Se, nella mia inarrestabile voracità di opere di genere, Ubik di P.K.Dick ha segnato il mio punto di riferimento assoluto per la fantascienza, la lettura de Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller ha fissato per sempre quello dei fumetti, non meno importante per uno che, all’epoca, frequentava insaziabilmente le edizioni del Lucca Comics, quando ancora si svolgevano nel Palazzetto dello Sport. Furono anni magici di continuo aggiornamento sugli autori europei più impegnati, da Moebius a Enki Bilal, passando per Manara e il recupero (ugh, mi fa ancora male il pensiero) di Andrea Pazienza; fra di loro, tuttavia, in termini di risultati artistici, facevo convintamente rientrare statunitensi e inglesi come Miller, Alan Moore o, dalla parte del puro disegno, Bill Sienkiewicz, Brian Bolland e Dave McKean, artefici di una nuova e più matura stagione per i supereroi.
La lettura de Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller ha fissato per sempre il mio punto di riferimento nella letteratura supereroistica
Tutti, ormai, conosciamo queste caratteristiche, e anche chi non ne sapeva niente le imparò attraverso i videogiochi: da una parte l’attitudine metodica all’investigazione, aiutata dalla sapienza nell’uso e sviluppo di nuove tecnologie; dall’altra, uno stile di combattimento che – uomo tra gli uomini – Batman non poteva che sfruttare in una doppia ma coerente direzione, col continuo alternarsi di risse con avversari multipli e, in caso questi fossero armati, con un lento e teatrale avvicinamento stealth alle sue vittime. Anche solo questi pensieri bastano e avanzano per farmi desiderare il ritorno del Pipistrello, ancor più dal momento che so perfettamente che ciò avverrà, presto o tardi che sia. Un ritorno in grande stile che mi fa quasi sentire osservato, come se Batman mi guardasse serio e silenzioso, appeso pazientemente nella mia stanza.
Il colpo di grazia è arrivato in una forma più privata, con la richiesta di mio figlio circa una scultura dedicata a Batman