Dragon Ball Fusions è un po’ come Pokémon con i personaggi creati dalla mente di Akira Toriyama. Si va in giro (OK, in realtà si vola, ma ci arriviamo subito) per una mappa divisa in regioni e si “acchiappano” guerrieri con cui rimpolpare la nostra squadra al grido di Gotta Catch ‘Em All. Solo che, al posto di rinchiuderli nelle abusatissime Poké Ball, i nostri potenziali compagni vanno riempiti di botte fino a inculcare nelle loro fallaci menti il desiderio di seguirci. Con le buone maniere – si sa – si ottiene tutto, ma anche le buone idee non sono da sottovalutare: avendo perso ormai il conto di tutte le volte che ho dovuto rivivere l’epopea del Saiyan cresciuto sulla terra dai tempi del Famicom, apprezzo particolarmente la direzione presa dal qui presente Dragon Ball Fusions o dalla serie Xenoverse. Storie nuove, con personaggi originali, addirittura; poco importa se lo spessore della narrazione possa essere riassunto dietro un biglietto del tram strappato, come in questo caso.
BING BANG ATTACK!
Dragon Ball Fusions ci permette di creare un personaggio da zero, scegliendo tra razze come terrestri, Saiyan, Namecciani, alieni e Majin (ognuna con pregi e difetti), e renderlo il muto protagonista di una storia in cui tutti gli altri parlano parecchio. Come il nostro miglior amico/rivale Pinich, per esempio, con cui condividiamo la ricerca delle Sfere del Drago al fine di trovare avversari straordinari contro cui misuraci e decidere – una volta per tutte – chi è il più forte. Shenron, quindi, esaudisce il desiderio alla lettera, catapultando i due in una dimensione parallela popolata da centinaia di guerrieri pronti a darsela di santa ragione. Quando parlo di centinaia non scherzo: il numero dei personaggi reclutabili in Dragon Ball Fusions è davvero sbalorditivo, tra lottatori “ufficiali” e creati ex novo, con un roster che include oltre mille volti! Ovviamente, i nuovi venuti non possono vantare il background di Trunks o Piccolo, ma è apprezzabile che dalle parti di Ganbarion abbiano pensato di dotarli di almeno un trafiletto di storia, donando una qualche personalità a quelli che, altrimenti, sarebbero stati solo un’accozzaglia di statistiche e mosse speciali.
Considerando che il loro reclutamento avviene solitamente in seguito a una buona rissa, è una fortuna che il sistema di combattimento sia uno dei punti di forza del gioco, combinando strategia a turni, un pizzico d’azione e… il biliardo. Tutto gioca attorno alla timeline alla base dello schermo, che scandisce l’ordine di azione: la strategia ideale consiste nel colpire duro i membri della squadra avversaria per posticipare il loro turno, possibilmente spedendoli fuori dall’area di gioco per massimizzare il danno e costringerli ad attendere inermi ancora di più. Nonostante il combattimento sia principalmente a turni, si avvale di brevi sequenze in tempo reale per donare un po’ di pepe alla tenzone. Quindi, ogni attacco corpo a corpo è preceduto da una schermata in cui il difensore sceglie, nell’arco di un paio di secondi, la direzione dove alzare la guardia, che ridurrà enormemente il danno inflitto qualora l’attaccante colpisse lì.
Comunque vada, l’attacco produrrà una scenetta ricca di azione ed effetti pirotecnici dove l’aggressore (e i suoi compagni, qualora il loro turno sia prossimo) assesterà il dovuto danno prima di lanciare via l’avversario, possibilmente alla volta di altri guerrieri. Il segreto per fare danni enormi è creare gigantesche reazioni a catena, dove il poveraccio travolge i compagni o è scalciato dai membri della squadra avversaria, possibilmente fuori dal ring. Da qui l’importanza di scegliere la direzione di attacco, per creare vere e proprie carambole ai danni del nemico. Volendo andare sul sicuro, gli attacchi di tipo aura non possono essere bloccati, ma non sono altrettanto potenti, né garantiscono la medesima spinta di calci e pugni. Questi ultimi differiscono però in base alla tipologia del personaggio, un sistema simile al celebre “triangolo” di Fire Emblem.
