Ieri mattina, in una domenica fresca e relativamente tranquilla dopo la chiusura dell’ultimo numero di TGM (nel senso che abbiamo finito di lavorare, e mandato in stampa), mi sono dedicato all’assemblaggio di un PC per un amico, ma delle gioie e dolori del fai-da-te ve ne ho già parlato qualche tempo fa. Nel mettere in piedi il computer, ho avuto bisogno – tra le altre cose – di recuperare un po’ di pasta siliconica per il processore. Per rimediarla, sono dovuto scendere in cantina, farmi spazio tra scatoloni polverosi e sacchetti di vestiti per accedere, nuovamente, a quello che in casa mia viene denominato, più o meno da sempre, “cimitero dell’hardware“.
Il cimitero dell’hardware è un luogo quasi mistico, al limite del sacro
Dentro il cimitero dell’hardware c’è molto meno di quel che vorrei, ma tornare – ogni tanto – a rovistarci dentro è sempre fonte di grande gioia. Ritrovo il mio primissimo Pentium 60, quello col baco dei calcoli in virgola mobile, acquistato da un Computer Discount non ricordo più in quale anno; accanto a lui, un Celeron 300, processore a bassissimo costo che, per una svista di progettazione da parte di Intel, era dotato di una inusitata propensione all’overclock, potendo balzare serenamente a 450 Hz senza fare un plissè. Vecchi banchi di RAM di chissà quale taglio, e per chissà quale generazione di processori. Ritrovo una S3 Trio da 512KB di memoria, incredibilmente espansa a un MEGA grazie a due chip da 256KB comprati a parte, e infilati negli appositi slot sull’acetato. Accanto, una Voodoo 2, e non serve che aggiunga altro. Attaccato c’è persino un cavo per il collegamento in SLI.
Ritrovo un vecchio hard disk da 300 MB della Maxtor, con una marea di settori danneggiati ma nonostante questo usato per un sacco di tempo, e chissà cosa ci troverei dentro, se mai riuscissi a trovare il modo di farlo ripartire. Ci sono dei dischi Zip, e finanche un Iomega IDE, quello interno di color grigio chiaro, perché per me era più fico – oltre che veloce – e poi la versione SCSI costava davvero troppo. C’è un modem ISDN (con tanto di cavo), e che lusso poter avere una linea da 128 Kb! Un lettore CD esterno per un vecchissimo portatile della Acer, che andava collegato a una porta proprietaria, pensate un po’ che roba assurda. Del resto, erano gli anni in cui ogni fottuto telefono cellulare aveva il suo attacco particolare e contorto, figuratevi i device esterni. Mica come oggi, che ci siamo abituati con il cavo micro USB che va bene con tutto.
Frugando nelle mie cianfrusaglie, non posso non chiedermi se esistono altri cimiteri dell’hardware, e cosa contengano
Riguardo tutto questo ciarpame di ferro, plastica e silicio, e penso a tutti i pezzi che avrei voluto conservare, ma che per un motivo o per l’altro (soprattutto spazio) non sono arrivati a oggi: tutte le altre schede video, dalla prima Voodoo Diamond alla 3D Blaster, passando per la Matrox Mystique; la prima Sound Blaster 16 bit, e magari pure quella a 32 bit; il mio amatissimo monitor CRT Philips da 19″; il primo scanner di non ricordo manco più quale marca; le tastiere meccaniche della IBM fregate all’università; il mouse Microsoft con la rotella che si riempiva di polvere. E un sacco, ma proprio un sacco di altra roba.
Perché il nostro sguardo è sempre rivolto al futuro, a quel che arriverà domani, all’annuncio del nuovo processore, della nuova console, della nuova scheda video e del modello di telefono più veloce. Ma ogni tanto è anche bello fermarsi, guardarsi indietro, e osservare quanta strada è stata fatta.