Judgment - Recensione

PS4

C’è un cuore che batte nel centro di Kamurocho, ma poche persone sanno ascoltarlo come Takayuki “Tak” Yagami, giovane detective con un passato da avvocato, pronto a schierarsi dalla parte dei più deboli all’interno di un ecosistema urbano che non fa sconti a nessuno. Partiamo dunque dalla fine: ho completato Judgment in circa ventisei ore, tuttavia la scheda presente alla fine del gioco mi ha sbattuto davanti al muso una realtà sconcertante. Credevo di aver giocato con calma, puntando deciso al finale pur concedendomi svaghi di ogni tipo tra partite nei Club Sega e missioni secondarie, ma a quanto pare avevo conquistato solo il 30% di quello che l’ultima fatica di Toshihiro Nagoshi e compagni aveva in serbo per me. Judgment è un gioco grande quindi, ma anche un gran gioco: al netto di un quantitativo smodato di cose da fare, riesce a catturare l’attenzione del giocatore dall’inizio alla fine senza concedersi il minimo calo di stile durante i suoi tesissimi tredici capitoli, presentando una vicenda appassionante, narrata attraverso un ritmo impeccabile e un cast di attori virtuali a dir poco memorabile, non ultimo un cattivo che fa seriamente paura.

GLI OCCHI DEL GIUDICE

Takayuki dirige l’agenzia investigativa Yagami assieme al suo amico Masaharu Kaito, un ex yakuza cacciato dal buon vecchio clan Tojo. Non è sempre stato un piedipiatti, giacché nel suo passato si nasconde una brillante carriera di avvocato, buttata alle ortiche in seguito a un avvenimento gravissimo che ha scosso come un uragano tutto quello in cui credeva. Improvvisamente però, una serie di misteriosi omicidi mette in subbuglio la già di per sé caotica Kamurocho, e i cadaveri di tre mafiosi provenienti dal Kansai si trovano sbattuti in prima pagina con un comune denominatore: tutti sembrano aver incontrato il medesimo serial killer, uno psicopatico che pare trovare diletto nel cavare i bulbi oculari delle sue vittime.
Judgment Recensione PS4

Lungi dall’essere un legale incravattato, Tak è la giustizia incarnata

Come accennato nella scorsa anteprima, Judgment è uno spin-off di Yakuza, impreziosito però da tutta una serie di attività abilmente padroneggiate dai soci della premiata agenzia Yagami. Non si tratta di nulla di particolarmente complicato, tuttavia pedinare sospetti e scassinare serrature donano quel pizzico di sapore in più a una formula che cominciava ad apparire fin troppo familiare. Un po’ come la stessa Kamurocho: la scorsa volta lamentavo un senso di già visto durante le peregrinazioni di Takayuki, e non me la sento di rimangiarmi le mie stesse parole. La totalità del gioco avviene dunque nell’iconico quartiere, concedendosi qualche sparuta capatina in un paio di location secondarie utili unicamente a portare avanti la narrazione, spoglie dunque di qualsiasi velleità esplorativa. Se da una parte una simile scelta può sembrare tanto comoda (SEGA ha speso risorse per ricreare per bene Kamurocho con il Dragon Engine in Song of Life, quindi il riciclo appare del tutto naturale) quanto un filo impopolare per quella che potrebbe essere una nuova partenza per il Ryu ga Gotoku Studio, dall’altra viene messa in secondo piano dalla massiccia dose di attività secondarie e dalla stessa figura di Takayuki. Lungi dall’essere un legale incravattato, Tak è la giustizia incarnata: ammaccato e sicuramente provato dai mille dubbi che infestano un tremendo passato, tuttavia retto e pronto a tutto pur di scoprire la verità. Con le buone o con le cattive perché, si sa, questo è un gioco di Nagoshi, quindi prima o poi sarà necessario venire alle mani. Il nostro può alternare a piacimento lo stile della gru e quello della tigre, due distinte forme di kung fu rispettivamente adatte ad affrontare folle di cattivi o a concentrare precisi e letali colpi contro un singolo avversario.

La vicenda è narrata davvero bene, con scene brillanti per dinamismo, potenza comunicativa ed eccellente regia

Sono spariti i vari tipi di punti esperienza visti nei precedenti Yakuza, rimpiazzati da un’unica risorsa decisamente difficile da accumulare. Non perché Judgment sia poco prodigo nell’elargire gli XP, bensì per l’esorbitante costo dei potenziamenti più importanti; diciamo che difficilmente riuscirete a massimizzare le abilità di Tak alla prima partita, a meno che ovviamente non decidiate di procrastinare fino al limite l’inizio della battaglia finale. Se volete un parere, è molto meglio giocare con il vostro personalissimo ritmo, possibilmente scegliendo da subito la difficoltà più ripida, ché il gioco resta discretamente facile sempre e comunque. Un po’ come il resto della produzione firmata Ryu ga Gotoku Studio, a dir la verità. Al termine dei titoli di coda potrete dunque decidere se iniziare una partita conservando soldi, esperienza e tecniche, oppure dedicarvi all’esplorazione libera di Kamurocho per portare avanti tutte quelle attività che avrete sicuramente trascurato durante il primo “giro”, possibilmente ripartendo con un nuovo, cattivissimo livello di sfida che, tra le altre cose, non permette di ritentare uno scontro fallito.

