Morire e ripetere: come il genere roguelike ha dato senso alla non-vita – Speciale

Qualche mese fa, incantato com’ero da Hades II a seguito dell’anteprima che trovate sulla rivista e pure sul nostro bel sito, decisi di scrivere un racconto, quello di Supergiant Games. A distanza di tanto tempo dall’ultima parola intinta sulla pagina digitale blu e gialla di TGM, ho realizzato che il genere roguelike, ormai centrale della vita giocosa di qualsiasi utente PC, PlayStation, Xbox e Nintendo, è forse quello che riassume meglio cosa passa tre le mani di chi adora vivere e morire, e ripetere.

Penso al mercato di Steam, e in generale alle proposte sempre comuni e centrali all’interno della piattaforma di Valve. Esce un roguelike ogni mese. Talvolta anche tre, in alcuni periodi pare ne esca uno al giorno. Recentemente, dopo un anno e mezzo di Accesso Anticipato, su Steam è comparso Ravenswatch, un roguelike sviluppato da Passtech Games, coloro che ebbero l’idea fantastica di proporre un videogioco ispirato alla mitologia precolombiana, ovvero Curse of the Dead Gods. Al tempo, ben prima di giungere su TGM, lo recensì altrove, e compresi quanto potesse essere davvero profonda la Tana del Bianconiglio. Di Ravenswatch, tuttavia, ne parliamo bene dopo. Quando nel 2011 usciva Skyrim, e il mondo esplodeva di gioia nell’indossare i panni del Sangue di Drago, qualcuno ebbe la brillante idea di scatenare la fantasia dei giocatori e di proporre The Blinding of Isaac, opera su cui ho raccolto qualcosa come centocinquanta ore di gioco.

Su Steam è comparso Ravenswatch, un roguelike sviluppato da Passtech Games, coloro che ebbero l’idea fantastica di proporre un videogioco ispirato alla mitologia precolombiana, ovvero Curse of the Dead Gods

Fu in quel momento, un po’ per gioia quanto per dolore, che questo genere mi conquistò. Ora mi ritrovo a pensare a quante vite ho perso, mentre ripetevo costantemente un livello, e com’ero sciocco a pensare che sarei riuscito a farcela. Lo scopo di questo speciale è ricordare quelle vite perse nell’etere, ormai smarrite chissà dove, fluttuanti ed eteree come i portali magici di Avalon, accoglienti e ancestrali, nel dare sollievo ai viandanti in cerca di beltà.

LA MORTE SECONDO HEIDEGGER

Meditatio mortis. Non è una legge, quella pensata e proposta da Heidegger in Essere e tempo, una delle opere più memorabili nella cultura europea, bensì un’esortazione. “In ogni agire c’è una preparazione alla morte”, raccontava il pensatore tedesco. In seguito, tuttavia, rifletteva sulla figura di Platone, il quale pensava che l’esistenzialismo dell’essere umano dovesse essere al centro di ogni sua vittoria e rinascita. Non dico che entrambi, in un modo o nell’altro, anticiparono uno dei più grandi generi del mercato videoludico. Ebbero comunque l’intuizione di capire come mai, ora, il comportamento umano insegua qualcosa che è lontano e remoto.

Roguelike

Melinoe, ora tocca a te!

Il motivo per cui si è legati a questo genere – mi metto deliberatamente in mezzo – fa riferimento al sogno. Qualcuno disse che, per capire il presente, era bene cercare di vedere oltre la coltre di nubi che separava il regno di Morfeo da quello reale. È ciò su cui si bada, anche in modo palese, il genere roguelike. Perdere tutto per avere, dopo una vittoria, qualcosa in più. Esperienza in più. Un oggetto in più. Una consapevolezza maggiore. Non importa cosa, in effetti: andare avanti è la sfida che percuote la volontà del giocatore.

