The Red Strings Club - Recensione

PC

A quasi quattro anni da Gods Will Be Watching lo studio spagnolo Deconstructeam si dimostra una delle software house indipendenti più interessanti d’Europa, e riparte sostanzialmente da dove aveva terminato la sua ricerca. La peculiarissima avventura grafica pubblicata nel 2014, infatti, metteva i giocatori nei panni di diversi personaggi nella gestione di momenti di crisi, soverchiati dalle scelte e con la consapevolezza di dover gestire risorse limitate, minimizzando per quanto possibile le perdite. Un compito emotivamente devastante, gestito attraverso un gameplay a volte anche frustrante, ma che ben rappresentava il concetto di situazione limite, e macchiato soltanto da una curva delle difficoltà fin troppo ripida al lancio, sebbene mitigata in un secondo momento tramite una patch. Memore di quanto accaduto con lo scorso titolo, The Red Strings Club arriva sotto forma di avventura narrativa senza failure state, ma non rinuncia a decostruire il gameplay dei classici punta e clicca per offrire una prospettiva completamente diversa sul genere, andando a scavare nei meandri della natura umana per far emergere contraddizioni e dilemmi di natura etica, ponendo al solito l’intero fardello della scelta sul giocatore. D’altronde, il nome dello studio è chiaramente una dichiarazione di intenti.

BARISTA CYBERPUNK

The Red Strings Club, proprio come Gods Will Be Watching, arriva sui nostri monitor dopo diversi esperimenti, legati a game jam, dove è evidentemente nato il concept di gameplay. Mi riferisco in particolare a Supercontinent Ltd e Zen and the Art of Transhumanism (disponibili entrambi sulla pagina itch.io dello studio) che rappresentano praticamente due dei quattro momenti importanti del’avventura, e che hanno svolto la funzione di cominciare a esplorare il concetto di etica all’interno di un mondo cyberpunk. L’ambientazione, in realtà, funge da sfondo per portare in scena, in maniera totalmente estremizzata, una serie di faccende morali incredibilmente contemporanee, e The Reds Strings Club non si fa il problema a mettere sul piatto della bilancia questioni come omosessualità, libertà dei costumi, condizione della donna ed etica dei social media e del marketing. Non siamo però davanti a un panegirico dell’agenda politica dei social justice warrior, e per quanto è evidente che su alcuni temi la posizione dello studio sia chiara, qualsiasi questione è mostrata da diversi punti di vista, sottolineandone i diversi punti di forza ed evidenziando in maniera quasi dirompente le contraddizioni che animano qualsiasi tipo di discussione riguardo a temi caldi.

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The Reds Strings Club non si fa il problema a mettere sul piatto della bilancia questioni etiche e sociali importanti

Averli spostati in un contesto cyberpunk dall’ispirazione dickiana non ha fatto altro che dare a Deconstructeam la chance di contestualizzare in maniera molto abile una serie di scelte di gameplay. Apparentemente, però, il copione sembra assolutamente canonico: una metropoli piovosa, un bar dove un musicista con degli innesti suona un jazz malinconico, e sullo sfondo una corporazione senza scrupoli. Il punto di partenza è esattamente quello, ma Donovan e il suo bar non sono un posto qualunque. Il fascinoso proprietario del Red Strings Club ha, infatti, un potere particolare: riesce a interpretare lo stato d’animo delle persone e, come suggerisce il nome del locale, sa toccare le corde giuste per indirizzare il mood del cliente attraverso i cocktail che serve; tra l’altro, grazie al suo talento, si è costruito una torbidissima carriera da informatore. Il giocatore, chiamato in causa direttamente da Donovan nel prologo dell’avventura, altri non è che la sua musa ispiratrice, e guiderà la sua mano sapiente per spingere in una direzione piuttosto che in un’altra l’animo dei personaggi che si siedono sugli sgabelli del club, mettendoli nella condizione di rispondere in maniera esaustiva a una serie di domande e indagare sulla misteriosa corporazione. Sì, perché tra una vodka, un assenzio e un bourbon, c’è una rivoluzione da fare.

IN VINO VERITAS

The Red Strings Club è un titolo di mediazioni, che pone continuamente domande e scelte al giocatore. La meccanica dei drink è assolutamente manuale: bisogna versare ogni alcolico nel bicchiere, gestire le dosi e il ghiaccio. Ogni componente sposta lo spettro emotivo in una direzione, e bisogna intercettare alcuni indicatori che rappresentano la capacità di Donovan di leggere gli stati d’animo dei clienti. Durante l’avventura si sbloccano alcuni elementi aggiuntivi che rendono più interessante servire i drink e ci sono alcune pulsioni che sono nascoste, dunque c’è spazio per l’improvvisazione, ma la meccanica non è mai una vera e propria sfida, quanto più un supporto brillante a un sistema dialogico a scelta multipla classico, ma non banale.

