Need for Speed: Payback - Recensione

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Che mesi fantastici per gli amanti delle quattro ruote virtuali! Need for Speed Payback, l’ultimo capitolo della saga corsaiola di Electronic Arts, da qualche anno nelle mani di Ghost Games, è solo l’ultimo di una infilata che non si vedeva da anni: Forza Motorsport 7, Gran Turismo Sport, Project CARS 2, F1 2017… Davvero, non ho memoria di un periodo storico con un’offerta così ampia, e soprattutto diversificata.

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L’arcade di Electronic Arts racconta un modo di vivere le quattro ruote completamente diverso da quello dei titoli appena citati, all’insegna dell’eccesso a ogni costo e della spettacolarità tipica da blockbuster d’azione, della tamarraggine e dell’immediatezza nel modello di guida, smaccatamente arcade, con il tipico e marcatissimo effetto elastico della serie, che sacrifica ogni pretesa di realismo in favore di accessibilità e divertimento a basso costo.

Need for Speed continua a raccontare le corse con il suo stile unico: caciarone, disimpegnato, eccessivo e divertente

Il che, badate bene, non è affatto una cosa negativa, tutt’altro. Per questa nuova puntata, che abbiamo già avuto modo di provare sia all’E3 di Los Angeles che alla gamescom di Colonia, Electronic Arts e Ghost Games tornano a proporre una campagna single player ambientata nella fittizia città di Fortune Valley (che si ispira palesemente a Las Vegas e Los Angeles), in un mondo aperto e liberamente esplorabile, pieno zeppo di attività di contorno. Nell’ambito di una storia di vendetta e lotta tra fazioni di corse clandestine, prenderemo il controllo di macchine suddivise in cinque diverse classi, corrispondenti ad altrettante discipline: Corsa, Derapata, Fuga, Fuoristrada e Drag, con l’obiettivo di sconfiggere tutte le band per arrivare al Rush dei Banditi, la “corsa delle corse”, quella che ci incoronerà i ras assoluti della foss– pardon, della città. L’ordine in cui si affrontano le diverse gare/eventi è a totale discrezione del giocatore, che può anche dedicarsi ad attività secondarie in qualsiasi momento. Ma siccome so che avete già sbirciato il voto più sotto, non mi dilungo oltre con i dettagli e passo subito a un primo elenco dei problemi principali di Need for Speed Payback.

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SHOW ME THE MONEYYYY!!!

  • Economia del gioco – Non più tardi di qualche giorno fa parlavamo in un editoriale dei loot box, e della loro sempre maggior presenza all’interno di titoli AAA. Ecco, in Need for Speed Payback ci sono le casse di bottino, che si ricevono ogni volta che si sale di livello reputazione, oppure completando alcune sfide giornaliere. In alternativa, possono essere comprate in valuta sonante tramite microtransazioni. Il problema, però, è che non servono solo a sbloccare oggetti estetici, ma anche crediti e gettoni da usare per progredire nel gioco (“risparmiare tempo”, dicono gli sviluppatori). Tutto l’impianto economico, in Need for Speed Payback, si basa sulla fortuna e sulle probabilità di ottenere carte e potenziamenti abbastanza buoni perché valga la pena usarli. Ci sono le tre carte proposte al termine di ogni gara, dove quella scelta può regalare un potenziamento buono o uno di cui non ce ne si fa nulla, che può quindi essere scartato o venduto. Ci sono poi le “lotterie” nelle officine, dove tirare la sorte e sperare di ottenere un buon upgrade. Ogni tentativo costa gettoni che – indovinate un po’ – si trovano solo nei loot box. L’intera economia del gioco è legata in qualche modo alla sorte, al tiro di un dado, alla probabilità di pescare la carta giusta. In generale non mi dispiace l’idea di dover grindare un po’ per andare avanti: mi provoca l’orticaria il dover obbligatoriamente spendere i soldi guadagnati alla lotteria, senza poterli investire in acquisti “normali”. Un approccio che si digerisce a fatica in un titolo free-to-play, inaccettabile in un prodotto AAA venduto a 70 euro.
  • Progressione – Questo aspetto è legato a doppio filo con il precedente, chiaramente. Dopo venti e passa ore di gioco (in cui ho completato tutte le missioni della storia, sconfitto ogni fazione della città, compiuto numerose attività secondarie) sono arrivato alla sfida finale senza una macchina in grado di poterla affrontare. Per potermi presentare alla linea di partenza con una vettura sufficientemente pompata ho dovuto grindare un po’, e addirittura vendere alcune delle macchine usate nelle prime gare per raggranellare abbastanza denaro per comprare nuovi potenzialmenti. È evidente che da qualche parte, nello sviluppo del gioco, si è rotto qualcosa. Forse l’introduzione delle microtransazioni, l’abuso di loot box e carte casuali, ma di certo c’è che il senso di progresso è continuamente minato dalla necessità di tener d’occhio il portafogli – non solo quello virtuale – e dalla speranza di pescare carte buone per andare avanti (per inciso, i ricambi possono anche essere comprati nelle officine, ma a carissimo prezzo, e sempre di livello inferiore a quelli che si possono vincere nelle lotterie di cui sopra).
  • Corse fuoristrada – Una delle novità di questo nuovo episodio era il debutto delle corse off-road, in un mondo aperto e liberamente esplorabile da cima a fondo. Purtroppo, la sua implementazione è alquanto discutibile, perché l’intrinseca imprevedibilità di gare di questo genere, affrontate su percorsi accidentati e pieni di ostacoli, mal si sposa con una fisica spesso ballerina e non proprio impeccabile, per cui l’impatto con un minuscolo masso rischia di intraversare la macchina di 180°, o un contatto con un avversario di creare una carambola con rimbalzi e piroette che genera situazioni gestite in totale causalità, per cui si rischia – come è accaduto anche a me – di dover ripetere alcune gare tante, tante volte, con l’unica speranza che non succedano cose strane, e che vada tutto più o meno bene. Non sono uno che si nasconde da una sfida, quando ben fatta, ma nelle corse in fuoristrada (e in alcuni frangenti, per gli stessi motivi, anche le fughe dalla polizia) di Need For Speed non c’è alcun merito nel cercare di guidare bene o nell’impegnarsi di più, perché è il caos che deriva da eventi fuori dal nostro controllo a determinare in molti, troppi casi, l’esito positivo o meno di una gara.