LA CITTÀ DEL PECCATO

Judgment è davvero traboccante di cose da fare, partendo ovviamente dalle storie secondarie, spesso e volentieri portatrici sane di un benvenuto tocco di humor all’interno di una storia piuttosto drammatica. Sono facili da riconoscere sulla mappa e spesso vantano diversi “stadi”, da affrontare con il passare del tempo. Nel frattempo potreste diventare habitué dei migliori locali della zona, tanto per stringere amicizie con i negozianti e alzare il livello della popolarità, utile per ottenere vantaggi casuali da parte della folla durante i combattimenti. Oppure sperperare denaro in sala giochi: come accennato un paio di settimane fa, tra le novità spiccano i cabinati di Fighting Vipers e Motor Raid, mentre vanno ancora fortissimo i classici come Space Harrier o quello splendido gioiello che risponde al nome di Virtua Fighter 5: Final Showdown. Se cercate qualcosa di un filo più esotico è anche possibile giocare a Kamuro of the Dead, un fittizio arcade a base di pistola ottica a metà strada tra House of the Dead e Yakuza: Dead Souls, lo spin-off che i fan della saga amano odiare.

La sensazione di già visto viene messa in secondo piano dalla massiccia dose di attività secondarie

Se i soldi possono sembrare inizialmente illimitati, aspettate di finire invischiati nella foga del crowfunding: con una pratica app potrete finanziare utili risorse come la traduzione di un antico tomo di arti marziali da cui apprendere qualche tecnica arcana, oppure nuove tecnologie per migliorare il drone e sfidare agguerriti modellisti in gare di velocità. È addirittura presente una sorta di gioco dell’oca in realtà virtuale con imprevisti di ogni tipo in agguato sul tabellone, ove potremo sbizzarrirci con esclusive tecniche EX (ci arriviamo tra un attimo) particolarmente esagerate di pura ispirazione anime. In tutto questo marasma è quasi paradossale l’assenza del karaoke considerati i trascorsi da idol di Takuya Kimura, la super celebrità che presta fattezze e voce al protagonista. C’è veramente parecchio con cui divertirsi in Judgment, al prezzo di una marcata rigidità per quel che riguarda la trama principale. Questo significa che le attività investigative come la scelta dei travestimenti o il pedinamento vengono attivate solo ed esclusivamente quando la narrazione lo richiede, mentre la presentazione di prove o indizi errati durante dialoghi o processi non genera alcun tipo di penalità. Come ogni adepto del Ryu ga Gotoku Studio saprà confermarvi, però, fa tutto parte del gioco: in palio c’è una vicenda narrata davvero bene, con scene brillanti per dinamismo, potenza comunicativa ed eccellente regia, supportate come sempre da un doppiaggio fenomenale. E stavolta vi beccate pure i sottotitoli in italiano; quindi, se fino ad oggi la barriera linguistica vi ha reso impermeabili al tanto decantato valore di Yakuza, probabilmente questo piccolo ma significativo elemento vi permetterà di capire cosa si nasconde dietro la fama di questi giochi tanto affascinanti.
Judgment Recensione PS4

il sistema di combattimento si rivela come sempre intuitivo, soddisfacente e brutale

Tecnicamente il Dragon Engine fa nuovamente centro, muovendo il tutto sul modello PRO a 30 fotogrammi al secondo senza perdite di fluidità, anche durante risse contro numeri davvero considerevoli di avversari. In questi casi, il sistema di combattimento si rivela come sempre intuitivo, soddisfacente e brutale grazie alla facilità di esecuzione delle combo e all’immancabile presenza delle tecniche EX, ovvero attacchi coreografici e dannosissimi, attivabili in particolari condizioni e al prezzo di un segmento dell’apposita barra. Volendo essere onesti fino in fondo, appare evidente che alcune di queste tecniche siano state riciclate dal repertorio del buon vecchio Kiryu, mentre molte sono cucite su misura attorno alle più dinamiche doti atletiche di Takayuki; la mia preferita è quella che coinvolge un’auto piena di yakuza evidentemente scesi dal letto con la luna storta. Cercate di attivarla, io l’ho usata per eliminare un boss con un colpo solo! A proposito di questi, Judgment aggiunge un’interessante meccanica al loro arsenale, ovvero gli attacchi letali. Quando l’energumeno di turno carica un colpo esibendo un’aura particolarmente intensa è il momento giusto per aumentare le distanze, perché l’attacco seguente inibirà parte della vitalità di Tak, rendendo il resto dello scontro molto più difficile. Se ai livelli più bassi si tratta di una banale seccatura, alla difficoltà più alta i danni subiti saranno davvero seri, e vi troverete a combattere utilizzando solo la metà dei punti ferita da un momento all’altro. Una penalità davvero interessante e benvenuta che spinge a giocare in modo più cauto e ponderato, anche perché i mezzi per curare una simile alterazione possono essere rinvenuti solo presso un particolare personaggio, peraltro pagando somme ingenti di denaro.

Judgment si conferma come l’ennesimo successo per un team che non riesce proprio a mancare il bersaglio. Lo sviluppo guidato e coreografato con cui la trama viene sapientemente raccontata cede il passo a un numero notevole di attività secondarie con cui vivere quel caratteristico spaccato di vita giapponese liberamente, alzando la longevità ben oltre i livelli di guardia per tutti i completisti lì fuori. Magari, però, organizziamo una bella gita al di fuori di Kamurocho la prossima volta, Nagoshi-San.

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Pro

  • Narrazione potente e trama appassionante.
  • Dragon Engine sempre efficace.
  • Le doti investigative di Tak portano una ventata d’aria fresca.

Contro

  • Kamurocho inizia seriamente a stancare.
  • Mai eccessivamente impegnativo.
9.2

Ottimo

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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