The Outer Worlds – Recensione

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Leonard Boyarsky e Tim Cain sono due nomi che gli appassionati di giochi di ruolo dovrebbero aver imparato a conoscere piuttosto bene nel corso degli ultimi due decenni. A loro (e a Jason Anderson) si deve la nascita del primo, storico Fallout e la fondazione di quella Troika che diede i natali, tra gli altri, al diamante grezzo che risponde al nome di Vampire: The Masquerade – Bloodlines. Ora, dopo essere entrati a far parte dell’organico di Obsidian Entertainment, Boyarsky e Cain sono tornati a sfornare un nuovo RPG: The Outer Worlds, un progetto a dir poco affascinante che profuma di passato, di tempi andati che credevamo non potessero più tornare.

SOCIETÀ PER AZIONI

Chiunque abbia familiarità con le opere sfornate da questi due autori ritroverà la loro impronta in ogni singolo aspetto di The Outer Worlds, un videogioco di ruolo che non rinnega la storia del genere senza rinunciare alle comodità offerte dal presente riuscendo a sfruttare al meglio non solo l’eredità dell’RPG post-apocalittico per antonomasia, ma anche l’esperienza acquisita nel corso di più di tre lustri da Obsidian Entertainment. Una precisazione è però d’obbligo: attendersi un nuovo Fallout, o addirittura un nuovo New Vegas è concettualmente sbagliato. Siamo infatti di fronte a un titolo dallo scopo relativamente ridotto e a tratti più lineare, ma non per questo peggiore, anzi, questa sua compattezza non può che giovare all’esperienza complessiva. Basti pensare che non veniamo catapultati in un vasto open world liberamente esplorabile sin dal principio, bensì avremo modo di visitare una manciata di location più o meno grandi che vengono sbloccate man mano che si procede con la main quest. Le aree di gioco vengono così espanse gradualmente, offrendo l’opportunità di immergersi a poco a poco in un’ambientazione in cui l’unico vero nemico dell’umanità è rappresentato dal capitalismo sfrenato.
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The Outer Worlds è l’opera magna di Obsidian Entertainment

Ogni singolo aspetto della società in The Outer Worlds è votato alla mera logica del profitto a tutti i costi seguendo i dettami della Legge che governa l’universo. Una vera e propria religione in cui l’individuo viene sacrificato sull’altare dei guadagni delle mega-corporazioni che formano il Consiglio, unico ente di governo degli insediamenti extraterresti nel sistema di Alcione. Nonostante la vita in queste remotissime colonie venga spesso spacciata per idilliaca, le cose in realtà stanno lentamente ma inevitabilmente andando a rotoli. I problemi di Alcione sono innumerevoli e non soltanto di natura sociale. Per risolverli, il dottor Phineas Vernon Welles ha deciso di sfidare le corporazioni e andare alla ricerca della Speranza, nave colonia piena zeppa delle migliori menti della Terra ma purtroppo perduta nello spazio durante il tragitto verso Alcione. Inutile dire che, tra le decine di migliaia di persone ibernate, il buon dottore ha deciso di scongelare proprio il nostro alter ego.

DA GHIACCIOLO A EROE (OPPURE NO)

È proprio durante la scelta della persona da svegliare dall’ibernazione che si inserisce la creazione del personaggio, un procedimento lungo e articolato durante il quale bisogna plasmare ogni caratteristica del protagonista. Avremo così modo di modificarne l’aspetto fisico, distribuire i punti a propria disposizione nei vari attributi di base (forza, destrezza, intelligenza, e via discorrendo), scegliere due categorie di abilità in cui specializzarsi, e infine definire un’attitudine. In questo caso si tratta di stabilire il lavoro che l’aspirante colono svolgeva prima di imbarcarsi a bordo della Speranza. Qui vi è proprio l’imbarazzo della scelta, una più bizzarra dell’altra: si va dall’elettricista al tester di additivi alimentari, senza dimenticare il tecnico del servizio bevande o l’addetto al nastro trasportatore. Ovviamente ognuno di questi background offre dei bonus variabili alle statistiche.
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L’unico vero nemico dell’umanità è rappresentato dal capitalismo sfrenato

