Yakuza: Like a Dragon – Recensione

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Yakuza: Like a Dragon vanta un equilibrio invidiabile, e riesce a barcamenarsi tra la serietà che il pedigree della serie esige e un pizzico di pura follia

Alla luce di quanto detto è necessaria una certa sospensione dell’incredulità per apprezzare Yakuza: Like a Dragon, così come la volontà di abbracciare il nuovo sistema di combattimento a turni, mandando in pensione le buone vecchie risse in tempo reale. Durante l’anteprima lamentavo un’antipatica facilità, ma dopo aver completato il gioco finale posso rassicurarvi anche riguardo questo aspetto, visto che Yakuza: Like a Dragon saprà garantirvi senza dubbio una buona dose di sfida.

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Dragon Kart è Mario Kart per le strade di Yokohama: non ci sono gusci blu in vista, ma non mancano missili e mitragliatrici.

Ogni quartiere di Yokohama è contraddistinto da un indice di pericolosità che determina il livello medio degli avversari che si aggirano tra i suoi vicoli, pronti a iniziare un combattimento qualora Ichiban e compagni entrassero nel loro raggio d’azione.

Dalla seconda metà del gioco i duelli con i boss si trasformeranno in brutali picchi di difficoltà

Se durante l’esplorazione è sufficiente non sconfinare nei quartieri più pericolosi, dalla seconda metà del gioco i duelli con i boss si trasformeranno in brutali picchi di difficoltà che renderanno necessaria una preparazione meticolosa per non sfociare in vere e proprie carneficine. Il grind dovrà dunque procedere di pari passo con il miglioramento dell’equipaggiamento e la creazione di un inventario ricco di oggetti curativi, anche perché se Ichiban morde la polvere è immediatamente game over, un po’ come insegna la premiata serie Persona. Per aggiungere danno alla beffa, in caso di sconfitta i soldi faticosamente accumulati verranno sadicamente dimezzati, anche se il gruzzolo potrà essere sacrificato durante una boss fight per ottenere un’altra possibilità senza dover caricare per forza l’ultimo salvataggio.

È UNO SPORCO LAVORO, MA QUALCUNO DOVRÀ PUR FARLO

Con simili penalità in ballo è un bene che la configurazione del party sia altamente flessibile grazie all’introduzione dei lavori, da alternare presso il più vicino ufficio di collocamento a partire dal quinto capitolo. In pratica combattere frutta una doppia dose di esperienza, utile per salire di livello e incrementare il rango del lavoro in uso, che permetterà di migliorare ulteriormente le caratteristiche dei personaggi e conquistare attacchi speciali legati alla professione in corso.

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Sebbene il combattimento a turni possa suggerire un’azione tutto sommato sedata, frequenti cutscene donano agli scontri coi boss la giusta teatralità.

Ognuno dei sei protagonisti (ce n’è un settimo in realtà, riscattabile portando a termine con successo uno dei sottogiochi) parte con una professione tutta sua, ma altre si renderanno disponibili col tempo, raggiungendo determinati livelli e approfondendo il legame con i compagni di squadra. Tirando le somme, tutto l’arsenale di un gioco di ruolo tradizionale è presente all’appello, dalle alterazioni di stato al puro danno fisico, solo inquadrato in un contesto urbano in maniera non dissimile da quanto abbiamo apprezzato in passato nel classico Mother di Nintendo o nella (purtroppo sottovalutata) serie Shadow Hearts. A questo va aggiunto quel tocco di follia che rende unico l’universo di Ryu Ga Gotoku: i lottatori ad esempio si muovono costantemente durante lo scontro e non si faranno scrupoli a utilizzare coni stradali e altri oggetti contundenti per cambiare i connotati del nemico, a patto che questi si trovino a portata di mano nel momento di venire alle mani.

Continua nella prossima pagina…

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Pro

  • Finalmente una boccata d'aria fresca in casa Yakuza / Narrazione e doppiaggio come sempre di alto livello / Interessante svolta nel sistema di combattimento...

Contro

  • … che però non convince del tutto / Difficoltà e ritmo non perfettamente levigati.
8.2

Più che buono

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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