Meditatio mortis. Non è una legge, quella pensata e proposta da Heidegger in Essere e tempo, una delle opere più memorabili nella cultura europea, bensì un’esortazione

Citando Hades, per esempio, che è un esempio di grande ispirazione per l’intero genere, si comprende che il genere ha avuto un salto progressivo in avanti anche per il modo in cui sono state raccontate diverse tematiche. A ciò ci arrivo dopo, comunque, poiché è bene scindere cos’è l’esistenza e cos’è la morte. Nel roguelike, la morte avviene per qualunque genere di motivo: una trappola, un nemico più potente o, come accade sovente, a causa di un boss spietato che non si riesce a sconfiggere. La fascinazione di ogni tentativo è il percorso per cui prepararsi a ogni scontro, tentando di comprendere qualunque opzione, diventa parte del coinvolgimento stesso. Oltre che, com’è chiaro e ovvio, del divertimento. La frustrazione, talvolta, è inevitabile: non è facile perdere tutto. Non è accettabile morire, per sé stessi, così frequentemente. Così, avviene una cosa automatica, prevista anche dallo stesso Platone: il desiderio di rivalsa.

Cosa starà indicando?

Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non vi era la distinzione fra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione”.

Insomma, prima o poi si muore tutti… ma rinascere?

Aristofane, quando dettagliò queste parole, si riferiva all’umanità che era insita negli stessi Dèi. Certo, era strano per Platone intenderla in questo modo. Nel Simposio, tuttavia, dimostrò che la realtà delle cose era tale. Quando acquistiamo un roguelike, spesso pensiamo di acquistare un videogioco che è identico a tanti altri. È vero, alcuni non hanno una personalità, e talvolta alcuni sono la perfetta copia l’una dell’altra. Poi, però, ecco che esce un nuovo rappresentante del genere, quello che non ti aspetti. Finisce che ci passi sopra cento e passa ore e non sai com’è possibile. E alcuni di essi, peraltro, accade che su Steam siano in Accesso Anticipato. Mica male, vero?

Cartoline returnal 19

Per quale motivo le statue tengono le braccia verso l’alto?

Talvolta, penso che un accesso anticipato dichiarato dagli sviluppatori, ma soprattutto adoperato in modo sano, sia una soluzione fantastica per consentire ai giocatori di vivere l’esperienza in divenire. È come, che so, acquistare Il Silmarillion e, in seguito, recuperare i Racconti Perduti, i Racconti Ritrovati e i Racconti Incompiuti; ed è come acquistare le versioni estese di Beren e Lùthien, o La Caduta di Gondolin: un modo sano, insomma, per permettere al team di gettare una base consistente nell’edificazione del suo videogioco. È un po’ come fece Tolkien con Arda; solo che poi i libri si acquistarono completi. E anche grazie al lavoro del mai dimenticato Christopher.

IL LUPO CATTIVO, ATROPO, LA FUGA DALL’ADE

Come accennavo prima, sto giocando a un roguelike – quando non si tratta di giocare per lavoro. Sto parlando di Ravenswatch, produzione che, per un anno e mezzo, è rimasta in Accesso Anticipato fino alla pubblicazione della 1.0. È ambientato nel mondo delle fiabe, dalle stesse che prendono vita su schermo, con Cappuccetto Rosso, Beowulf, la Regina delle Nevi, Wukong e tanti personaggi dei miti e delle leggende mondiali ed europee. Già, è presente anche il Pifferaio Magico, se qualcuno se lo sta chiedendo, oltre ad ambientazioni meravigliose provenienti da Il Mille e Una Notte. Al suo interno, l’Incubo sta prendendo il sopravvento, con l’obiettivo di cancellare completamente qualunque parvenza di bellezza dal mondo – come la già citata Avalon, ad esempio.

Roguelike

Un po’ di paesaggistica!

Del come e perché io lo stia giocando così tanto non lo so; è di sicuro stato strano aver mollato la prima run a Star Ocean: The Second Story R per vivere al massimo questa esperienza che definire incredibile è eufemistico. Tuttavia, ancora manca molto al completamento effettivo dell’esperienza. La grande novità dell’opera, comunque, è la possibilità di vivere l’esperienza in cooperazione con altri giocatori, o in singolo, il che rende l’opera particolarmente longeva, specie quando si tratta di dover apprendere le caratteristiche di ciascun personaggio. Quando ciò avviene, insomma, aumenta progressivamente il desiderio di apprendere molto delle esistenze di ciascun personaggio giocabile. È una scelta coraggiosa, poiché è similare ai tanti RPG in salsa Diablo e non solo che, al momento, fa bene al mercato.