Dopo aver completato questa procedura, con le autorità ormai alle calcagna e dopo averci scongelato, Welles ci scaraventa sul pianeta di Terrarium 2 nelle vicinanze della piccola cittadina di Lungacqua. È qui che veniamo accolti da un breve tutorial che illustra le fondamenta ludiche su cui si basa The Outer Worlds e otteniamo la nostra prima quest, dopodiché il gioco ci lascia liberi di agire come più ci aggrada. Seguiremo immediatamente le istruzioni di Welles o ci dedicheremo all’esplorazione delle zone che circondano l’insediamento? Ci inseriremo senza problemi negli ingranaggi ben oliati della società messa in piedi dalle corporazioni o prediligeremo un approccio anarchico? O magari un via di mezzo, mantenendo un atteggiamento imprevedibile da scheggia impazzita.

IN CERCA DI FAMA

Qualunque sia la personalità che vorrete imprimere nel codice del vostro alter ego, sappiate che ogni scelta porta a delle conseguenze tangibili sia nel breve che nel lungo periodo. Il sistema di reputazione che governa i rapporti con le diverse fazioni presenti nel sistema di Alcione registra ogni azione e potrebbe precludere o spianare la strada a quest secondarie e metodi alternativi per portare a termine gli incarichi. Senza contare che anche i companion (sei in totale da sbloccare durante l’avventura) possono fornire un supporto tangibile sia nella risoluzione delle missioni che in combattimento sulla base del grado di affinità con il protagonista. A tal proposito va detto che i compagni di viaggio sono tutti dotati di una personalità ben definita e il livello di scrittura dei dialoghi fa sì che le loro caratteristiche comportamentali siano sempre valorizzate al meglio.
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I dialoghi e la sceneggiatura si mantengono sempre su un livello decisamente alto

Per quanto mi riguarda, il mio preferito non può che essere SAM, lo spassosissimo robot delle pulizie che intrattiene una relazione amorosa con il computer di bordo dell’Inaffidabile, l’astronave che funge da hub centrale e permette di viaggiare attraverso le colonie di Alcione per raggiungere le destinazioni delle varie missioni. L’Inaffidabile diventa anche il luogo nel quale scambiare qualche battuta con i compagni di avventura, ascoltare ciò che hanno da dirci ed eventualmente accettare le loro quest. Portare a termine questi incarichi non serve soltanto a conoscere qualche dettaglio in più sul passato dei comprimari, ma anche a sbloccare il loro pieno potenziale: alla conclusione del filone di missioni di ogni personaggio e dopo averne massimizzato l’affinità, infatti, questi potranno contare su una potente abilità aggiuntiva. Al di là di quelle relative alla trama principale, le quest legate ai companion sono anche quelle più strutturate e con la scrittura migliore, di conseguenza sarebbe davvero un peccato non affrontarle. Non che il resto non sia di qualità, intendiamoci, tutt’altro: i dialoghi e la sceneggiatura si mantengono sempre su un livello decisamente alto, merito anche di un’ambientazione piuttosto particolare e sfaccettata che ha permesso a Leonard Boyarsky, Tim Cain e compagni di dare libero sfogo alla loro creatività puntando prima di tutto su un’ironia surreale, il tutto al fine di trasmettere una forte critica in chiave satirica nei confronti della società capitalistica moderna.

IL POTERE DELLA SCIENZA

Se tutto ciò che gravita attorno alla sceneggiatura e all’impianto ruolistico di The Outer Worlds è stato realizzato in maniera quasi ineccepibile, non si può dire lo stesso di un altro aspetto piuttosto importante nell’esperienza complessiva: i combattimenti. L’ultima fatica di Obsidian Entertainment permette di affrontare gli scontri in più modi, non solo imbracciando le armi da fuoco più disparate, ma anche combattendo all’arma bianca, oppure impiegando un approccio furtivo che potrebbe permettere al protagonista di aggirare le minacce e ignorare del tutto le battaglie, a patto di aver investito abbastanza punti nella relativa abilità. Quando si usano pistole e fucili non si ha alcun feedback per i colpi, tanto che a livello di feeling non fa poi così tanta differenza andare in giro e sparare con un revolver, un lanciagranate o un mitragliatore pesante.
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The Outer Worlds non è per nulla dispersivo e riesce a tenere sempre alta l’attenzione per tutta la sua durata

