Ho avuto una piacevole esperienza durante la VIP Demo di Anthem, nonostante la valanga di problemi. Ci avevo creduto con convinzione, mentre sfrecciavo a tutta velocità a pelo d’acqua dentro il mio Strale o volteggiavo in mezzo agli alberi e i crepacci tra le montagne, mentre scoprivo per la prima volta la strategia ottimale per battere i boss con i miei amici e mi chiedevo cosa celassero i meandri di una grotta nascosta. Ci avevo creduto davvero, in ciò che gli sviluppatori di BioWare avevano descritto come un’avventura in cui sarebbe stato possibile “esplorare l’ignoto e proteggere l’umanità”.
Durante questa settimana sono andata avanti, macinando ore su ore e sbattendo la faccia su un bug dopo l’altro. Ho atteso la fine della storia (il cui cinematic è stato coperto da una schermata statica per poi riprendersi senza audio), ho raggiunto il livello 30 e ho testato più volte ogni livello di difficoltà disponibile. Dopo più di quaranta ore di gioco, però, ho dovuto mio malgrado accettare la triste realtà: il brivido dell’avventura era già finito da un bel pezzo e l’idea di raccogliere altri echi o combattere l’ennesimo titano per trovare le stesse armi con un paio di statistiche differenti mi faceva venire la pelle d’oca.
IL GIORNO E LA NOTTE
Il merito più grande di BioWare è stato forse quello di aver rapito il proprio pubblico con un mondo mozzafiato, maestoso e misterioso, dal quale è difficile non farsi ipnotizzare. La sua storia (di cui vorrei svelare il meno possibile) è in parte narrata nella campagna principale, che segue le gesta del nostro personaggio prima e dopo l’evento catastrofico all’Heart of Rage. Seppur con i suoi cliché, la narrazione è abbastanza piacevole e sostenuta da un’ottima recitazione dei personaggi principali, anche se non sempre facilissima da capire. Il mondo creato, infatti, è molto complesso e parecchi dei suoi aspetti sono spiegati solamente in forma testuale attraverso vari oggetti collezionabili sparsi per Fort Tarsis. Quest’ultimo funge da vero e proprio hub del gioco ed è il primo salto verso il basso in termini di qualità. La qualità delle texture cambia radicalmente, tanto da far pensare di essere in un gioco differente, le animazioni dei vari NPC sono di pessima qualità e l’atmosfera è quella di una cittadina vuota e senza vita. Parlare con alcuni di questi individui, però, è fondamentale per sbloccare alcune funzioni come il sistema di alleanze.
Indossare questi possenti mech regala le stesse intense sessioni di combattimento caotiche e colorate della demo
KILL, DIE, REPEAT
La varietà di missioni durante la campagna (completabile in circa una ventina di ore) è davvero esigua. Il dubbio che i contenuti di gioco non fossero abbastanza è arrivato dopo l’ennesima ricerca di sferette di luce, di frammenti celesti tra il fogliame e di difesa di un punto da un’orda di Skar o di soldati del Dominio, e si è ulteriormente concretizzato con le Sfide dei Legionari: una lunga serie di banali achievement, tra cui fare delle multikill e aprire una manciata di casse nel mondo aperto, che hanno spezzato il ritmo dell’intera campagna. Questa mancanza di fantasia affligge anche le “diverse” altre modalità di gioco. Il freeplay ci consente di vagare per l’intera mappa a nostro piacimento e partecipare a eventi globali che, tuttavia, sono l’esatta fotocopia della manciata di quest già affrontate nella storia. Stesso discorso vale per le missioni e per il quickplay, che consiste nell’aiutare altri gruppi di giocatori in quest già in pieno svolgimento. In questo caso, non sarà raro iniziare lontanissimi dai propri alleati ed essere teletrasportati, dopo qualche secondo, nel luogo effettivo dell’azione previa, naturalmente, l’immancabile schermata di caricamento. Le avventure più coinvolgenti sono senza dubbio quelle dentro gli stronghold che, per ora, sono solamente tre. Tyrant Mine, ovvero quello proposto nella VIP demo di gennaio, è l’unico davvero degno di nota e con un boss inedito. Il Temple of Scar consiste in una serie di assetti riciclati, con in fondo una versione sotto steroidi di un banale Escari, mentre il terzo non è altro che l’ultima quest della storia da ripetere ogni volta che si vuole.
