Il bello di studiare il passato dei videogiochi – L'Opinione

Non sono uno che tiene molto alle operazioni nostalgia. Ci tengo a metterlo già nero su bianco per farlo comprendere a più persone possibili, perché di questi tempi, sia chiaro, qualunque remastered o remake potrebbe far storcere il naso a chi cerca l’opera perfetta.

Bugs bunny lost in time passato videogiochiPoi guardo a videogiochi come Star Wars: Dark Forces Remaster, a Quake II – Enhanced Edition e a videogiochi del calibro di S.T.A.L.K.E.R, e capisco in maniera diversa quanto il discorso sulla preservazione sia importante non solo per mantenere in vita delle proprietà intellettuali, ma soprattutto per dare ai giocatori la possibilità di recuperare delle evidenti perle del passato sui mezzi in loro possesso, come nel caso della trilogy recentemente pubblicata da GSC Game World, team che ha riportato in vita le sue pubblicazioni del passato per dare il tempo necessario ai giocatori di recuperarle su console, sia di nuova che di vecchia generazione.

Quake II Remastered

In un panorama in cui è complesso riuscire a ritrovare una parte di sé stessi, arrivare a trovare un compromesso per il recupero di certi videogiochi è essenziale, funzionale e necessario. Questo editoriale non intende focalizzarsi unicamente sull’evoluzione della pixel art, di come i bidimensionali ora siano tornati di moda e di quanto una grafica decisamente meno esigua sia affascinante, ma quanto è più l’approccio del passato a essere importante in un archivio videoludico immenso.

Qua da noi il tema è tanto dibattuto e andrebbe, di sicuro, approfondito a dovere in futuro

Al riguardo, diventa inevitabile citare l’impegno della Cineteca di Bologna, che consente di recuperare informazioni e nozioni sulle opere del passato, con la presenza di riflessione sui videogiochi e gli altri media. Oppure, anche solo un blog – in questo caso del game designer Francesco Rugerfred Sedda – è utilissimo sia per aggiornare, sia per seguire cos’è evidentemente consigliato. E trovo affascinante, in realtà, come la natura umana in questo caso, anche quando si tratta di dover trovare un punto di contatto, cerchi di mantenere quel tipo di narrazione che è diventata materia di studio: la condivisione. Essa colpisce attraverso i racconti, le proprie testimonianze e, nel caso dei videogiochi, le varie esperienze che si scoprono, approfondendo le meraviglie insite al loro interno subito dopo che qualcuno le ha consigliate.

La parola diventa, quindi, una materia utilissima per la preservazione ma, soprattutto, per lo studio. Esso, oltre a consentire di comprendere effettivamente l’evoluzione del mondo dei videogiochi, permette di creare delle connessioni con cos’è stato realizzato in passato e cosa viene fatto ora. Questo è l’ovvio assoluto: ma cosa significa per qualcuno, invece, che fa dei videogiochi un metro di divulgazione e di approfondimento?

APPROCCIARE IL PASSATO

Parte della mia esperienza da videogiocatore è iniziata nel 1999 con Bugs Bunny: Lost in Time. Facciamo mente locale, va bene? Io sono del 1995, certe cose non le ho giocate e non ho vissuto il periodo dei cabinati arcade. Tutto quello con cui mi sono interfacciato, però, è diventato per me un metro di studio utilissimo per trovarmi in sintonia con le opere odierne. No, non voglio assolutamente asserire che era meglio prima, ma che forse, senza quel “prima”, non ci sarebbero gli ammodernamenti e le prove di valore come quelle odierne, o i recuperi di produzione come, e qua lo sottolineo nuovamente, Star Wars: Dark Forces Remaster.

Ora, Alteridan è bravissimo, una penna fantastica, uno che ti spinge a giocare quei dannati videogiochi e a trovare cosa ti aspetti: ecco, grazie alla copertura di Star Wars: Dark Forces Remaster ciò mi ha permesso di recuperare una perla. Una perla che mai, mai avrei immaginato potesse prendermi così tanto, tanto da farmi lasciare da parte, per un momento, anche Final Fantasy VII Rebirth. Star Wars: Dark Forces è stato pubblicato nel 1995, l’anno in cui sono nato io. È uno sparatutto in prima persona che, oltre a riprendere le dinamiche vincenti di DOOM, ha lucidità di proporre un approccio che trovo assolutamente e totalmente interessante. Sapete cosa si crea quando, unendo la passione per Guerre Stellari e i videogiochi, il necessario diventa oltremodo totale? Che si recuperano ANCHE gli altri videogiochi ideati da Daron Stinnett, Ray Gresko e Justin Chin.