Le sparatorie risultano fin troppo piatte non solo a causa di un gunplay dimenticabile, ma anche perché l’intelligenza artificiale, sia alleata che nemica, lascia spesso a desiderare. I compagni si posizionano ripetutamente sulla linea di tiro, mentre i nemici non rappresentano quasi mai un vero e proprio ostacolo dal momento che di solito mettono in atto delle tattiche fin troppo basilari che difficilmente riescono a impensierire. In questo modo i combattimenti diventano un’incombenza quasi ineluttabile priva di mordente, ed è un peccato perché il design dei nemici – soprattutto delle creature aliene – è davvero ben fatto; inoltre traspare la cura infusa nella realizzazione di un impianto di regole articolato supportato da diversi strumenti di morte stravaganti, basti pensare alla pistola a raggi rimpicciolenti o all’arma per il controllo mentale, senza trascurare il cannone che spara pozze di melma che fanno levitare chiunque ci capiti dentro bloccando in aria i mostri di turno. Queste armi scientifiche sono ben nascoste nel sistema di Alcione e rappresentano una graditissima ricompensa per gli esploratori più tenaci e per chiunque vorrà completare il maggior numero possibile di quest secondarie. Un’operazione non particolarmente dispendiosa in termini di tempo, a dire il vero: The Outer Worlds non è per nulla dispersivo e riesce a tenere sempre alta l’attenzione per tutta la sua durata, garantendo un ritmo invidiabile dall’inizio alla fine. Difatti la mia partita è durata poco più di una trentina di ore, durante le quali ho esplorato tutta Alcione in ogni suo anfratto e portato a compimento un buon novanta percento degli incarichi disponibili, tralasciando solo una piccola manciata di quest prima di lanciarmi nella missione finale. Dopo aver assistito ai titoli di coda, però, non ho potuto far altro che augurarmi che Obsidian Entertainment torni a sfruttare questo universo così coinvolgente e dia così un seguito a The Outer Worlds, magari apportando le dovute modifiche al sistema di combattimento.

The Outer Worlds è l’opera magna di Obsidian Entertainment: un RPG dotato di un impianto ruolistico di primo piano in grado di offrire un ventaglio non indifferente di possibilità a qualsiasi tipologia di giocatore. Il background narrativo risulta decisamente solido, riuscendo così a garantire una cornice importante e piena zeppa di sfumature a una trama valorizzata da una struttura ludica piuttosto compatta priva di tutta la dispersività di altri videogiochi di ruolo che, al contrario di The Outer Worlds, fanno uso di una impalcatura open world. Il ritorno di Leonard Boyarsky e Tim Cain sulla scena è quindi accompagnato da un’opera che sfiora l’eccellenza, purtroppo macchiata soltanto da qualche scivolone nel sistema di combattimento. Da notare, infine, la pulizia del codice di gioco: in più di trenta ore mi sono imbattuto in un solo bug piuttosto importante che ha causato un paio di crash, un baco che tuttavia sono riuscito ad aggirare facilmente e che con buona probabilità verrà risolto in tempi brevissimi. Un risultato, quest’ultimo, senza dubbio ben accetto ma tutt’altro che scontato quando si parla di un videogioco targato Obsidian Entertainment.

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Pro

  • Un gioco di ruolo con mille sfaccettature.
  • Scrittura di quest e dialoghi di altissimo livello.
  • Forte critica satirica alla società capitalistica.
  • Ne vorrei ancora.

Contro

  • Combattimenti migliorabili.
  • Ne vorrei ancora.
9

Ottimo

Le leggende narrano che a Potenza ci sia un antro dentro al quale vive una misteriosa creatura chiamata Alteridan. In realtà è solo il nostro Daniele, che alterna stati diurni di brillantezza ad altri notturni dove i suoi amici non hanno ancora capito che non conviene fargli assumere troppo alcol.

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