Come i più attenti ai nostri canali social sapranno, ieri è stata una giornata movimentata, un po’ perché ho accumulato quelle settordici ore di viaggio per arrivare dal nord della perfida Albione a Roma (e che sto per ripetere in senso contrario, con buona pace del caldo sole capitolino), un po’ perché ho avuto la possibilità, nell’ambito del Let’s Play, kermesse dedicata ai videogiochi alla sua prima edizione, di fare un po’ di chiacchiere con Hajime Tabata, il game director di Final Fantasy XV. La cosa si è strutturata in due sessioni, una canonica intervista in una saletta appositamente organizzata (di cui leggerete in questi giorni sul sito), mentre l’altra, che è oggetto di questa riflessione, in una zona pubblica, visto che ho avuto il piacere e l’onore duplice di rappresentare TGM e moderare il meet & greet del cordialissimo Tabat-san con un gruppetto di fan selezionati attraverso i social.
Ecco, sono rimasto abbastanza sorpreso da quanto mi sia divertito a fare da tramite tra gli emozionatissimi giovani e l’interprete britannico di Tabata. Da appassionato ho sempre visto in maniera controversa eventi del genere, ma perché, tutto sommato, una parte di me si è sempre detta che “sai che palle a stare lì a fotografarsi con settecentomila persone e firmare le copie”; ergo, tranne un paio di casi ho sempre preferito evitare di essere quel +1 nella coda, come se potesse cambiare qualcosa. Ecco, ieri ho definitivamente cambiato idea, perché stare dall’altro lato del tavolo – sebbene solo come moderatore – ti fa vedere davvero gli occhi emozionati di chi sta vivendo un momento indimenticabile. Inoltre, mi ha colpito molto la voglia di Tabata di conoscere, seppur nei tre minuti concessi a ogni ragazzo, la loro storia, il loro rapporto con Final Fantasy XV o Crisis Core o Type-0, di leggere nei loro commenti qualcosa che, un giorno, potrebbe essere utile al suo di lavoro.
Eventi che triangolano sviluppatori, stampa e giocatori, possono servire davvero a parlare di videogiochi in maniera sensata e aprire nuove prospettive
È stato emozionante, interessante e, soprattutto, stimolante. Nonché l’ennesima prova che il confronto, la voglia di conoscersi e la possibilità di andare oltre i soliti discorsi relativi ai voti, alle performance e quelle cose lì, servono a far crescere un po’ tutti, ma soprattutto ad avere un’idea più chiara di come raccontare un prodotto e la sua vita nel corso del tempo. Alla fine, a luci spente, mi sono ritrovato anche un autografo con dedica e ringraziamento di Tabata, cosa, che fino a qualche tempo fa, non avrei minimamente considerato importante in sé – non lo chiedo manco ai giocatori del Napoli che incontro per strada, per intenderci! – e che invece costituirà per me un bellissimo ricordo.