Ricordo un tempo in cui il publisher francese riusciva a sviluppare videogiochi sperimentali, piccole perle di creatività che hanno segnato un buon periodo della compagnia francese. Che fine ha fatto quella Ubisoft?
C’è stato un periodo, più o meno fino alla prima metà degli anni 2010, in cui Ubisoft era sulla cresta dell’onda. Non soltanto perché Assassin’s Creed si era affermato come una saga di successo e un fenomeno di costume, tanto da diventare un metro di paragone nell’ambito dei videogiochi action open-world, ma perché accanto alle produzioni di maggior successo si venne a creare un ambiente di sviluppo che favorì lo sbocciare di tante opere più piccole, ma comunque di grande rilievo.
si venne a creare un ambiente di sviluppo che favorì lo sbocciare di tante opere più piccole
A quei tempi in Ubisoft si osava di più. Era possibile sperimentare. E così sugli scaffali dei negozi – accanto a Ezio Auditore e al bel faccione di Vaas Montenegro – trovavamo anche quelle perle di Rayman Origins e Legends. Sviluppate da Ubisoft Montpellier, una vera e propria fucina creativa all’epoca, le purtroppo ultime due avventure bidimensionali della celebre melanzana ebbero il merito non soltanto di rilanciare quella che a mio avviso rimarrà sempre la mascotte principale del publisher d’Oltralpe, ma anche di presentare al pubblico l’engine UbiArt Framework realizzato in collaborazione con Michel Ancel.
Questo motore di gioco venne purtroppo sfruttato molto poco, ma ci permise di avere prima Child of Light, una sorta di fiaba moderna che strizza l’occhio ai JRPG dove tutti i personaggi parlano in rima, e poi Valiant Hearts: The Great War. Quest’ultimo ha avuto il merito di narrare la tragedia della Prima Guerra Mondiale in una maniera piuttosto nuova per l’epoca. Si tratta dunque di un’opera importante non soltanto dal punto di vista artistico e videoludico, ma anche perché ha una valenza educativa non indifferente.
La saga di Assassin’s Creed continuava a gonfie vele
E poi? Poi più il nulla, almeno sotto il profilo della proposta dal taglio originale. La produzione ha iniziato ad appiattirsi sui soli blockbuster, talvolta ben fatti ma molto meno coraggiosi. Assassin’s Creed si prese una breve pausa per poi tornare con una formula rinnovata, ma comunque derivativa rispetto ad altre opere sul mercato. Far Cry si è trasformato nella copia di sé stesso. Watch Dogs è diventato il vecchio Assassin’s Creed ma nel presente. Un barlume della vecchia Ubisoft si è visto con Steep e Mario + Rabbids, ma per il resto il cosiddetto “modello Ubisoft” ha visto il susseguirsi di titoli strutturalmente simili con ambientazioni differenti tra loro. Questo finché non sono iniziati i problemi, più o meno in concomitanza con la volontà da parte del management di inseguire le mode del momento.
il cosiddetto “modello Ubisoft” ha visto il susseguirsi di titoli strutturalmente simili
A questo punto, quale che sia il futuro di Ubisoft (in questi giorni si parla di un possibile acquisto da parte di Tencent), mi auguro che la compagnia possa ritornare presto ai fasti del passato, anche perché a oggi titoli come quei Rayman, esperimenti del calibro di Child of Light, o persino uno Splinter Cell fatto con tutti i crismi – e che non sia un remake – mancano da morire.