Questa non è la “mia” recensione di No Man’s Sky, e d’altronde la disamina del Tassani è una delle più riflessive, riuscite e aperte (perché non chiude a nulla, tanto meno ai meriti e al talento di Hello Games) che mi sia capitato di leggere in giro, a prescindere dal giudizio numerico. Non ho nemmeno giocato un numero di ore sufficienti, sono ancora distante dal centro dell’universo e tecnicamente potrei solo dire che i difetti del titolo procedurale dagli autori di Joe Danger, il fatto di essere sempre diverso eppure uguale a se stesso dall’inizio alla fine, emergono prima se ci si è fatti debitamente preparare dalle recensioni. Ciò significa che il Tassani mi ha rovinato il gioco? Beh, non esattamente, anche se far pesare le colpe resta una pratica distensiva: più nello specifico, l’analisi del dottore pazzo mi ha fatto riflettere su quali siano i limiti della generazione procedurale di No Man’s Sky, mentre giocarlo mi ha confermato che, a conti fatti, la sua struttura rientra nei miei gusti personali solo per una percentuale alquanto scarsa.
APPUNTI PROMETEICI
Intanto, è meglio ribadire un concetto che sembra sfuggire a diversi utenti Steam: se rappresentare e rendere giocabile l’universo vi sembra così facile, senza incorrere in bug o incoerenze progettuali, beh, allora fatelo voi. Ed è inutile tirare in ballo Minecraft, Starbound o persino Spore, dove pure si annidano diverse caratteristiche del gioco di Hello Games, perché i risultati pur se imperfetti vanno al di là di qualsiasi cosa vista fin ora. Questo è uno dei punti di contatto con i miei gusti e desideri, la progettazione di un videogioco in cui vengono sbriciolate le barriere dell’esplorazione, dove gli algoritmi cercano di assumere concettualmente il ruolo di leggi cosmologiche, etologiche o persino evoluzionistiche.
Giocare a essere Dio potrebbe diventare una pratica diffusissima per gli sviluppatori del futuro
L’evoluzione di Elite Dangerous è quella che continua a interessarmi di più
Qualcuno potrà dire che in Elite Dangerous uno scopo finale nemmeno c’è, affermazione peraltro incontestabile. Per quel che mi riguarda, però, ritengo che l’efficacia dei mezzi forniti possa talvolta essere più importante del punto arrivo, e che il dono della sperimentazione aiuti a tollerare una tale mancanza. Al contrario, se la sperimentazione c’è, ma i mezzi alla fine sono solo passabili e qualche volta addirittura difettosi, il fatto che ci si possa dirigere verso un epilogo diventa più che opportuno. Questo è uno dei motivi per cui, sostanzialmente, non ritengo un problema il fatto che No Man’s Sky possa essere completato in qualche decina di ore. Al contrario, potrebbe essere un modo per apprezzarne di più i pregi.
HARD TO BE A GOD
È tutto un altro campo da gioco, invece, quello che racchiude qualità e difetti della proceduralità di No Man’s Sky. Anche in questo caso sono d’accordo con Astrotasso sulle potenzialità di un vero e proprio genere fondato sulla moderna generazione algoritmica, dove le stesse prerogative del titolo di Hello Games diventino uno standard tecnico di base, dal quale partire per costruire progressivamente “mondi migliori”. Non è detto, in questo senso, che mantenere una dimensione cosmica sia l’unica strada, ed è anzi probabile che ridurre un filo le ambizioni possa aiutare a costruire qualcosa di più preciso e coerente: pensate, non so, a una sorta di Ulisse che si muove non fra pianeti ma fra isole, riducendo le distanze da percorrere (per usare un eufemismo) e donando ai combattimenti un carattere meno generalista, per mare come per terra. Immaginate nebbie per nascondere isole relativamente vicine, e tutte le varianti di fantasy mitologica che si mescolano senza eccessiva casualità. Un titolo ipotetico su tanti, naturalmente, che oltretutto non rispecchia la mia preferenza per la sci-fi, ma lo aspetterei volentieri.
L’esilarante video che ripropongo qui sopra, infine, può anche essere preso come un manifesto dei limiti della generazione “naturale” di No Man’s Sky: che senso ha un essere con zoccoli e zampe cavalline, se poi se ne va in giro in posizione eretta? Giocare a essere Dio potrebbe diventare una pratica diffusissima per gli sviluppatori del futuro, ma una volta dimostrato che è possibile farlo con modelli poligonali relativamente complessi, diventa altrettanto importante cominciare a progettare con criteri più razionali. Un’impresa che un tempo sarebbe sembrata impossibile, e che quattro ragazzi di Guildford hanno avuto il coraggio di iniziare. Dategli una medaglia, invece di incazzarvi.