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LA DURA LEGGE DEL CHECKPOINT

A questo punto, direi che è il caso di passare rapidamente in rassegna gli elementi che potremmo definire “meh.”, quelli che mi hanno convinto solo a metà, e che avrebbero potuto essere sviluppati meglio.

  • Il dominio dei checkpoint – Ogni singola gara di Need For Speed Payback è regolata da checkpoint da attraversare, che si tratti di corse contro il tempo, di competizioni normali e persino di fughe dalla polizia. Quest’ultima modalità, in particolare, affrontata in questo modo rasenta quasi il ridicolo, perché non serve provare a seminare i poliziotti (o gli sgherri della Loggia) prendendo viuzze laterali, nascondendosi sotto un cavalcavia e spegnendo la macchina, o mettendo in atto tutte le tattiche imparate nel corso degli anni. Basta arrivare all’ultimo checkpoint prima dello scadere del tempo – sempre abbastanza generoso – e i poliziotti si dileguano letteralmente nel vuoto, segnalando alla centrale che il sospetto si è allontanato o non è possibile proseguire l’inseguimento, anche in piena autostrada, con le volanti a pochi metri di distanza da noi.
  • La storia – Ora, capisco che scrivere una trama interessante su corse clandestine, fazioni che “governano” la città ecc. non dev’essere banale, ma per qualche motivo gli sceneggiatori di Ghost Games sono riusciti comunque a dar vita a una vicenda che oscilla tra l’imbarazzante e il caotico. Che uno non pretende Shakespeare, eh, però un minimo di “ciccia” avrebbe pure interesse a trovarlo, in un setting che comunque ha del potenziale, ma che viene bruciato da luoghi comuni, stereotipi, brofist e una voglia di osare pari a zero. Oltre che una seria carenza di spessore, i personaggi soffrono della sindrome da Suicide Squad (il film): in teoria sono tutti criminali incalliti brutti e cattivi, ma nei fatti sono bravi ragazzi, tutto è tremendamente politically correct, non vola mai una parolaccia o – non sia mai! – un proiettile. In questo contesto un po’ strano, non aiuta il fatto che il gioco ci metta di volta in volta nei panni di questo o quel personaggio, a seconda della disciplina richiesta, rendendo molto più complicato riuscire a stringere un qualsivoglia legame con uno qualsiasi di loro. Ho trovato particolarmente fastidiosa, inoltre, la continua e insistente presenza di frasi di auto-incoraggiamento pronunciate dal pilota di turno a ogni pié sospinto, cose come “Dai, che ce la posso fare!“, oppure “Mangia la mia polvere!” (e il doppiaggio, in generale, non è di quelli da spellarsi le mani). Roba da mettere il mute alle casse.
  • Una generale mancanza di originalità – Se come me avete una passione per gli arcade di corse ignoranti e caciaroni, potreste aver sentito parlare di giochi come Forza Horizon 3, o The Crew. Come avevamo già avuto modo di dire alle fiere, e la prova di questi giorni ce l’ha confermato, il nuovo Need for Speed attinge a piene mani da questi (e altri) titoli: i punti reputazione che salgono man mano che si corre e si fanno cose (distruggere elementi della strada, derapare, andare contromano ecc.), le sfide che compaiono dinamicamente sul tracciato (derapata, velocità, autovelox, altri piloti ecc.), i cartelloni da abbattere sulla mappa, le casse da raccogliere e portare all’obiettivo, l’idea delle carte di equipaggiamento a fine gara, le diverse “build” (o classi) di vettura disponibili… La cosa di per sé non è del tutto negativa, anche perché, almeno per quanto riguarda l’open world, quel che è stato copiato è stato copiato bene, e in alcuni casi anche migliorato, ma certo priva Need for Speed Payback di una sua personalità ben definita.