the red strings club recensione pcDonovan non è l’unico personaggio chiave della vicenda: c’è il suo compagno, Brandeis, un hacker eroe nichilista che vive male il suo essere “potenziato” attraverso innesti cibernetici, e Akara-184, un androide che si presenta al club mezzo distrutto dopo essere fuggito dalla sede Supercontinent LTD. Entrambi i personaggi portano con sé una meccanica tutta loro: l’androide rappresenta la chiave narrativa della vicenda, visto che svela ai due umani il piano di controllo sociale della compagnia e offre il suo aiuto, dal momento che si tratta dell’unico robot in grado di analizzare lo spettro emotivo degli esseri umani. Questo gli dà due poteri: il primo, utilizzato nel prologo, è quello di sintetizzare moduli di aggiornamento realizzati manipolando, tipo argilla, un materiale sintetico sul tornio, dopo aver interpretato i desideri dei clienti, mentre il secondo è quello di fungere da analista delle conversazioni di Donovan. In sostanza, dopo aver interrogato qualcuno, l’androide ci pone un questionario di analisi composto da dieci domande sulla vera natura della persona che abbiamo avuto di fronte: con sette risposte corrette, abbiamo diritto a un premio, oltre che a considerazioni ironiche sul concetto stesso di game design. Si tratta di una dinamica efficace, che mantiene altissima l’attenzione del giocatore sui dialoghi e ci costringe davvero e interpretare le parole dei clienti. Al di là delle informazioni oggettive recuperate durante le conversazioni, il processo deduttivo è così a carico del giocatore, e di conseguenza le scelte morali diventano decisamente più pesanti e interessanti. L’ultima domanda di ogni questionario, tra l’altro, ci mette di fronte a un quesito di tipo etico, ed è lì che spesso Akara-184 è in grado di mettere a nudo le contraddizioni del pensare comune.

The Red Strings Club è un titolo di mediazioni, che pone continuamente domande e scelte al giocatore

Discorso diverso per Brandeis, visto che a lui è affidato il compito di essere il braccio rivoluzionario. A riguardo, la scelta di Deconstructeam è curiosa: attraverso l’elisione delle scene d’azione, e in maniera coerente con l’idea di basare il gioco sulle conversazioni, non vediamo mai l’hacker davvero all’opera, ma siamo con lui solo nei momenti in cui bisogna risolvere le questioni attraverso il dialogo. In questi momenti The Red Strings Club si fa più simile a Gods Will Be Watching, e si tratta di avere tra le mani il destino di un personaggio in un caso, mentre nella parte finale, meno brillante, siamo nel campo di una normale avventura grafica, e si può procedere quasi per tentativi. Questo non toglie nulla a una scrittura e un design che riescono sempre a instillare il dubbio nella mente del giocatore e a tenere alta la tensione, ma che trova comunque il punto più alto nelle sequenze al bar.

IL LATO B DI UNA RIVOLUZIONE

The Red Strings Club tiene fede al suo titolo e tocca le corde giuste, accompagnando il giocatore verso la fine in maniera elegante e appassionante; pur perdendo un attimo di ritmo nell’ultimo atto, riesce a compensare con un’ottima sequenza finale (non dimenticate la scena post-credits!). In maniera molto trasparente Decostructeam mostra da subito la fase conclusiva, i nodi narrativi presenti non possono cambiare l’epilogo, ma soltanto modificare il destino dei personaggi coinvolti e il senso della storia. Ho rigiocato The Red Strings Club una seconda volta, e avrò esplorato soltanto una metà delle possibilità, e per quanto la prima run (che dura una serata) mi sia sembrata chiaramente più emozionante e veritiera, ammetto che, così come mi è accaduto con Pyre, la brillantezza del sistema narrativo invoglia tantissimo a riprendere in mano l’avventura.

The Red Strings Club è una malinconica avventura che mette a nudo le idiosincrasie del genere umano

Rispetto a Gods Will Be Watching, la nuova creazione di Deconstructeam è più intima e ha uno scopo più piccolo, ma proprio per questo motivo risulta un’esperienza più coerente e rifinita. Dalla pixel art più dettagliata alla qualità superiore di ogni elemento della messa in scena, fino a una colonna sonora che unisce al meglio le atmosfere cyberpunk all’intimità della storia, The Red Strings Club è una malinconica avventura che mette a nudo le idiosincrasie del genere umano, e ci costringe a fare i conti la nostra fallibilità. Se Gods Will Be Watching raccontava il lato oscuro dell’eroismo, in questo caso lo studio spagnolo mette sul piatto della bilancia il senso stesso del concetto di umanità. Qualunque lettura vogliate dare alla vostra rivoluzione, le risposte che cercate sono probabilmente in un bicchiere, lo stesso che riempirete più volte per dimenticare le conseguenze… di quelle risposte.

The Red Strings Club conferma l’abilità di Decostructeam di utilizzare i videogiochi per indagare nell’animo umano. Il “sistema alcolico” che regge le conversazioni al bar di Donovan è meraviglioso, ed è vivida e impagabile la sensazione di essere un vero barista disilluso, capace di scrutare l’animo dei clienti. La scrittura complessiva ci mette davanti a una vicenda cyberpunk abbastanza classica, ma le scelte morali e i temi affrontati nelle singole conversazioni sono interessanti e costringono sempre a ponderare bene le risposte. The Red Strings Club è una brillante avventura narrativa fatta per lo più di dialoghi e considerazioni etiche sulla tecnologia, in cui l’azione è soltanto suggerita e dove le sfumature (alcoliche e morali) fanno la differenza. Se l’idea vi aggrada e l’inglese non è un problema, accomodatevi pure al bancone, perché Donovan ha di sicuro il drink che fa per voi.

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Pro

  • Sistema dialogico fantastico.
  • Gampelay integrato benissimo nella narrazione.
  • Stile meraviglioso.
  • Buon approccio ai temi sociali.
  • Rigiocabilità interessante.

Contro

  • Ultimo atto un po’ meccanico.
  • Tanto testo, tutto in inglese potrebbe risultare un problema per qualcuno.
8.7

Più che buono

Se serve un tuttofare il buon Mancini è l’uomo da chiamare. La nostra principessa fotografa, usa la videocamera come se fosse un’estensione naturale del corpo e monta video manco fosse in una catena di montaggio. Ah… e scrive anche. Insomma… il classico “bravo guaglione”.

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