Yakuza Kiwami è l’attesa conversione per PC dell’omonimo titolo per PlayStation 4, uscito un paio d’anni or sono, a sua volta reboot/remake di un clamoroso successo di SEGA per PlayStation 2. Roba antica, quindi, pluri-riveduta e corretta per funzionare sulle macchine attuali. Questa recensione, quindi, non intende aggiungere nulla all’ottima disamina scritta a suo tempo da Mirko Marangon, ma semmai mettere in risalto i pregi e i difetti della versione per Windows.
UN BREVE RECAP
Kiryu Kazuma è un giovane talento della Yakuza, la famigerata mafia giapponese, quando si assume la responsabilità dell’omicidio di un importante capo famiglia. Bandito in modo disonorevole dall’organizzazione e accusato di tradimento, esce di galera per buona condotta dopo aver scontato una pena di dieci anni e, tornato in libertà, trova il mondo completamente cambiato: la gente si è convinta che la terra sia piatta, il suo tremebondo e titubante amico Nishiki è diventato un pericoloso capo famiglia, la sua fidanzatina dell’asilo Yumi è svanita nel nulla, dieci miliardi di Yen sono spariti dalle casse della ‘famiglia’, c’è appena stato un altro omicidio ai vertici e, fra i clan, serpeggia la lotta per la successione.
Kiryu Kazuma si assume la responsabilità dell’omicidio di un importante capo famiglia
VECCHIO MA NUOVO
Yakuza Kiwami su PC è virtualmente identico alla sua controparte per PlayStation 4. I diciotto mesi di attesa tra una versione e l’altra sembrano maggiormente motivati dalle scadenze dei contratti d’esclusiva, piuttosto che da insormontabili difficoltà tecniche nella fase di porting: le texture hanno probabilmente guadagnato in definizione e di sicuro è possibile personalizzare con maggiore cura i dettagli grafici e i filtri di abbellimento, con una ricchissima serie di opzioni grafiche che prevedono la possibilità di andare oltre il Full HD.
è possibile personalizzare con maggiore cura i dettagli grafici e i filtri di abbellimento
Yakuza Kiwami su PC segue così fedelmente la versione originale per PlayStation 4 che, giocando, ci verrà molto spesso da dubitare sulla natura della piattaforma in uso. Il gioco, dunque, è quello, con la sua improbabile sceneggiatura, i suoi personaggi così intimamente nipponici, i suoi strani rituali e i mille filmati che raccontano la storia, ma che interrompono troppo spesso l’azione. Fortunatamente, il fenomenale approccio da picchiaduro d’altri tempi rende il gioco fruibile anche per noi occidentali, oggettivamente straniti di fronte a un prototipo di camorrista così diverso da quello dipinto dalle cronache nostrane. All’inizio annoia un bel po’, ma poi il ritmo sale.