“The Elder Scrolls VI non è in sviluppo”. I fan di tutto il mondo sono in gramaglie dopo il clamoroso annuncio fatto da Pete Hines nella cornice dell’E3 losangelino. Teorie complottiste vedono Bethesda ormai incamminata sulla strada del minimo rischio, impegnata a consolidare i marchi preesistenti, una strategia che porterebbe al miglior rapporto ricavi/investimento. Nuove espansioni, dunque, per l’universo di The Elder Scrolls Online, pacchetti di coloratissime carte e, naturalmente, lo sfruttamento della “moda” virtuale. Voci incontrollate di corridoio sostengono che sia addirittura in lavorazione Daggerfall VR, giusto per raschiare il barile a dovere!
Facezie a parte, non posso negare di essere un fan della saga, nondimeno ho accolto l’annuncio del mancato sviluppo con la compostezza e la rassegnazione (entrambe duramente acquisite) di un “over forty” che – ormai – conosce a dovere le sirene dell’hype (intese qui nell’accezione di ammaliatrici, come quelle che tentarono Ulisse), e che vede l’annuncio di un qualsivoglia sequel/capitolo con il dovuto sospetto perché troppe volte è rimasto scottato. Siamo franchi: per quanto saprebbe sicuramente rivelarsi colorato e divertentissimo, un nuovo titolo di The Elder Scrolls aggiungerebbe ben poco a un universo che è già stato esplorato in lungo e in largo; certo, mancano ancora alcuni continenti (Bethesda, in questo senso, è stata lungimirante creando una Tamriel vastissima divisa in 9 regioni), ma in definitiva – fatta eccezione per la trama, ispirata solo nel caso di Morrowind – ogni capitolo della serie ha già riciclato pesantemente elementi dei precedenti, partendo dai nove divini e relative controparti daedriche, per arrivare al bestiario, alle armi e alle scuole di magia, con incanti che sono sempre i medesimi. Anche la caccia ai manufatti daedrici (sempre quelli: il pugnale di Mehrunes, la stella di Azura,…) sa abbondantemente di già visto. Quel che è peggio è che anche dal punto di vista dell’art design la serie è “stantia”, con ispirazioni visive che – migliorie tecniche a parte – sono immutate fin dai capostipiti.
Per trilogia, oggi, si intende quasi sempre un “more of the same” in grado di non scontentare i fan
In conclusione, non volendo farmi mancare nulla – novella Cassandra che non sono altro! – dichiaro la mia perplessità di fronte all’annuncio di Life is Strange: Before the Storm. Assodato e accettato che DONTNOD non è al timone di questo progetto, voglio stigmatizzare il poco coraggio di Square Enix nel voler realizzare un prequel; d’altronde la conclusione dicotomica alla fine dell’installazione originale rende (quasi) impossibile confezionare un sequel (e qui sono curioso di vedere che farà DONTNOD, che lo sta sviluppando per davvero), a meno di non voler ignorare uno dei due possibili finali. A prescindere da ciò, pensateci bene, Life is Strange “numero uno” non ha già detto tutto? Nella prima delle avventure dedicate alla giovane Maxine abbiamo visto e “goduto” di abusi, bullismo, lesbismo, friendzone, canna libera, selfie sui binari, gravi infortuni invalidanti e serial killer: in pratica un concentrato di tutto ciò che un teen drama può ed è in grado di offrire. Pertanto risulta lecito chiedersi se Before the Storm saprà regalarci nuove sensazioni, o se sarà un mero ritorno dalle parti di Arcadia Bay per quanto concerne temi ed atmosfere. Basta con lo sfruttamento delle IP. Davvero!