In questa retrospettiva sullo studio che ha dato vita a Gothic, Risen ed Elex, ripercorriamo la storia di Piranha Bytes seguendone l’ascesa, il declino e il successivo periodo di stagnazione creativa che l’ha portata a riproporre ancora e ancora vecchi schemi e idee.
Dopo un mese di febbraio fitto di nomi importanti e molto attesi, marzo è iniziato un po’ più in sordina ma ha comunque già mostrato qualcosa di interessante. Un gioco che probabilmente è invece passato un po’ inosservato, almeno agli occhi del grande pubblico, è Elex II e in tal senso la scelta di uscire in un periodo così impegnativo, e soprattutto a pochi giorni di distanza da Elden Ring, può senz’altro aver influito sullo scarso tamtam mediatico. Certo, Elex II difficilmente può essere considerato un gioco eccezionale, ma è anche una buona occasione per parlare dei suoi creatori, uno studio che molti appassionati di giochi di ruolo dovrebbero aver già sentito nominare e che ha contribuito alla realizzazione di alcuni grandi classici del genere. Oltre agli indubbi meriti per aver creato i primi due Gothic, quella di Piranha Bytes è una storia tanto interessante quanto travagliata, di una software house capace di mostrare grandi sprazzi di talento ma incapace di evolversi, che dopo aver fallito l’appuntamento col destino e aver perso la chance che le avrebbe forse permesso di sfondare ha fatto fatica a riorganizzarsi ed è finita per ripercorrere sentieri già battuti, e per questo familiari e meno rischiosi. Nonostante gli errori compiuti dal team, o forse anche per questi, la loro è una storia che merita di essere raccontata, ed è proprio quello che proverò a fare nelle prossime righe.
UN ESORDIO SORPRENDENTE
L’odissea dello studio tedesco ha inizio oltre venti anni fa, sul finire dello scorso millennio, ma il suo nome inizia a circolare fra gli appassionati di videogame — e in particolare di giochi di ruolo — alcuni anni più tardi, con l’uscita della loro prima opera: Gothic, nel 2001.
Pur non ottenendo inizialmente molti riconoscimenti al di fuori della Germania, Gothic si distingueva da molti dei suoi contemporanei per l’ambientazione dal taglio più cinico e sporco (ma non per questo privo di ironia) rispetto a quelle epiche e pompose viste in altri GDR fantasy, per la difficoltà delle prime ore di gioco, ma anche per la presenza di un open world verosimile e fortemente immersivo. E pure per l’utilizzo di uno schema di controlli non molto intuitivo e qualche altra macchinosità qua e là, che non impedivano al gioco di eccellere ma ne testimoniavano lo status di diamante grezzo.
GRAZIE A UN OPEN WORLD VEROSIMILE E AL FASCINO DELLA SUA AMBIENTAZIONE, GOTHIC CONQUISTÒ RAPIDAMENTE MOLTI AMMIRATORI
Prima di tutto, però, a risplendere era l’open world creato da Piranha Bytes, che come pochi altri riusciva a darci la sensazione di far parte di un mondo vivo, i cui abitanti avevano routine giornaliere ben definite che permettevano loro di svolgere tutta una serie di compiti diversi in base all’orario e alla loro professione o posizione sociale, in cui essere visti mentre ci intrufolavamo nelle proprietà altrui poteva portare a conseguenze indesiderate, in cui persino camminare per le strade con le armi sguainate provocava le reazioni di cittadini e guardie, che ci intimavano di rimettere velocemente la spada nel fodero. Cose che Gothic faceva nell’ormai lontano 2001 e che molti open world ben più recenti tuttora non riescono a fare.
Il successo fuori dai propri confini sarebbe arrivato con un po’ di ritardo, ma lo studio tedesco non voleva perdere tempo e già un anno dopo il suo esordio era pronto a tornare sul mercato con Gothic II, ancora più vasto, complesso, ricco dell’originale e in grado di sistemarne pure alcuni dei difetti, per esempio rendendo anche i capitoli finali dell’avventura pieni di missioni nuove e interessanti da fare. Anche la seconda opera di Piranha Bytes meriterebbe di ricevere molte parole e molte lodi, ma in un articolo che mira a ripercorrere tutta la storia dello sviluppatore è meglio limitarsi nel definirlo semplicemente come il classico sequel “bigger and better”.
