La fedele katana di Sekiro, Kusabimaru, incarna un mantra: uno shinobi ha il compito di uccidere, senza abbandonare la pietà. Tolti i momenti nei quali ci avviciniamo a un NPC, riponendo saggiamente l’arma nel fodero, non sembra tuttavia esserci molto spazio per la misericordia. D’altronde, se il gioco non ne ha per noi, come potrebbe essere altrimenti?
IL GIUSTO RITMO
Nonostante riprenda più elementi sia dai soulsborne che da Tenchu, sarebbe scorretto catalogare Sekiro: Shadows Die Twice come un loro “sequel spirituale”. A dirla tutta, il suo peculiare e punitivo sistema di combattimento lo fa assomigliare più a uno strano e crudele rhythm game che a un action-adventure. Superate le prime ore di gioco, in cui ci è concesso un po’ più di respiro per prendere confidenza con le nuove meccaniche, il gameplay si trasformerà, senza mezzi termini, in una vera e propria danza nella quale l’equilibrio tra attacco e difesa gioca un ruolo cruciale: sii troppo aggressivo e il nemico ti punirà nel giro di pochi secondi, mantieni la posizione di parata troppo a lungo e la tua guardia si sbriciolerà lasciandoti scoperto, mantieni le distanze e le chance di mettere KO l’avversario si ridurranno sempre di più. Perché lo scopo di Sekiro non è (quasi) mai azzerare la vita del nemico a forza di fendenti, bensì sbilanciare la sua postura, per poi effettuare un un decisivo colpo mortale.
Il combattimento premia la perseveranza e respinge, invece, chiunque getti la spugna con facilità
C’è un modo per piegare la morte al nostro volere, anche se limitatamente
MAL DI DRAGO
A incrementare la già elevata difficoltà ci pensa anche un sistema di progressione tutto nuovo, che rende quasi vano il tempo speso a “farmare” nemici. L’unico modo per potenziare le nostre statistiche di base, ovvero attacco e vitalità, è quello di eliminare boss e miniboss. L’esperienza ottenuta con ogni uccisione serve invece per acquisire punti abilità nei vari rami delle arti di combattimento, recuperabili portando a termine le quest di alcuni NPC o esplorando alcune zone più nascoste. Le diverse tecniche a nostra disposizione ci permettono di beneficiare di utilissime passive – come il recupero di vita dopo un deathblow o il potenziale di cura delle fiaschette – o di vere e proprie skill da utilizzare attivamente in battaglia.
Avere abbastanza punti significa però essere capaci di sopravvivere il più possibile, perché a ogni morte abbiamo solamente il 30% di chance di ricevere l’Aiuto Divino e, quindi, di non perdere permanentemente una porzione dei nostri punti esperienza e la metà dei Sen racimolati (ovvero la valuta che ci consente di acquistare consumabili di tutti i tipi e persino alcuni strumenti prostetici). Tale percentuale può scendere progressivamente fin quasi allo zero quando si muore con troppa frequenza, a causa del diffondersi del Mal di Drago, una misteriosa epidemia che colpisce sempre più NPC amici e che è possibile curare solamente con l’utilizzo di speciali oggetti piuttosto rari e costosi. Fortunatamente, c’è un modo per piegare la morte al nostro volere, anche se limitatamente. L’ultimo strumento donatoci da FromSoftware (come messo ben in evidenza persino nel titolo del gioco) per affrontare al meglio le battaglie è infatti quello della resurrezione. Una volta caduti a terra si può scegliere di morire definitivamente o di rialzarsi, riprendendo il combattimento da dove lo avevamo lasciato.
IL GIAPPONE SECONDO MIYAZAKI
L’ambientazione di Sekiro: Shadows Die Twice, è in perfetto equilibrio tra un verosimile Giappone del periodo Sengoku (sedicesimo secolo) e uno più soprannaturale, che ci permette di viaggiare dalle città assediate ai tempi buddisti immersi nella natura. È in questo modo che FromSoftware ha sapientemente fuso insieme scenari di guerra ed esseri mitologici, samurai in armatura e creature grottesche e spaventose, in una intricata mappa sapientemente interconnessa e dagli scorci mozzafiato. Anche in questo caso il titolo non è clemente con i giocatori poco attenti e per questo, in netto contrasto rispetto al ritmico combattimento, l’esplorazione deve essere certosina e lenta, fin troppo in alcuni contesti. Correndo continuamente avanti si rischia di perdere mercanti, oggetti importanti e, in qualche caso, persino delle zone chiave. Avere un quadro completo delle località già esplorate ci viene in soccorso per progredire nella storia principale che, seppur meno criptica e misteriosa rispetto ai precedenti lavori di Miyazaki, rimane pur sempre complessa. La nostra missione principale è quella di ritrovare e difendere il giovane Erede Divino Kuro, caduto nelle mani del clan Ashina, e poche ma cruciali scelte lungo la via ci spingeranno verso uno dei quattro finali possibili, rendendo Sekiro un titolo estremamente rigiocabile e longevo.
In netto contrasto rispetto al ritmico combattimento, l’esplorazione deve essere certosina e lenta
Sekiro: Shadows Die Twice non è un soulsborne, così come non è un secondo Tenchu. Quel che è certo, invece, è come sopra ci sia l’inconfondibile impronta di Miyazaki e di FromSoftware tutta. I paesaggi mozzafiato di un Giappone in guerra e una storia misteriosa ma avvincente fanno da perfetto contorno a un gameplay ritmico, stimolante e oltremodo impegnativo, che coniuga al meglio attacco e difesa e punisce senza pietà chi si rifiuta di imparare le vere arti dello shinobi. Lasciare da parte la fretta e l’orgoglio è una premessa indispensabile prima di ogni battaglia: morire – che sia due, venti o duecento volte – fa parte del gioco, ma non è mai una sconfitta se ne si trae una lezione.