Vincere frutta esperienza e anche mosse speciali
L’attacco aura dei guerrieri tecnici interesserà quindi una ristretta area, quello dei personaggi veloci colpirà tutti i nemici disposti in linea retta e, dulcis in fundo, i forti concentreranno un unico, potente raggio d’energia alla volta di un singolo avversario. Il tutto va condito da potenti tecniche come Kamehameha o Makankosappo, utilizzabili dopo aver accumulato la giusta quantità di aura e capaci di annichilire l’intera squadra avversaria se usati al momento giusto. Vincere frutta esperienza e anche mosse speciali, da aggiungere o sostituire alle tre in dotazione, ovviamente a seconda del personaggio. Non sia mai che Goku utilizzi il Garrick Cannon di Vegeta, insomma.
DODONPA!
Quando non si combatte, si vola liberamente nelle varie regioni che danno vita al gioco, realizzate con un coacervo di ambientazioni prelevate dalla saga di Dragon Ball, come la sede della Capsule Corporation, la Kame House o il ring del Cell Game. Svolazzando in lungo e largo, sbatteremo il muso contro personaggi ansiosi di affidarci qualche missione (con in palio esperienza o il reclutamento di particolari guerrieri) e un buon numero di avversari, anche loro indaffarati a imitare Icaro, nonché contraddistinti da un particolare colore e dal loro livello ben in vista, utile per evitare di attaccare briga contro i pesi massimi. Sconfiggendo o aggiungendo alle nostre fila gli avversari, acquisiremo il tipo di energia corrispondente al loro colore, una meccanica che, alla lunga, rischia di rallentare un po’ troppo il gioco. I combattimenti di Dragon Ball Fusions, per quanto esaltanti, tendono infatti a diventare piuttosto lunghi, specie quando ogni squadra schiera in campo cinque guerrieri, ognuno con una riserva massiccia di punti ferita. In queste situazioni, “grindare” l’energia necessaria per abbattere le barriere spaziotemporali e accedere a zone inizialmente precluse potrebbe diventare una seccatura, ed è per questo mi rallegro della natura portatile del gioco. Dragon Ball Fusions è infatti adatto a piccole sessioni mordi e fuggi, per evitare che la sua plateale monotonia non diventi eccessivamente fastidiosa.
Graficamente il gioco è davvero ottimo (anche se non c’è traccia di effetto 3D), con un sonoro che richiama efficacemente le atmosfere della serie e un sistema di combattimento divertente, tuttavia estremamente ripetitivo nelle meccaniche. C’è da complimentarsi con Bandai Namco riguardo al modo in cui il gioco centellina le novità per tenere alta l’attenzione, introducendo pian piano nuove meccaniche. La più intrigante riguarda le fusioni che danno il nome al gioco; se all’inizio potremo sfruttare la forza di Gotenks, facendo mettere da parte ai piccoli Trunks e Goten abbastanza energia, andando avanti conquisteremo la possibilità di fondere i cinque guerrieri che compongono la squadra in un unico, potentissimo essere. In questi momenti la strategia cede il posto a un breve intermezzo arcade dove il button mashing la fa da padrone, con il giocatore intento a pigiare pulsanti come un ossesso per devastare brutalmente la squadra avversaria e concludere il tutto con un’esplosione termonucleare globale, solitamente sufficiente per concludere il combattimento al primo colpo! Ovviamente, si tratta di una risorsa da usare con parsimonia, soggetta al riempimento di un’apposita barra che serve anche per sferrare gli attacchi Zenkai, una combinazione tra assalto corpo a corpo e mosse speciali potenti, nonché indispensabili per reclutare i nemici contraddistinti da una stella, che si uniranno al nostro gruppo solo se sconfitti in questo modo.
Dragon Ball Fusions si rivolge ai fan del Bird Studio, con un quantitativo abnorme di cammei
Dragon Ball Fusions mi è piaciuto molto: benché ripetitivo, piuttosto lento (capita, quando anche i nemici iniziali hanno camionate di punti ferita) e generalmente alquanto semplice, è tuttavia dotato di un sistema di combattimento che unisce strategia alla caciara più becera, capace di ricordarmi con i suoi “palleggi” il buon vecchio Idainaru Dragon Ball Densetsu per Saturn, uno dei miei guilty pleasure preferiti. Piacerà tantissimo ai fan, perlomeno a quelli che non disdegnano un po’ di strategia.