Troppi giochi e troppo poco tempo, l’eterno cruccio del videogiocatore moderno.
In queste settimane di Expedition 33-mania uno dei commenti entusiastici più comuni che ho trovato in giro per i social suona tipo: “finalmente un gioco senza fronzoli, che va dritto e non dura troppo”. La cosa non mi ha particolarmente sorpreso ma mi ha fatto riflettere su quanto, oggi, la questione “tempo” sia troppo importante per gli adulti che cercano di mantenere viva questa passione. Una vera e propria discriminante per procedere o meno all’acquisto. Le 30 ore stanno diventando le colonne d’Ercole del videogiocatore moderno.
Tempo di qualità
Tutti i titoli che eccedono questa durata rischiano di non essere finiti, di venire a noia. Questo perché, se una persona con una vita ordinaria può ritagliarsi magari 2 ore al giorno di gioco (quando va bene), questo vuol dire portarsi avanti un titolo anche per un mese o più, dando la sensazione, inconscia e probabilmente artificiale, di non aver fatto altro, di essere rimasti “fermi” su una sola opera mentre il mondo va avanti, corre e noi restiamo indietro.
È una distorsione, chiaramente, che spesso però percepiamo e ci mette anche emotivamente in difficoltà, rendendo complicato godere di quello che stiamo facendo, data la quantità di roba che potenzialmente potremmo assimilare ogni giorno e quella che ogni giorno esce o sta per uscire: ci guardiamo puntate di serie TV spezzandole in quarti d’ora, iniziandone 2, 3, 4 alla volta, di film se ne possono vedere anche uno al giorno, mentre il videogioco è invece più simile ad un libro, un’attività prolungata e giornaliera, con la differenza che un libro, anche due pagine alla volta, continua ad andare avanti nel suo racconto. Mentre rimanere incagliati nell’ennesima secondaria anonima rischia di trascinare in un effetto “loop” che, nel peggiore dei casi, potrebbe stancare e tagliare le gambe all’esperienza.
La “linearità” è confortevole, dà sicurezza ed evita, per definizione, la dispersione
Giocare è un’attività impegnativa, non esiste passività e, spesso, a causa di un’incompatibilità tra la struttura di game design e la vita del giocatore, si finisce per perdere interesse anzitempo. Il ritorno di giochi di qualità più compatti e lineari è, in questo senso, un prezioso arricchimento del mercato; questo tipo di titoli trasmette, una volta spento il PC o la console, la sensazione di aver fatto sempre un passo avanti, di aver scoperto qualcosa, di non aver perso tempo. La “linearità” (che di per sé è un concetto vago, me ne rendo conto, ma è comodo da contrapporre ad open world e game-as-a-service) è confortevole, dà sicurezza ed evita, per definizione, la dispersione.
Si gioca senza il timore di perdersi qualcosa di rilevante, concentrandosi sulle meccaniche di gioco, sull’intensità del set piece che si sta giocando, seguendo il flow. Viene da sé che gli sviluppatori devono però essere bravissimi a gestire i tempi e le situazioni, perché “lineare” non deve far rima con “banale”. Per me, in questo senso, il manifesto della struttura, nel panorama videoludico moderno, è il God of War del 2018: un gioco scenografico, magnifico a livello ludonarrativo, ricco, teso, emozionante, ma anche diretto, in un certo senso essenziale, pieno di segreti ed aree più esplorabili ma estremamente compatto e ritmato.
Una bella storia, un bel gameplay e poche deviazioni non necessarie
Mi ricordo benissimo quanto fossi soddisfatto ogni volta che staccavo da una sessione di gioco, perché in un’ora di gioco c’era tutto: un combat system come ce ne sono pochi, paesaggi virtuali spettacolari, puzzle ambientali, dialoghi e situazioni narrative spesso intense. Una bella storia, un bel gameplay e poche deviazioni non necessarie (ma benvenute se opzionali e in grado di ripagare il tempo extra speso): il videogiocatore moderno chiede sempre di più questo tipo di esperienze e si innamora di titoli che probabilmente qualche anno fa sarebbero passati in sordina, capaci di restare nella mente di chi li vive perché non diluiscono ma addensano, adattandosi alla sovrabbondanza di intrattenimento che abbiamo a disposizione, inserendosi nel nostro tempo libero senza essere troppo invadenti.