i livelli di difficoltà mettono a nudo la pigrizia del team di sviluppo
WEAK ALONE, BORED TOGETHER
Le problematiche di Anthem non sono, purtroppo, finite qui. Anche i sostenitori più sfegatati del “grind coreano”, che non si fanno problemi a ripetere le stesse cose all’infinito, devono infatti fare i conti con carenze piuttosto importanti, a partire dal menu. Palesemente pensato per l’uso del controller, manca delle classiche funzionalità alle quali un qualsiasi giocatore su PC è abituato e risulta infinitamente macchinoso. Alcune sezioni (come il selettore di rarità nell’inventario) sono navigabili solo con le frecce direzionali, l’operazione di equipaggiamento dei tre consumabili è incredibilmente convoluta e dalla forgia, ovvero la schermata di personalizzazione dei nostri Strali, non è possibile passare direttamente a quella delle missioni. Anche rompere gli oggetti è un processo tedioso, poiché distruggerli uno alla volta oppure trasferirli, sempre singolarmente, nel cestino per poi romperli tutti assieme richiede lo stesso ammontare di tempo. Tale processo, però, è tanto fastidioso quanto necessario: l’inventario, infatti, ha un limite di di 250 slot ma non è possibile accedervi liberamente durante il freeplay; se durante la sessione si raggiunge il massimo consentito si è costretti a tornare a Fort Tarsis e abbandonare eventuali nuovi oggetti a terra.
La carenza più grossa, tuttavia, è quella che ruota attorno alla comunicazione
BRUTTI PRESAGI
Dal punto di vista delle prestazioni, Anthem ha girato con una media di 60/80 FPS con una 980ti e i dettagli a livello Ultra. Abbassando la qualità degli effetti è possibile giocare anche su configurazioni più vecchiotte con un frame rate accettabile, senza scendere sotto i 30 frame al secondo. Come scritto in apertura, i bug riscontrati durante la prima settimana (che hanno pesato, tra tutti, sulle spalle dei poveri giocatori in possesso degli account EA Access) sono stati tantissimi e hanno inficiato notevolmente le mie prime ore di gioco. Alcuni di essi sono stati risolti attraverso la lunghissima serie di correzioni della patch, mentre altri – come la mancanza totale di audio, il freeze dell’inventario e la perdita dell’input del mouse – continuano a rendere l’esperienza tutt’altro che fluida. C’è da sperare che lo stesso numero di incidenti non si verifichino con le successive espansioni del mondo, già annunciate con una apposita tabella di marcia qualche giorno fa. Il primo Atto (Echi di realtà) dovrebbe arrivare a marzo e promette diversi nuovi eventi e una maggiore possibilità di interazione e competizione tra giocatori. Se queste sono le premesse, tuttavia, sarà difficile stringere i denti e tirare avanti per un mese intero con i pochi contenuti disponibili al momento senza impazzire.
Allo stato attuale Anthem è un inno alla pigrizia, con un grande potenziale frenato dalla forte ripetitività, dall’assenza di funzioni basilari e dal livello di difficoltà aumentato artificialmente. Trincerandosi dietro la sigla GaaS (Game as a service), BioWare ed Electronic Arts hanno venduto un prodotto incompleto, una mera idea di un gioco con la promessa che ogni patch avvicinerà sempre più l’utente a quello che è il prodotto finale. Entrambe hanno dunque perso la possibilità di distinguersi e innovare, di fare quel doveroso passo avanti che, dopo anni di prodotti fin troppo simili, avrebbe dato nuovo ossigeno a un genere come quello dei looter shooter che ristagna su meccaniche di progressione vecchie e poco coinvolgenti. È possibile divertirsi con un gruppo di amici e passare qualche momento piacevole di esplorazione o combattimento? Certo. Questo però non significa che, almeno per ora, non sia un’esperienza riassumibile in quella manciata di ore offerta dalla VIP demo o dalla prova di EA Access, e che il resto – purtroppo – si trasformi in un loop infinito privo di ogni sorta di stimolo.