Stadia: pensieri di un collezionista di videogiochi

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Non me ne voglia Mario, ma temo che un mio parere riguardo Stadia sia tra le cose più scontate e prevedibili che leggerete in vita vostra. Il servizio di streaming presentato nei scorsi giorni da Google è un’affascinante finestra aperta sul futuro del videogioco, un futuro, però, che al momento non mi entusiasma minimamente. Non che ci sia nulla di male nell’abbracciare il cambiamento, lo abbiamo fatto un’infinità di volte in passato, mandando in pensione nastri magnetici e montagne di floppy disk a favore di supporti sempre più capaci, ma stavolta c’è qualcosa che non va. Del resto, il games as a service si pone esattamente agli antipodi della mia concezione di videogioco, una personale quanto antiquata visione dove videogiocare rappresenta solo la punta dell’iceberg di un’esperienza sensoriale inebriante. Perché amo avere una casa con più postazioni di gioco dove passare da computer giapponesi semisconosciuti a vecchi arcade, da riparare e ottimizzare nella resa grafica e cromatica scansando i capricci dei trasformatori di riga, adoro i vecchi tubi catodici, l’odore del silicio e scaffali colmi di riviste storiche e videogiochi di tutte le ere, capaci di restituire valanghe di ricordi anche solo guardando le illustrazioni in copertina e aprendo come scrigni del tesoro le relative confezione. Il National Inquisitor, la maleodorante guida di Earthbound, il diario di Henry Jones e l’ankh di Ultima IV non sono mera paccottiglia, ma rappresentano il bottino di una vita, sono la testimonianza di centinaia di avventure passate alla ricerca di questo o quel titolo, di amicizie e di viaggi in luoghi che, senza i videogiochi, probabilmente non avrei mai visitato.
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come si comporterebbe un sistema di combattimento esigente come quello di Sekiro, giocato su Stadia?

È difficile cambiare a quarantatré anni suonati, ma non credo di essere il solo problema all’interno dell’equazione che ha come risultato un mondo dove i giovani limonano felici videogiocando servizi tipo Stadia (cit.). Perché l’idea di per sé è fenomenale, capace di conquistare il più indurito cuore di bacucco in circolazione con la promessa di data center performanti e capillarmente distribuiti da una realtà che è sinonimo di internet, assieme a gioconi appena usciti godibili in una finestra di Chrome su qualunque tipo di dispositivo, senza il pensiero di aggiornare l’hardware o scaricare patch, liberi dallo spauracchio dei cheater. Da conservatore hardcore sono convintissimo del suo valore: del resto Netflix ha cambiato il mio modo di godermi il cinema tra le pareti di casa, e oramai alzare le chiappe per andare alla ricerca di vecchi DVD dispersi in chissà quale armadio è diventata una vera e propria impresa. Però finora abbiamo visto un logo, un pad talmente generico e anonimo da azzerare la salivazione per eccessiva mestizia e la certezza che potremo giocare Assassin’s Creed Odyssey sul browser, assieme a poco altro. Mi mancano i dati per classificare lo show di Google come il game changer che rivoluzionerà l’industria, principalmente perché lag e latenze varie giocano un ruolo importante in alcuni dei miei generi preferiti. Non è un mistero che colleziono e gioco assiduamente materiale Neo Geo, prediligendo giochi di combattimento e arcade belli tosti: in questi giorni sono immerso nelle orientaleggianti ambientazione di Sekiro, pronunciando imprecazioni di cui non vado fiero nel tentativo di padroneggiare posture e parate sul filo del rasoio. La piccola Greta Thunberg mi detesta, perché sto disboscando foreste per stampare calendari con cui veicolare al meglio gli occasionali momenti di frustrazione, immediatamente annullati nel momento in cui riesci a tagliare in due un nemico particolarmente formidabile. Ecco, come si comporterebbe un sistema di combattimento esigente come quello di Sekiro, giocato su Stadia? O la prossima generazione dei giochi di combattimento competitivi? Perché all’epoca eravamo tutti pronti a puntare il dito contro l’input lag della versione PS3 di Street Fighter 4, ma se lo streaming diventasse la prassi come ci dovremmo comportare in occasione dei tornei? Vittoria e sconfitta dipenderebbero dalla stabilità della connessione? Stadia dovrebbe essere tanto intelligente da modificare dinamicamente la risoluzione in base alla stabilità della rete per garantire un’esperienza fluida e godibile, quindi con una misera ADSL sarei costretto a giocare gli ultimi giochi con una qualità inferiore a quella dell’amico che abita a qualche chilometro di distanza, benedetto dalla più vigorosa fibra? A questo punto, lui dovrebbe comunque rosicare rispetto a chi risiede a Mega-City One: certo, hai problemi con Judge Death e compagni un giorno sì e l’altro pure, ma vuoi mettere, con il 5g Stadia spacca come poche.

vedo lo streamig come un importante tassello nel futuro del passatempo più bello del mondo, da affiancare però a mezzi di fruizione più tradizionali

Incognite, un mare di incognite: Stadia al momento vive nel reame delle supposizioni, dove l’interrogativo maggiore sono comunque i giochi e i relativi prezzi. Si compreranno uno alla volta o ci sarà un abbonamento? Di che tipo? E le esclusive? La splendida e intelligente Jade Raymond – Dio l’abbia in gloria – è a capo della divisione Stadia Games and Entertainment e si occuperà dello sviluppo del software cucito su misura per il servizio di Google, ma non ci è dato sapere altro. Così, in punta di fioretto, spero per il futuro dei videogiochi che i suoi gusti e le sue intuizioni siano migliorate parecchio dai tempi del primo Assassin’s Creed, apro e chiudo inciso. Personalmente vedo lo streamig come un importante tassello nel futuro del passatempo più bello del mondo, da affiancare però a mezzi di fruizione più tradizionali, un extra che non escluda alcuni tra gli stilemi che siamo soliti aspettarci dal videogiocare che conosciamo e amiamo. Perché sì, sarò una cariatide materialista, ma io ho davvero bisogno di possederli, i miei videogiochi, perché già con il digital delivery ho la mia dose di problemi. Spero abbiate messo al sicuro sui vostri Wii l’eccellente serie dei ReBirth di Konami a opera di M2, perché con la chiusura del Wii Shop non saranno più scaricabili, almeno legalmente. Pensare che i miei amati videogiochi non risiedano al sicuro sulle mie macchine o sui miei scaffali non mi va, una paura che la recente migrazione andata in malora di MySpace non può che amplificare all’ennesima potenza: a tal proposito, non sono certo che la perdita della musica caricata dal 2003 al 2015 sia necessariamente da catalogarsi come un male, però dai, ho reso l’idea. Diamine, anche PlayStation Now mi permette di archiviare i giochi e godermeli senza i rischi di una connessione ballerina o delle decisioni dei piani alti. E quindi sì, ricollegandoci al discorso iniziale, il succo delle mie elucubrazioni è assai prevedibile, facilmente riassumibile in un’attesa colma di speranza ma priva di reale interesse, perché trovo difficile interessarmi alle promesse di Google allo stato attuale. Ecco, magari ponetemi la domanda tra qualche mese: le certezze che governano la mia idea di videogioco saranno lì incrollabili, ma almeno avremo qualcosa di concreto per cui esaltarci.

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