Del come perché io lo stia giocando così tanto non lo so; è di sicuro stato strano aver mollato la prima run a Star Ocean: The Second Story R per vivere al massimo questa esperienza che definire incredibile è eufemistico

Invece ad Atropo, ambientazione spaziale e a tratti orrorifica dell’esperienza di Housemarque, ho lasciato la mia anima. Anzi, oserei dire qualcosina di più: pure la ragione, e una cosa come centoventi ore di gioco. Non scherzo quando dico che, assieme ad Hades e Hades II, è per me il gioco della generazione, nonché uno dei migliori videogiochi che qualcuno potrebbe fare proprio su PC. Ebbene, questo capolavoro già lo conosciamo; c’era stato modo di parlarne in ogni modo possibile e immaginabile. Eppure, a differenza di tanti esponenti del genere, fa una cosa diversa e inedita: racconta un intero universo, quello insito nell’animo umano.

Cappuccetto rosso… Dove starai mai andando?

Entrare in sintonia con Selene diventa inevitabile. Diventa complesso capire se quello è un sogno o in incubo, e ogni morte vede il mondo cambiare, con la sua proceduralità che diventa il centro di tutto. Si perde, non si ha più alcunché; forse solo maggiore consapevolezza, ma a fatica. Il respiro è affranto. La mente esplode. È difficile capire cosa sia reale o meno: lo è solo il pianoforte. Quel suo candore trasuda speranza. Selena ne ha ancora, o sta morendo? Returnal fa capire che il ritorno in vita è più una maledizione che una benedizione: è l’antitesi del pensiero di Platone.

Entrare in sintonia con Selene diventa inevitabile. Diventa complesso capire se quello è un sogno o in incubo, e ogni morte vede il mondo cambiare, con la sua proceduralità che diventa il centro di tutto

Ecco che, però, Supergiant Games invece ha abbracciato quel modo di pensare. Sia nei panni di Zagreus che in quelli della piccola e letale Melinoe, sua sorella, Hades e Hades II mettono al centro del villaggio il giocatore. Il fallimento è dovuto, sovente, a una scelta errata di combinazioni. Sia chiaro, per ogni roguelike citato è pressocché identica la stessa regola. Una scelta sbagliata corrisponde al fallimento: sia Hades che Returnal, in tal senso, permettono di equipaggiare dei malus. Essi cambiano progressivamente ogni run, mettendo in difficoltà, ma talvolta consentendo di aumentare caratteristiche che un bonus non riesce neppure a scalfire neppure volendolo. Diventa, dunque, quasi divertente procurarsi del dolore per aumentare le possibilità di vittoria.

I ROGUELIKE NON SONO SOLO TRIDIMENSIONALI O ISOMETRICI, MA ANCHE…

In prima persona. Esatto, sorpresi? Penso al recente Wild Bastards, recensito sul nostro bel sito. Oppure a una cosuccia come Witchfire, o, che so, pure il mai noioso Gunfire Reborn. Queste produzioni consentono al giocatore di mettere letteralmente mano alla fantasia e convogliare diverse build come se fosse un videogioco tridimensionale o isometrico. Da grande appassionato di sparatutto in prima persona, come dettaglio oggi anche con la recensione di Kvark, il genere si è allargato anche in questa direzione.

Roguelike

Witchfire è veramente brutale.

Qualcuno pensa, e sono dell’idea che lo faccia un po’ erroneamente, che il troppo stroppia. Esiste però un genere che permette così tanta libertà d’azione, per un team di sviluppo? Cosa ho sempre amato dei giochi d’azione è la possibilità di concatenare abilità e devastare i nemici, di eliminarne a frotte, e di vincere e perdere a seconda della situazione. Ecco perché i roguelike non stancheranno e aumenteranno a dismisura: perché si avrà sempre, SEMPRE, voglia di giocarli. Anche perdendo la sanità mentale.

NB. Gli scatti su Returnal sono di Daniele “Alteridan” Dolce, redattore di TGM ma anche apprezzato fotografo virtuale.

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