Gli FPS sono il mio kink videoludico da sempre

In tal senso, l’acquisto di Steam Deck, una manna dal cielo, mi ha consentito anche di giocare a Black Mesa, a rifare Portal dopo anni e anni e di giocare, pensate a un po’, a Prince of Persia: Warrior Within, che per qualcuno è il capitolo meno convincente della saga, ma per uno che è vissuto a pane e PlayStation 2, il bisogno fisico è divenuto totale. Ora, non immagino quanto possa essere stato potente ed emozionante, invece, per il giocatore che si è ritrovato la remaster di Star Wars: Dark Forces quando ci giocava da ragazzino, magari quando andava al liceo.

Lo studio di un’opera come Dark Forces, insomma, mi ha consentito di ritrovare delle similitudini anche con gli sparatutto pubblicati subito dopo DOOM. Non so dire con esattezza cosa mi abbia portato, nel corso del tempo, a interfacciarmi con il passato, ma ho la concreta consapevolezza che quanto sto scoprendo, man mano che evolvo sia come giocatore che divulgatore, mi stia dando degli strumenti per comprendere al meglio il genere.

CAPIRE LA STRUTTURA DEL GAME DESIGN

Opere come Tetris, che per me è quanto di più perfetto ci sia in termini di game design, mi hanno dato gli strumenti per appassionarmi a The Talos Principle, di entrare in contatto con Gambit Shifter, titolo indie dall’impronta inedita e appassionata; di arrivare ad avere un rapporto con i remake e le remastered diverso, di capire quali effettivamente siano le benvenute, nel panorama dei videogiochi e quali, al contrario, è meglio di no. Anche il recente Alone in the Dark mi ha fatto capire che, forse forse, serve un modo più aggiornato per creare un’opera e darle il dovuto spazio.

Il lato tecnico, quel tanto decantato lato tecnico, è importante. Ed è per questo che, a volte, la sinergia giusta che trovo nelle riproposizioni mi rende la vita da giocatore e divulgatore ancora più facile: mi consente di giocare senza aspettative, di coinvolgermi con il dovuto rispetto e, nel frattempo, di educarmi. Perché sì, è fondamentale ribadirlo: la preservazione, se usata adeguatamente, può consentire al giocatore di arrivare a un viaggio e a un approccio che conduce in luoghi unici, mentre apprende meraviglie e situazioni concepite per essere destinate a portarlo in ulteriori posti inediti e personali, eretti a loro volta per spingere il viaggio ben oltre le aspettative. Ed è qui che si focalizza il mito e, intanto, si scopre tanto altro: le novità che attorniano e circondano l’essenza stessa di un’opera videoludica.

Il lato tecnico, quel tanto decantato lato tecnico, è importante

Parlare di preservazione, ma in generale di studio, è rilevante ora come ora: è il medium che si è evoluto, è il linguaggio a essere cambiato, ma c’è da dire che l’approccio del giocatore non è affatto mutato. È analogo, fermo, e sì… anche lamentoso, in certune occasioni – come nelle ultime ore con Dragon’s Dogma 2, recensito dal nostro Dan Hero. Ma l’essenza del game design è la natura stessa dell’opera: la composizione di meccaniche del passato, oltre a fornire i materiali giusti per rapportarsi con un videogioco, offrono un paragone, danno modo di riflettere e di pensare, di trovare addirittura dei punti in comune con le produzioni con cui si trova davanti.

VIVERE IL PRESENTE

Dopo tanti, tantissimi videogiochi, opere e creature degne di nota, come può però il presente sostenere il peso del passato? Attraverso la semplicità, lo studio, l’apprendimento e, soprattutto, la curiosità. È la curiosità a essere una materia fondamentale, specie ora che nel mondo essa si esaurisce rapidamente, talvolta per ricercare una perfezione che è consentita solo ai tetramini del Tetris, ma non nel modo in cui tutti immagineremmo.

Se davanti a opere come Space Invaders, il già citato Tetris e i videogiochi del passato quell’emozione non cresce, è anche possibile che il presente alla fine è solo il passato che si forma, e che le produzioni recenti, magari Alan Wake 2 e altre, diventano parte di una libreria immensa che vale la pena conoscere.

Essere migliori giocando a qualcosa è la lezione più bella da apprendere

No, non tutta: sogno da tempo una biblioteca digitale che consenta a tutti di trovare un videogioco, viverlo e apprendere la storia e lo sviluppo. È accaduto ora con Star Wars: The Dark Forces Remaster, accadde quando venne il tempo di Quake e successe con Black Mesa, con Ghosts’n Goblins, con il racconto della storia di Tetris e il viaggio nell’universo infinito di Space Invaders. Siamo quello che mangiamo, direbbe qualcuno. E siamo anche quello che giochiamo, ma questo non ci definisce: ci migliora. Rende curiosi. D’altronde, Dark Souls non nacque da Demon’s Souls, bensì da King’s Field.

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