona e, insieme allo sguardo scelto per analizzare i singoli giochi, aiuta a concentrare lo sguardo su un decennio, forse irripetibile, durante il quale i FPS hanno guidato lo sviluppo tecnico, grafico e concettuale del videogioco. Non è un caso che il volume si chiuda prima della trasformazione del genere in una struttura forse fin troppo abusata; nel mentre però si passa attraverso una serie di capostipiti tuttora insuperati e piccole meteore magari costellate di difetti che tuttavia, esaminate ora ex post, riescono a brillare per la capacità di anticipare i tempi (ricordate Requiem?!).
Non è un caso che il volume si chiuda prima della trasformazione del genere in una struttura forse fin troppo abusata