In questi giorni di preparazione all’E3, mentre il mondo comincia a chiedersi cosa verrà annunciato nella settimana più calda dell’anno (almeno in senso figurato) mi sono soffermato più volte a pensare a cosa mi piacerebbe vedere sul mio schermo nei prossimi mesi. La cosa strana è che, in realtà, non ho desideri particolari: mi sento particolarmente appagato da quello che offre il mercato in questo momento, e non solo. Mi perdonerete se il discorso “backlog” esce fin troppo spesso, ma fatico a dedicare il tempo che vorrei a tutti i videogiochi che catturano la mia attenzione, e il tempo che scarseggia, lo ammetto, spesso è solo una mera scusa.
Il fatto è che, nonostante continui ad acquistare in maniera ossessivo-compulsiva titoli di ogni genere che, ne sono consapevole, non giocherò prima della fine dell’estate, continuo ad accumulare polvere digitale sulle mie librerie videoludiche perché invece di dedicare le preziose ore del mio tempo libero a godermi gli acquisti, preferisco continuare a drogarmi con titoli multiplayer – spesso gratuiti – e giochi “a caso” scaricati da internet, anch’essi gratuiti.
Ebbene sì, spendo soldi e invece di godermi le opere faticosamente comprate, le lascio da parte per giocare a quelli che in redazione vengono chiamati “i giochi brutti del Tassani”. Il fatto è che il sottoscritto è un amante sfegatato di roguelike, “giochi di ruolo” risalenti – come concetto – al secolo scorso che solitamente rispettano tre regole auree: le mappe, i dungeon, gli oggetti e chissà quante altre amenità sono procedurali, e di conseguenza ogni partita è unica nel suo genere; il gioco è a turni, e ogni mossa del giocatore corrisponde a quella dell’intelligenza artificiale; infine è presente il permadeath, ovvero la morte permanente del nostro alter-ego videoludico e la scomparsa di ogni suo avere. Ebbene sì, quando in un roguelike si crepa, si ricomincia nuovamente dall’inizio, anche se si era a un passo dallo scontro finale. La scomunica, se ve lo chiedete, è compresa nell’esperienza.
Questa droga digitale ha avuto per me inizio quasi per caso più di dieci anni fa, cercando uno dei tantissimi titoli gratuiti che il web è in grado di offrire per passare un pomeriggio di noia. Non ricordo grazie a che forum venni a conoscenza di NetHack, titolo che nella sua complessità e libertà mi ha offerto così tante avventure, storie da raccontare e morti tragicomiche che è entrato di diritto nella mia classifica personali di videogiochi migliori del mondo intero. Classi, equipaggiamenti, armi magiche, pozioni misteriose e un lunghissimo labirinto da esplorare sono gli ingredienti segreti per offrire un titolo infinito, che nonostante la grafica limitata (non lasciatevi spaventare dall’ASCII, è possibile utilizzare vari tileset che facilitano non poco la vita dell’avventuriero) è in grado di raccontare storie uniche e incredibili grazie a un’insieme di eventi che, in pieno “effetto domino”, portano inevitabilmente a una fine prematura.
La droga digitale dei roguelike ha avuto per me inizio quasi per caso più di dieci anni fa
Una volta sbocciato l’amore non sono mai riuscito ad allontanarmi dal genere, provando con la bava alla bocca qualsiasi titolo ispirato a Rogue, capostipite del genere: tra i gratuiti, oltre appunto a NetHack, mi sono divertito parecchio anche con Dungeon Crawl Stone Soup, di cui è presente anche una versione browser che permette a qualche curioso spettatore di assistere alle nostra disfatta, e ovviamente con quel capolavoro assoluto di Dwarf Fortress, anche se preferisco di gran lunga la sua anima gestionale alla modalità avventura. Non mancano belle sorprese anche per quanto riguarda i titoli a pagamento: uno dei primi a raggiungere il grande pubblico è stato Dungeons of Dredmor, che unisce la cattiveria del genere a un’ottima ironia e a uno stile grafico più che piacevole, ma il mio preferito è Sword of the Stars: The Pit, che potrebbe a mio avviso essere catalogato come la versione roguelike di System Shock, nonostante le ambientazioni abbastanza diverse.
La difficoltà nel portare a termine titoli del genere li hanno resi, per me, gli emblemi del videogiocatore “duro e puro”, e non posso che guardare con occhi pieni di stima coloro che, a suon di sudore, sangue e bestemmie, sono riusciti a raggiungere i titoli di coda di tali concentrati di cattiveria. Ovviamente ne porto un paio sempre con me, in tasca: su cellulare ho perennemente installato NetHack, anche se devo ammettere che giocare tramite touchscreen è abbastanza scomodo, e Pixel Dungeon, tanto “semplice” quanto brutale. Se anche voi siete perennemente a rischio scomunica fatemelo sapere, ché condividere le proprie avventure e storie è la ciliegina sulla torta di queste opere, e non farlo sarebbe un vero e proprio crimine.