Suvvia, Mario, il ritorno dei Replicanti vale bene lo stralcio dell’editoriale appena scritto. Magari lo riproporrai la prossima settimana, anche se fatalmente trattava un tema non lontano dagli androidi di P. K. Dick: oggi non può che essere il giorno di Blade Runner 2049, con tutti i pensieri che il primo trailer ti ha messo in testa e che, ovviamente, sono ben lungi dall’affievolirsi. Fino al prossimo autunno sarà una pena, e certo Harrison Ford nella posa del 1982 ti è sembrata una trovata à la J. J. Abrams, più che nello stile schietto e spiazzante di Villeneuve. Che ansia.
Quella, però, è anche una delle cose che il tuo cuore voleva vedere, prima ancora di azionare il cervello. Deckard appare proprio come il Replicante destinato alla clandestinità che le “cut” autorali di Scott sembravano suggerire, in fuga dal miglior cacciatore di androidi che ti potessi augurare per la nuova generazione, Ryan Gosling, in un mix di atmosfere manichee e punte di acuta personalità. Per il momento ci puoi anche stare.
“I Replicanti sono come ogni altra macchina. Possono essere un vantaggio o un rischio: se sono un vantaggio, non sono un problema mio.”
– Rick Deckard –
Diversi dettagli “sporcano” il quadro, e sono quelli su cui ripongo le migliori speranze. Nelle prime sequenze, ad esempio, non si vedono le solite frotte di persone e miscugli di etnie, quasi che il nuovo autore voglia riallacciare un legame con l’originale Do The Androids Dreams of Electric Sheep, in cui la Terra è un posto sostanzialmente desolato, con parziale eccezione dei grandi centri come San Francisco (o Los Angeles, nel film), e gran parte degli esseri umani si sono spostati nelle colonie Extra-Mondo.
Un secondo rimando dickiano potrebbe avvolgere la sequenza del deserto, in riferimento alle distese di rottami e rifiuti che nel romanzo si polverizzano ai margini della città. Non ho invece alcuna teoria sull’enorme statua in mezzo alla tempesta di sabbia (forse un nuovo “pupazzo” metaforico) o sul luogo in cui l’ex predatore di Replicanti si trova, e non voglio nemmeno stringermi troppo le meningi per elucubrarne qualcuna: spero solo che il regista mostri anche qui il suo amore per la letteratura, potentemente esaltato in Enemy, e che non si faccia prendere dall’eccesso di manierismo che l’originale Blade Runner, in realtà “sporco” e produttivamente povero, può anche erroneamente ispirare.
Mi ripeto che Denis Villeneuve è il miglior autore di thriller psicologici degli ultimi lustri, e che quel che è successo in questi giorni con Rogue One di Gareth Edwards dimostra i possibili esiti positivi che la “nuova” generazione di talentuosi registi (già più che quarantenni, in realtà) può conseguire anche nelle grosse produzioni, lontano dai mezzi scivoloni di Neill Blomkamp o da quello completo del pur bravissimo Duncan Jones. Allo stesso tempo, però, Blade Runner 2049 muove in me e in milioni di appassionati qualcosa di profondamente diverso, ed è giusto trattenere il fiato fino a quel temutissimo 6 ottobre 2017. Preghiamo tutti insieme.