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IL BELLO DELLA VELOCITÀ

Need for Speed Payback ha anche dei lati positivi, però, alcuni aspetti che rendono divertente giocarci (e anche per questo fanno particolarmente rabbia i “no” di cui sopra).

  • Open world – Al netto di una certa mancanza di personalità, non c’è dubbio che l’insieme nel suo complesso funzioni e abbia un suo fascino: la mappa di gioco è molto grande, con diversi biomi da esplorare e scoprire, centinaia di attività in cui cimentarsi e che, una volta conclusa la campagna principale, rappresentano un motivo più che valido per continuare a solcare le strade di Fortune Valley. In particolare, mi sono piaciute le sfide contro i Piloti Nomadi, i membri delle fazioni che abbiamo affrontato nella main quest, e che possiamo incontrare in giro qua e là, e sfidare in gare veloci. Ogni pilota nomade può essere sfidato tre volte, e una volta sconfitti tutti, rimane la gara contro il capo-fazione. Bella anche l’idea dei “Catorci“, già vista altrove, ma qui ulteriormente ampliata e trasformata in una vera e propria caccia al tesoro, in cui studiare gli indizi, esplorare la mappa e trovare i vari pezzi da far assemblare in officina. Una volta rimesse in sesto, le vecchie auto possono essere assegnate a una delle cinque classi disponibili, e “pimpate” in maniera decisamente accattivante. Ci sono poi sfide di velocità, di derapata, autovelox, salti e collezionabili da raccogliere, abbastanza da tenervi impegnati per parecchio tempo.
  • Le missioni “principali” – Tra una fazione e l’altra da sconfiggere ci sono le missioni della trama principale che portano avanti il racconto vero e proprio: sono quelle dove si concentra tutta la parte “blockbuster” del gioco, quella più alla “Fast and Furious” per intenderci, con improbabili furti di auto rivestite d’oro, camion fuori controllo, elicotteri da abbattere a suon di sbandate ed esplosioni a non finire. Non sono molte, ma divertono parecchio.
  • Tuning ed editor di livree – Ammetto di aver trascorso una quantità non indifferente di tempo nel garage del gioco, a smanettare con kit estetici, vinili, parti di ricambio e verniciature speciali. La parte di “pimpaggio” della macchina riprende la base – già ottima – dello scorso anno, migliorandola e rifinendola. Il risultato complessivo è una goduria assoluta, che regala grande libertà creativa a chi si diverte a mettere in strada la macchina più tamarra possibile, con un editor di livree potente e facile da utilizzare, e una gestione dell’estetica delle macchine davvero ben fatta. L’assetto può essere modificato in modo da renderle ancor più agguerrite, decidendo l’inclinazione delle ruote e l’altezza da terra, mentre fuori dal garage è disponibile la funzione di live tuning che consente in tempo reale di agire sui parametri della macchina, in modo da variarne leggermente il comportamento su strada, privilegiando la stabilità alla velocità, la risposta dello sterzo e cose del genere. Nulla di profondo o macchinoso, ma incisivo quanto basta da avvertire le differenze tra un’impostazione e l’altra, e assecondare meglio il proprio stile di guida.
  • Scommesse bonus – Prima di ogni gara è possibile accettare o rifiutare una scommessa, che se raggiunta permette di aumentare sensibilmente il (magro) montepremi, e che consiste in un obiettivo di volta in volta diverso e legato alla tipologia di corsa: rimanere in testa per tot secondi, evitare collisioni con altri veicoli, saltare per un tot di metri, ecc. Gli obiettivi sono spesso divertenti, e in generale il meccanismo funziona bene, anche perché ripetendo le gare le scommesse si fanno via via più difficili e impegnative. Visto che c’è da grindare, almeno così ci si diverte un po’ di più!
  • Modello di guida – Escluse le corse off-road, che necessitano di essere limate e sistemate un po’ prima di risultare davvero godibili, le macchine di Need for Speed Payback continuano a rimanere uno spasso da guidare, anche nella modalità free roaming. Le differenze tra una vettura e l’altra si sentono soprattutto nel caso di grossi sbalzi di potenza, e la maggior varietà di esperienza deriva soprattutto da come si comportano le diverse classi a disposizione, con quelle di corsa e fuga più versatili e divertenti nel gioco libero. Il controllo è sempre immediato, intuitivo e appagante, ed è sicuramente uno degli aspetti più riusciti del gioco. Ritornano le gare Drag, col cambio obbligatoriamente manuale, in cui ingranare marcia al momento giusto e gestire l’acceleratore con particolare delicatezza. Ottimo anche il drift, migliorato rispetto allo scorso anno, con derapate più facili da controllare e un sistema un po’ meno penalizzante per il calcolo del punteggio.
  • Possibilità di mettere il gioco in pausa – Sembra una sciocchezza, ma poter fermare tutto per rispondere al telefono, o fare genericamente altre cose, è un “lusso” che lo scorso anno ci era stato negato, e di cui non possiamo non apprezzare il ritorno (e in single player si può pure essere offline).need for speed payback recensione

