Valhalla è il primo Assassin’s Creed a ricollegarsi apertamente e in maniera anche abbastanza coerente ai capitoli della saga che hanno preceduto Black Flag

Molti insediamenti presentano ancora diverse strutture risalenti all’epoca della dominazione romana.
Non mi dilungherò ulteriormente sull’argomento per evitare di commettere l’atroce reato di spoiler, tengo però a dire che la qualità della narrazione è in linea di massima altalenante: da un lato l’intreccio in un primo momento appare intrigante, ma poi ci mette davvero troppo tempo a decollare; dall’altro, Valhalla è il primo Assassin’s Creed a ricollegarsi apertamente e in maniera anche abbastanza coerente ai capitoli della saga che hanno preceduto Black Flag. Una piccola nota a margine: purtroppo anche in questo caso, come già riscontrato in Odyssey, la scrittura delle diverse opzioni di dialogo romantiche è raccapricciante.
TO SING MY LAST SONG
Dove Valhalla eccelle, però, è nella costruzione del mondo di gioco. L’Inghilterra del IX secolo è decadente, le sue contee dominate da regnanti sovente in guerra tra loro mentre la popolazione vive come può, spesso rivolgendo preghiere all’Altissimo. Quello manifesto in Valhalla non è dunque uno scontro sul solo piano materiale, ma anche su quello culturale e – soprattutto – religioso. I vichinghi non vengono disprezzati soltanto perché razziatori e conquistatori da terre lontane, ma anche perché idolatrano un pantheon di divinità pagane. La sensazione di essere stranieri in terra straniera è così fortissima proprio poiché esaltata dai comportamenti degli inglesi.
Quello manifesto in Valhalla non è uno scontro sul solo piano materiale, ma anche su quello culturale e religioso
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