Wastelands, terzo episodio di Life is Strange 2, è la conferma dell’impronta con cui Dontnod plasma le sue produzioni. Una grande colonna sonora, infarcita di pezzi sotto licenza come D.A.N.C.E dei Justice che elevano il coinvolgimento emotivo a vette raggiunte da pochi altri titoli narrativi; un sistema di bivi che dà l’impressione di poter cambiare la storia anche se ormai la foglia l’abbiamo mangiata tutti; un’eccellente caratterizzazione dei comprimari, possibile non solo tramite dialoghi diretti o cutscene, ma anche grazie al loro relazionarsi quando il protagonista è impegnato in altro.
Telecamera che stacca, campi lunghi, una palette cromatica decisa e piena, il doppiaggio da 10 e lode
Tra le conferme segnalo anche la fotografia, magistrale come nel caso dei precedenti episodi, su cui c’è stato sicuramente tanto lavoro. Telecamera che stacca, campi lunghi, una palette cromatica decisa e piena, il doppiaggio da 10 e lode… insomma:
a livello artistico Wastelands è una meraviglia. Sulla trama tout court la mia opinione è ambivalente, perché da un lato c’è l’inevitabile necessità di cambiare rotta proponendo un plot twist coerente con l’età e le difficoltà psicologiche di Sean e Daniel, dall’altro fin dal primo minuto di gioco
è facilmente intuibile quale cliffangher avrebbe accompagnato i titoli di coda… ben sapendo che nessuna delle scelte proposte l’avrebbe potuto modificare. In tutto questo si inseriscono le decine di hotspot inutili che avevo già criticato nella recensione di
Rules e che stavolta ho saltato a piè pari.
Wastelands resta comunque un racconto – una porzione di racconto – emozionante e avvincente anche senza perdersi tra le descrizioni di bagni da campeggio o tende per la pioggia, dove a perderci è solo la variabile della longevità (che in questo caso non supera le due ore). Non voglio spoilerare nulla ma mi permetto di specificare che
l’intero episodio è ambientato nel nord della California – di preciso nella “famosa” contea di Humboldt – tra una piantagione illegale di cannabis e la tendopoli in cui vivono i protagonisti insieme a uno sparuto gruppo di giovani hippy, tra i quali un paio di elementi già incontrati in Oregon. Tutto funziona, è scritto bene, gli archetipi che si muovono sulla scena non sono così banali anche se, come nell’originale Life is Strange, si tratta pur sempre di stereotipizzazioni comuni all’interno della società americana.
Tutto funziona, è scritto bene, gli archetipi che si muovono sulla scena non sono così banali
Permangono problemi tecnici inspiegabili, tra pop up e rallentamenti, ma ormai sono convinto che si tratti della mia PS4 e della necessità sempre più impellente di passare a una Pro. Ora: il quarto episodio uscirà il 22 di agosto e in quella sede mi sforzerò di trovare un voto. Fino ad allora
il mio consiglio è quello di giocare a Life is Strange 2 senza timori, se avete apprezzato le vicende di Max e Chloe… e troverei sciocco anche solo ipotizzare che un giocatore che avesse terminato Rules non abbia già comprato il season pass, ma se state aspettando un giudizio capace di orientarvi sull’acquisto e dubitate che l’esperienza di Dontnod possa fare al caso vostro, beh: dovrete aspettare ancora un po’.
Wasteland si conferma il classico episodio di mezzo, capace di un plot twist accattivante a tal punto da rendere faticosa l’attesa del successivo previsto il prossimo 22 agosto. Da segnalare, al solito, una colonna sonora straordinaria che in avventure simili può fare la differenza. La relazione tra Sean e Daniel entra nel vivo delle difficoltà: stanno crescendo velocemente e il viaggio intrapreso è pieno di ostacoli che vengono raccontati sufficientemente bene all’interno di una cornice che resta, a prescindere da altre considerazione, quella di un videogioco poco impegnativo. Giocateci senza timore se lo stavate aspettando dopo aver concluso Rules.