Il piacere di tenerli in tasca

Il piacere di tenerli in tasca

Io ho un problema. No, avete ragione, in realtà ho molti problemi, ma in questo momento preciso sento di averne uno in particolare, ed è legato a quella dannata bestia chiamata backlog che ci tormenta. Oggi non mi lamenterò della pila di titoli che attende di essere giocata, del tempo che scarseggia, del dramma degli sconti che ci spingono ad acquistare tutto e altri argomenti triti e ritriti. Oggi trovo giusto esternare la mia gioia nell’essere un accumulatore compulsivo.

Possedere un videogioco, seppur in forma digitale, per il mio subconscio è come una specie di investimento per il futuro. Pienamente consapevole di non aver nemmeno il tempo materiale di scaricarlo dall’internet, ciò non rappresenta affatto un problema per il piccolo maniaco nascosto dentro di me: il solo fatto di possederlo e di leggerne il titolo nella mia libreria virtuale, mi fa sentire bene. È vero, probabilmente sto rasentando qualche patologia psichiatrica, eppure al minimo dubbio sul mio incauto acquisto spunta la solita vocina dal mio cervello (siamo molto amici ormai io e quella vocina, dovrei darle un nome) che mi rassicura in decine di modi: “Ora che possiedi quel titolo puoi giocarci quando vuoi!”, “Lo tieni per un periodo di magra(?)”, “Metti che ti viene voglia basta un solo click!” e così via.

Il piacere di tenerli in tascaMi sono reso conto che quella vocina ha dannatamente ragione da quando ho in qualche modo riscoperto il gaming su dispositivi mobili: la mia vecchia padella, un Android da 7 pollici che mi ha servito in maniera più che ottima per due anni, ha tirato le cuoia un annetto fa e ho passato gli ultimi mesi a ripiegare da un telefono all’altro, senza però aver modo di cedere pienamente alla gioia del giocare seduto sul trono. Da una decina di settimane mi è però tornato in tasca un nuovo smartphone, e con esso è rispuntata la voglia di giocare in ogni luogo e in ogni lago. Io, da bravo guerriero, mi ero preparato a questo momento già da tempo: quando Humble Bundle – sempre sia lodato – proponeva qualche pacchetto zeppo di titoli Android, io, anche senza un dispositivo per farli girare, li compravo. La vocina nella testa esultava più che mai: “Bravo! Appena avrai un telefono o una tablet ci sarà festa grossa!”. Questa volta, però, i videogiochi li installo veramente. Solo che non li apro.

Durante dei saldi a caso, grazie a una soffiata dell’amico Paglianti, ho comprato in piena crisi d’astinenza XCOM: Enemy Within, trasposizioni pressoché identica della versione per PC del titolo Firaxis che, ormai non è un segreto, amo visceralmente. Ebbene, anche se non l’ho mai avviato, nemmeno per sbaglio, l’avere in tasca tutto quel ben di Dio è una sensazione che adoro. Dicasi lo stesso per le vecchie avventure grafiche che hanno accompagnato la mia infanzia: vedere i vari CD impilati in salotto non mi dà lo stesso piacere che tenere tutti quei titoli in tasca, meravigliosamente giocabili grazie allo ScummVM.

Possedere un videogioco, seppur in forma digitale, per il mio subconscio è come una specie di investimento per il futuro

Ora che me ne rendo conto, mi sento meglio con me stesso. Una volta giunto alla conclusione che spesso trovo più godurioso possedere un titolo che giocarci, anche solo per mostrarlo a qualche amico curioso con tanto di ammiccamenti soddisfatti, ho meno paura di affrontare quella bestia chiamata backlog, che da nemica sta lentamente diventando una mia alleata. Detto ciò posso mettere in download i primi Tomb Raider consapevole che non ci giocherò mai e, al contempo, felice di tenere Lara in tasca, pronta a esplorare tombe dimenticate in qualsiasi momento. Come, ad esempio, durante le ore passate nella sala d’attesa di qualche bravo psicologo.

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