Ricordo, diversi anni fa, di essermi malamente intristito per il remake di Star Raiders, frutto di una becera operazione commerciale e pochissima fantasia. Anzi, a ben vedere non ci ho nemmeno visto nulla del “rifacimento”, se non nei termini più superficiali e, in questo caso, maldestramente fallaci: stipare nel primordiale hardware di Atari 2600 (o 400/800, in riferimento alla famiglia 8 bit) un concept così seminale presupponeva un grado di sperimentazione che, come minimo, oggi andrebbe ripagato con uno sguardo finalmente fresco alle space-combat-sim, lontano dall’orrendo compitino svolto da Incinerator Studios con la complicità della “nuova” Atari.
Pixel in fuga verso i bordi per l’impressione di velocità, una mappa galattica che non potevi fare a meno di immaginare infinita, l’iperbalzo per raggiungerne i settori: il carisma di Star Raiders riuscì persino a uscire dall’ambito dei videogiochi, evento allora particolarmente raro, grazie alla graphic novel in perfetto stile Star Wars del 1983. In quei pochi bit c’era tutto, persino il vagito di progetti più nobili e ampi che da lì a pochi anni avrebbero mostrato la loro dirompente rivoluzione. E se l’intento celebrativo del 2011 aveva il sapore della fregatura studiata a tavolino, ai giorni nostri la giustizia può arrivare da qualunque direzione o identità produttiva. E con un nome diverso, peraltro bellissimo.
INGINOCCHIATI, EVERSPACE, TI NOMINO MODERNO STAR RAIDERS
Queste riflessioni non sono nate a caso, magari tirando fuori dall’armadio vecchie cartucce: all’epoca, intorno al 1980, per giocare a Star Raiders dovevo presidiare la casa del cuginetto, dal momento che io e mio fratello avevamo puntato sulle più avveniristiche sponde di Mattel Intellivision, pentendocene in quel caso e pochi altri.
In quei pochi bit c’era tutto, persino il vagito di progetti più nobili e ampi
Per come la vedo io, al di là degli annunci piacevolmente “furbi” di ROCKFISH Games (il core del gruppo è composto dagli autori di Galaxy On Fire, apprezzata serie di space-sim per dispositivi mobili), per il permadeath di Everspace non è necessario scomodare i roguelike: la vita unica a disposizione nel vecchio Star Raiders è già un riferimento più che sufficiente, come omaggio a un’epoca in cui la difficoltà elevata era l’unico strumento per donare corpo e longevità ai giochi d’azione, così come l’uso di un ridotto numero di “vite” profumava ancora delle sfide in sala giochi.
Everspace ricorda Star Raiders nell’animo, oltre che in diverse caratteristiche formali
È chiaro che Everspace offre tante altre cose, come il gran assortimento di loot spaziale, la crescita dei perk prestazionali in eccezione al permadeath, o anche le tante varianti per le insidie ambientali; questo, tuttavia, rientra negli stilemi moderni che nel “vero” remake di Star Raiders sono stati addirittura sviliti, e che in realtà possono garantire un grado di assuefazione (impressionante, nel caso di Everspace) e meraviglia visiva paragonabili a quelli d’inizio anni ’80, quando lo stupore poteva passare da una elementare soggettiva. Se vogliamo, il concept che Doug Neubauer ha sognato rincorrendo Star Wars e Star Trek (ampliato nel successivo Solaris, tecnicamente eccezionale ma caratterizzato da una visuale diversa) rappresenta un illustre precedente anche per le space-sim vere e proprie, inaugurate formalmente con Elite nel 1986. In quel caso, la generazione procedurale ha unito settori e viaggi iperspaziali in una galassia ben più ampia e simulativa, dove combattere non è più stato sempre e per forza necessario. Ogni tanto, però, vanno benissimo anche dei pezzi di cielo infuocato.