Ricordo con una certa nitidezza l’affondamento del sottomarino Kursk, avvenuto nell’agosto del 2000. Vladimir Putin era da poco succeduto a Boris Eltsin nel ruolo di presidente della Federazione Russa e, solo dieci anni prima, l’Unione Sovietica si dissolse come neve al sole, portando con sé tutti i fantasmi della Guerra Fredda. Da “nemico” che era, la Russia entrò piuttosto rapidamente a fare parte di quel “mondo occidentale” che in precedenza aveva sempre avversato e, in seguito al disastroso epilogo delle esercitazioni nel mare di Barents, furono diversi i paesi europei che offrirono la propria disponibilità a partecipare ai soccorsi. Purtroppo, per gli oltre 100 membri dell’equipaggio non ci fu nulla da fare: la maggior parte di loro perì nell’esplosione che squarciò la prua del sottomarino, mentre i 23 uomini che trovarono riparo nel nono compartimento affogarono – secondo l’inchiesta ufficiale – soltanto otto ore dopo.
UNA COINCIDENZA? IO NON CREDO…
Sempre secondo le medesime perizie, a provocare l’affondamento del Kursk fu un problema tecnico ai siluri sparati durante l’esercitazione ma, come ogni grande tragedia umana, anche questa destò sospetti e teorie del complotto. In particolare, si parlò a lungo del ruolo degli Stati Uniti nell’incidente, della presenza di due sottomarini spia e della possibilità che sia stato proprio uno di questi a urtare il mezzo russo, se non addirittura ad aprire volontariamente il fuoco dopo essere stato scoperto.
Kursk accarezza in modo piuttosto marcato le teorie “alternative” sulla natura dell’incidente
LA RICOSTRUZIONE STORICA
Se la “mission” di Jujubee consiste nell’uso dei videogiochi come nuovo media per veicolare la storia, almeno secondo le roboanti dichiarazioni del suo CEO Michal Stepien, fa un po’ specie ritrovarsi coinvolti in una spy story di fantasia ispirata a una tragedia di questa portata, dove è ancora vivo il ricordo delle vittime. È un po’ come se qualcuno decidesse di scrivere un videogioco ambientandolo nel rogo del Moby Prince o addirittura nel crollo delle Torri Gemelle, e vi introducesse degli elementi di fantasia mescolandoli alle cronache reali.
un medium fortemente immersivo come un videogioco rischia di veicolare messaggi sbagliati
MAL DI MARE ELETTRONICO
L’aspetto più affascinante di Kursk dovrebbe essere la ricostruzione del sottomarino, con i suoi corridoi pieni di tubi, strumenti e pannelli, con le sale specializzate e le stanze dell’equipaggio. Ma è fin troppo “realistico”, al punto che a me, sofferente di motion sickness dai tempi di Descent e condannato ad affrontare selettivamente i videogiochi in 3D, ha provocato fortissimi sensi di nausea, mal di testa, conati di vomito, che mi hanno costretto ad affrontarlo a piccole dosi, con soventi interruzioni. La sindrome, di per sé, ha origine nella discrepanza tra il movimento che gli occhi stanno osservando e l’effettivo spostamento del corpo, che ovviamente non c’è. A determinarne l’insorgenza con videogiochi specifici sono tuttavia fattori diversi. In questo caso, a offendere il mio delicato sistema nervoso sono due elementi: la decisione di animare ossessivamente e arbitrariamente ogni singolo movimento del protagonista, che – per esempio – si gira in quattro direzioni diverse ogni volta che apre una paratia per passare da un compartimento del sottomarino a un altro, e il senso di claustrofobia immenso che si prova aggirandosi fra i corridoi.
Kursk mi ha provocato fortissimi sensi di nausea, mal di testa, conati di vomito
UN GIOCO CHE RISCHIA SERIAMENTE DI AFFONDARE
Il protagonista si muove a stento in corridoi tutti uguali, dove orientarsi è fin troppo difficile per essere vero. I muri delle sale sono tappezzati di pannelli, indicatori, pulsanti, leve, valvole che non si possono toccare in alcun modo. Gli hot spot si attivano a random, posizionandosi in qualche modo di fronte a loro, ma solo alla giusta distanza e con la giusta inclinazione e, spesso, occorre fare mille movimenti prima che appaia la fatidica didascalia “Premi E per interagire” (o RT se usiamo il joypad): prendete la piaga del pixel-hunt delle avventure punta e clicca, mettetela in 3D e immaginate quanto possa essere seccante.
prendete la piaga del pixel-hunt delle avventure punta e clicca, mettetela in 3D e immaginate quanto possa essere seccante
Una regola che ho imparato in trent’anni di giornalismo di settore è che, quando qualcuno spaccia il proprio videogioco come “qualcosa di più di un videogioco” (vuoi un romanzo interattivo, o un docu-gioco come in questo caso), la possibilità che si tratti di un pessimo videogioco è molto concreta. Kursk purtroppo non fa eccezione e, pur non rientrando di prepotenza nella categoria dei brutti giochi, sono davvero troppi i punti di demerito che mi trattengono dal consigliarvelo. Peccato, perché con una maggiore attenzione agli aspetti ludici, oltre che a quella dedicata ai piccoli dettagli storici, sarebbe stata una grande avventura.