    NON PERVENUTO

    Non mi sento di esprimere alcun giudizio sul comparto multiplayer, che non rappresenta comunque il piatto forte del gioco. Ho provato in diverse occasioni a entrare nelle lobby e nelle partite (classificate e non), aspettando in alcuni casi anche intere mezz’ore, senza che il sistema riuscisse a trovare altri giocatori con cui correre. Al momento ci sono due modalità disponibili, su una mappa online che replica quella single player: la Speedlist casuale, che propone una serie di cinque gare da affrontare senza tanti patemi; la Speedlist classificata invece permette di raccogliere punti che consentono di aumentare il proprio grado di pilota. Prima di entrare in una qualsiasi delle lobby, si possono selezionare due auto (da corsa e fuoristrada) da utilizzare nel gioco, scegliendole dal proprio garage o prendendone una a prestito temporaneamente.

    Need for Speed Payback fa arrabbiare. Fa arrabbiare perché ci sono cose che proprio non vanno, e altre che invece funzionano a meraviglia, e vederle cozzare così tra di loro è un vero peccato. Spiace, perché alcune cose buone le porta a casa, non ultima la capacità di divertire gli amanti delle corse arcade, con il suo modello di guida “ignorante” e immediato, senza dimenticarsi di un open world non originale ma comunque ricco di opportunità ludiche, anche in ottica endgame. Ci sono un po’ di problemi di fondo, a partire da una storia assolutamente dimenticabile e un’implementazione dell’offroad tutta da rivedere; più di tutto, però, rimangono le forti, fortissime riserve per la gestione dell’economia di gioco e tutto il meccanismo di progressione, troppo penalizzante e rovinato dalla combo loot box + microtransazioni.

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Pro

  • Modello di guida arcade, semplice ma con alcuni elementi di personalizzazione, accessibile e divertentissimo.
  • Open world senza grande personalità, ma pieno di attività collaterali e sfide.
  • Le scommesse extra prima di ogni gara sono un'aggiunta ben fatta.

Contro

  • La progressione della carriera è rovinata dall'eccessiva enfasi posta sulla casualità dei potenziamenti e sul grinding.
  • Le loot box sbilanciano tutta l'economia di gioco.
  • Le corse offroad e le fughe dalla polizia vanno spesso a rotoli per problemi di gestione della fisica.
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Sufficiente

Il giovin virgulto si diletta con i racing game da molto prima che inventassero la ruota. Pare che Crammond, nei ritagli di tempo di Claudio, abbia usato delle sessioni di guida del nostro eroe per programmare l’IA dei piloti in GP2. Oltre ai titoli corsaioli, Claudio ama le avventure, le serie TV, i platform e gli FPS vecchia scuola.

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