A Gothic II avrebbe poi fatto seguito un’espansione, La Notte del Corvo, che andava a modificare il gioco inserendo un intero nuovo atto, molte missioni e sotto-trame inedite e un completo ribilanciamento del gameplay, pensato per rendere l’esperienza di gioco molto più difficile. Alcuni dei cambiamenti sono probabilmente eccessivi, ma l’espansione rimane un’aggiunta di qualità a quello che era già un ottimo gioco.
IL TONFO DI GOTHIC 3 E LA RIPRESA DI RISEN
Piranha Bytes intanto pianificava il prossimo e grande passo per la sua saga fantasy: l’ambizione dello studio era quello di dipingere un mondo vastissimo che ci portasse a spasso per interi continenti, in cui le nostre scelte avrebbero potuto avere un impatto ancora maggiore sulla storia, cambiando il destino di intere città e nazioni, narrando inoltre una storia più epica e dalla posta in gioco molto più alta rispetto a quanto vissuto fino a quel momento. Purtroppo Gothic 3 si rivelò un progetto troppo ambizioso per quello che era comunque uno studio di dimensioni tutto sommato modeste: il gioco che fa la sua comparsa nel 2006 è un inferno di bug, glitch e meccaniche di gioco non pienamente funzionanti, e anni di patch e fix amatoriali portati avanti dalla community non hanno potuto sistemare tanti dei problemi intrinsechi del gioco. Il mondo è vasto e in grado di offrire paesaggi affascinanti, fra loro pure molto differenti, ma i contenuti che lo animano sono estremamente ripetitivi e ci si accorge presto che la cura riposta nelle missioni non è la stessa dei predecessori, anzi ci troviamo a seguire bene o male lo stesso schema in ogni città in cui andiamo.
I combattimenti che dovevano essere più dinamici si rivelano semplicemente mediocri (o peggio) e la differenza fra nemici di basso e alto livello è meno marcata che in passato, andando quindi anche a diluire almeno in parte il senso di progressione, con la difficoltà degli scontri che dipende più dai bug o dall’imprecisione dei controlli che non da altro. Se a ciò aggiungiamo anche una storia che è assente ingiustificata per il 90% dell’avventura e che, pure quando presente, non aggiunge comunque quasi nulla all’esperienza è chiaro che durante lo sviluppo qualcosa è andato decisamente storto.
GOTHIC 3 SEGNA ANCHE L’INIZIO DEI CONFLITTI FRA PIRANHA BYTES E IL PUBLISHER JOWOOD
Risen non è senz’altro il prodotto più originale creato dagli sviluppatori tedeschi, ma dopo un tonfo tanto pesante e doloroso come quello appena vissuto la voglia di ritornare su un cammino più congeniale e meno rischioso è comprensibile, e al di là della sua natura fortemente derivativa si tratta indubbiamente di un prodotto di qualità, che riesce a portare la classica formula dei Gothic in un contesto differente e un po’ più moderno, anche per merito di un sistema di combattimento rivisto e generalmente apprezzato, oltre che per un discreto numero di dungeon complessi, grandi e ben realizzati che sanno ricompensare degnamente ogni esploratore in cerca di tesori e avventure. Risen non è comunque privo di difetti, tra cui spicca soprattutto una fase finale purtroppo molto abbozzata, che dà la sensazione di essere di fronte a un gioco che avrebbe avuto bisogno di qualche altro mese di lavoro, ma in ogni caso non siamo di fronte al disastro di bug e problemi tecnici (e non solo) che era Gothic 3.
RETCON E ALTRI PROBLEMI
Essendo riusciti a rilanciarsi con un nuovo brand di successo, gli sviluppatori di Piranha Bytes iniziano a lavorare su un sequel per Risen, ma qui la loro storia torna a farsi piuttosto travagliata. Dopo un capitolo che era tornato prepotentemente ad appoggiarsi su una formula ben collaudata, ottenendo comunque dei buoni risultati, lo studio decide di cambiare di nuovo le carte in tavola, pur senza operare una rivoluzione pari a quella che Gothic 3 avrebbe dovuto rappresentare.
