Siamo arrivati a un punto in cui il dado, ormai, è tratto. Faith, quarto episodio di Life is Strange 2, fa emergere distintamente i tratti salienti della produzione firmata Dontnod e il conto da pagare, in termini di pro e contro, è spietato. Guardando i titoli di coda, col cuore emozionato e le lacrime che bussavano alla porta degli occhi, ho capito che questa lunga fuga verso il Messico in compagnia di Sean e Daniel assomiglia al corteggiamento di una donna splendida, tanto che guardarla ti fa arrossire: profuma di vaniglia, i suoi capelli sembrano seta tra le tue mani, le sue labbra hanno il sapore delle ciliegie e quando i vostri occhi si incrociano senti aumentare la pressione del sangue fino alle orecchie… ma poi, quando arriva quel momento in cui – nudi – ci si confronta con la più spoglia delle intimità, si rivela una donna incapace di giocare con te, quasi frigida, come una mela matura che ti chiama dal ramo e che non puoi raggiungere. Questo è Life is Strange 2: un gioco emozionante per la storia narrata, per una fotografia che esalta ogni momento di transizione restituendo un orrizzonte allargato al contesto in cui tutto accade, viziato da una colonna sonora altrove definita ruffiana ma privo di un vero e proprio gameplay.
un gioco emozionante per la storia narrata, per una fotografia che esalta ogni momento di transizione
Hotspot, brani di conversazione e piccole sessione da walking simulator costituiscono le uniche portate dell’offerta ludica. Chi ha giocato al primo Life is Strange sa bene che, senza esagerare, al giocatore veniva comunque lasciato margine di movimento: vuoi per capire come proseguire, vuoi per sbloccare un pattern necessario ad attivarne altri… qui invece la strada è delineata, al netto di alcune scelte morali che portano minusoli cambiamenti a elementi accessori.
Non si può “vivere” due storie diverse a seconda delle opzioni di dialogo e se ci provate – come ho fatto io in
Faith – verrete riportati sulla strada maestra da brevi e sospette cutscene realizzate all’uopo per rimettere il treno sui binari prestabiliti. Non era quello che mi aspettavo; non era quello che volevo ed è macchiavellico il lavoro degli sviluppatori che hanno saputo sfruttare l’abilità del loro storyteller per confezionare un’avventura accattivante senza farci capire, fin dall’inizio, che il nostro ruolo era quello di spettatori.
Nelle recensioni degli episodi precedenti ho criticato molto il lato tecnico e anche questa quarta iterazione non è meno imperfetta. A dirla tutta, in alcuni momenti l’effetto uncanny valley è talmente marcato da dare fastidio, e se anche hanno fixato i pop-up è parallelamente aumentato il tempo di caricamento. Non è sufficiente… così com’è poco convincente anche buona parte delle texture utilizzate per gli arredi e quel senso di staticità che permea ogni aspetto della produzione.
in alcuni momenti l’effetto uncanny valley è talmente marcato da dare fastidio
Ora: se state leggendo questa review voglio credere che ci abbiate seguito anche in quelle precedenti e che sappiate che la nostra decisione era quella di aspettare a dare un voto a
Life is Strange 2 perché la formula a episodi non sempre giustifica l’acquisto dell’intero pacchetto dopo il capitolo (magari realizzato con più cura dei successivi). Quanto già detto in merito alla forza narrativa, alla maturità dei temi trattati, all’utilizzo intelligente di stereotipi razziali (ma non solo) e alla sapiente regia che sfrutta immagini e musiche per catturare il giocatore,
vale anche per questo Faith. Tutto avviene nel deserto, in prossimità di una comunità religiosa in cui Daniel… beh, facciamo che lo scoprirete da soli. Ci sono nuovi personaggi, sempre caratterizzati con mestiere, l’evoluzione di Sean è quasi completa e Dontnod non lesina colpi bassi ai fondamentalismi più stretti… ma non c’è ciccia.
Non c’è un gameplay che possa chiamarsi tale e in questo quarto episodio l’urgenza di dirlo diventa stringente. Ho amato le avventure di Max e Chloe, mi sono divertito a far esplodere pupazzi di neve con Captain Spirit, ho persino legato con il dolore di Sean e la sua improcrastinabile responsabilità… ma se faccio un parallelo con il “gameplay” offerto dal Detroit di Quantic Dream,
Life is Strange 2 ne esce con le ossa rotte.
Arrivati al quarto episodio di Life is Strange 2 è ora di tirare le somme: non ci siamo. La storia è splendida; lo sono le musiche, lo è la fotografia… ma già sulle texture, i modelli e le animazioni siamo lontani dalla sufficienza. Se aggiungiamo all’insieme un gameplay inestitente – in Faith questa lacuna è particolarmente evidente – e a un sistema di scelte morali che non cambia assolutamente nulla nel mondo di gioco ci troviamo davanti a un prodotto incostitente. Certo è che mi sono affezionato a Sean e Daniel; voglio “aiutarli” a raggiungere il Messico e i comprimari che hanno incontrato lungo la strada sono scritti bene, benissimo, quindi sono felice di averlo giocato fin qui… insomma: un 70 può andare?