Da qualche giorno è uscito il settimo capitolo di Resident Evil. Un episodio che rivoluziona del tutto la saga, non soltanto a livello estetico, visto che i canoni di riferimento sono decisamente più occidentali e rimandano a film come La Casa e Non Aprite Quella Porta, ma anche dal punto di vista delle meccaniche. Resident Evil 7, infatti, passa da una classica azione in terza persona, nata con la saga e ormai legata alla storia del gioco, a una in prima persona, figlia di tante influenze recenti. Dalla demo del favoloso P.T. di Hideo Kojima fino agli Outlast e, in fin dei conti, tutti i giochi dell’orrore, come Alien Isolation per dirne un altro, che hanno caratterizzato questi anni. Questi videogiochi hanno in parte riscritto una poetica horror che prima era in mano proprio a Resident Evil e al “collega” Silent Hill. Potrebbe sembrare una strada “facile”, e cioè l’unico modo di reagire a un mondo che ha bastonato un sesto capitolo che è stato un flop in ogni senso possibile (commerciale, di critica e di pubblico), cartina tornasole della salute traballante della serie, e se vogliamo di un genere. D’altronde, forse il mondo degli horror d’azione è morente per via della pessima salute del mercato giapponese (basti pensare a quanti ce n’erano in epoca PlayStation) e che ora si sono ridotti a un unico brand, occidentale, di successo: Dead Space. Ma io trovo questa scommessa di Capcom coraggiosa, perché reinventarsi dalle fondamenta è sempre un azzardo che richiede una certa dose di pelo sullo stomaco.
Nel momento in cui si portano a termine queste operazioni, però, ci si scontra sempre con una reazione che francamente non ho mai capito davvero: quella di resistenza al cambiamento. Recentemente è capitato anche a Final Fantasy XV: Square Enix ha dovuto fare i conti con un mondo che è decisamente andato avanti dalla worldmap con la miniatura superdeformed dei personaggi. Nel momento in cui si reinventa una saga, l’unico modo è rischiare, anche se questo significa combinare un pasticcio, come successo in parte in questo caso. Bisogna dare una nuova visione alla serie, che non significa svenderla ma leggerla in chiave moderna. Ecco che, come prevedibile, all’uscita Final Fantasy XV è stato massacrato da una certa nicchia di giocatori che non vede di buon occhio il cambiamento, che ha urlato allo scandalo e ne ha ripudiato il nome di perché “non è come tutti gli altri”.
Nel momento in cui si reinventa una saga, l’unico modo è rischiare
Questo immobilismo videoludico, secondo me, è uno dei grandi mali del mercato attuale, soprattutto perché dà adito a terribili trovate commerciali che sono le operazioni remaster, remake e HD collection. Un modo furbo e pigro di fare soldi, che è il gancio perfetto cui si attacca un mercato che si alimenta da solo e che non ha mai bisogno di rinnovarsi, perché trova sempre la stessa risposta alla medesima domanda. Il tutto a costo zero: minimo sforzo, massimo risultato. Questa politica è dannosa, e personalmente non l’ho mai condivisa: se voglio giocare a un vecchio Resident Evil gioco con un vecchio Resident Evil; se voglio un Final Fantasy come il settimo capitolo, rimetto su quello. Chiedere che si segua una linea con dei canoni imposti e invalicabili è una visione integralista e pericolosa, un estremismo della nostalgia che costringe il mercato a star fermo, senza mai osare.
Chiudo con un altro esempio. Un paio di anni fa è uscito un mousou di Zelda dal titolo Hyrule Warriors, un titolo in cui i protagonisti della saga Nintendo affrontavano centinaia di nemici sfruttando meccanismi presi in prestito dalla saga principale. Uno spin-off in piena regola, un divertissement. Un titolo che tuttavia è stato devastato da una comunità intera, reo di essere “una vergogna” per chi amava la saga di Zelda. Invece, come ho avuto modo di scrivere all’epoca, Hyrule Warriors è sia un gioco riuscito, sia la dimostrazione che nulla è sacro. Nulla è intoccabile. Perché se non possiamo cambiare, allora siamo destinati a morire esattamente così come siamo.
Bravo. Era ora che qualcuno lo dicesse.
Io poi aggiungo che si può anche chiudere una serie per lanciarsi su altri progetti. Che poi alla fine è il solo ed unico cambiamento. Niente più serie trasformate in brand e adulterate fino ad essere irriconoscibili. E niente più serie dai titoli fatti a stampo e propinati alle masse una volta all'anno. Basta.
E' di pochi giorni fa l'annuncio di una nuova maxi espansione per The Elder Scrolls Online, ambietata in quel di Morrowind.
Da qualche parte ho letto un commento che più o meno diceva così: "invece di usare il Sacro Nome di Morrowind per propinarci un'altra inutile espansione di questa porcheria online sarebbe ora di fare una remastered come si deve per The Elder Scrolls III: Morrowind". Ecco, quando un publisher o una software house guardano al proprio pubblico, e magari si accorgono che una bella fetta di tale pubblico è formata da una banda di 30-40enni bramosi di rimettere la manine pacioccose sui giochini della loro gioventù, tirati a lucido per l'occasione, non riesco proprio a stupirmi dell'andazzo generale.
Si fanno più soldi con i piedi di piombo e con le textures in hd. Anche se c'hai bisogno di 58 GB di spazio su HD.