Dietro a Risen 2: Dark Waters non c’è la stessa ambizione che era stato l’ingrediente principale del fallimento di qualche anno prima, ma non mancano diversi cambiamenti radicali, tra cui quello più ovvio ha a che vedere con l’ambientazione in cui ci muoviamo, che passa da una sorta di basso medioevo fantasy a tinte mediterranee a uno scenario piratesco in cui la tecnologia ha fatto passi da gigante, con la comparsa di moschetti e altre armi da fuoco che hanno reso obsoleto l’equipaggiamento dello scorso capitolo. Curiosamente, però, il protagonista è lo stesso che avevamo guidato nel predecessore (anche se a vederlo non sembrerebbe) e infatti sono passati solo alcuni anni dagli eventi dello scorso capitolo, un periodo di tempo troppo breve perché il mondo cambi così radicalmente. Si tratta, insomma, di un retcon, uno che va a coinvolgere anche tanti altri aspetti dell’ambientazione: per esempio, la magia così come ci era stata presentata in Risen è sparita e al suo posto possiamo invece imparare i riti voodoo dalla popolazione indigena delle isole che visitiamo nel gioco.
RISEN 2 FU UN CAPITOLO DECISAMENTE MOLTO DIVISIVO
Il tentativo di cambiare le cose e portare la saga in una nuova direzione si rivela quindi, ancora una volta, un fallimento per lo studio e la sua risposta è di nuovo quella di rifugiarsi in qualcosa di più collaudato, ritornando sui propri passi e riprendendo alcune delle idee viste nel primo Risen e poi scartate nel secondo. In Risen 3: Titan Lords assistiamo ad altri retcon: la magia dei cristalli fa il suo ritorno, le fazioni tornano a essere tre dal sapore più “classico”, il voodoo rimane ma passa in secondo piano e la tecnologia sembra regredire nuovamente, ma rimangono l’elemento piratesco e altri dei cambiamenti introdotti col secondo episodio. Piranha Bytes cerca così di tenere il piede in due scarpe e accontentare sia i fan di Dark Waters, sia chi preferiva la precedente formula di gioco. Si tratta però di un tentativo debole, che non può dare i risultati sperati ma che evidenzia invece la mancanza del coraggio di perseguire le proprie idee fino in fondo e l’eccessiva facilità con cui la software house, nelle difficoltà, tende a rifugiarsi su vecchie idee e schemi. Quello che emerge è il ritratto di uno studio che, pur essendo ancora capace di mostrare sprazzi di talento, appare ormai incapace di tornare sui livelli qualitativi a cui ci aveva abituato nei suoi esordi.
GLI ULTIMI SVILUPPI
Gli ultimi anni sono stati un po’ meno prolifici del solito per Piranha Bytes, che ha comunque scelto di concludere la sua complicata esperienza con Risen e avviare una nuova IP, quella di Elex, che usa un’ambientazione bizzarra e ancora diversa da quelle che avevamo visitato nelle precedenti opere dello studio: ci ritroviamo nel mondo di Magalan, quasi distrutto da una cometa che ha portato con sé uno strano minerale dai misteriosi poteri magici.
LO STRANO AMALGAMA DI ELEX SVOLGE UN BUON LAVORO NEL CREARE UN’IDENTITÀ ORIGINALE
Elex II è appena uscito e se volete leggerne di più il mio consiglio è di sfogliare una delle recensioni che l’hanno sviscerato più nel dettaglio di quanto non sia possibile fare in questo articolo, ma difficilmente potrà cambiare la percezione che molti hanno dello studio, che sembra al momento destinato a rimanere nella sua nicchia. Col senno di poi, Gothic 3 rimane la grande occasione mancata, la “sliding door” dello studio tedesco: forse esiste un universo alternativo in cui il terzo capitolo della serie si rivela un successo e consente ai suoi autori di raggiungere finalmente il successo mainstream e da lì in poi chissà… Ma non è neanche detto che a tale successo sarebbero seguiti anni di grandissimi videogiochi, altri nomi hanno visto la qualità delle proprie produzioni decrescere una volta raggiunta la popolarità, ma è in ogni caso interessante pensare a cosa sarebbe potuto essere e cosa invece non è stato. Nonostante la qualità un po’ altalenante dei suoi prodotti e una certa stagnazione creativa che si è impossessata della software house tedesca, Piranha Bytes rimane uno studio la cui storia merita di essere raccontata e che, nonostante i difetti, continua comunque a realizzare dei giochi di ruolo d’azione con uno stile che è praticamente impossibile ritrovare altrove. Ed è proprio per questo probabilmente che alcuni di noi continuano, imperterriti, a essere attratti dai suoi lavori, per quanto imperfetti.
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.