Dottor Tassani, il videogiocatore

tassani medico

Può sembrare una follia, ma oltre a essere un videogiocatore sono anche un medico. Un medico normalissimo, sia ben chiaro: di quelli che trovi in ambulatorio del paesino sperduto in mezzo alle campagne, circondato da vecchietti pronti a farsi misurare la pressione e a cercare di capire perché, all’alba dei novant’anni, comincino ad avere qualche dolorino alla schiena. È un mestiere strano, quello del medico: in realtà non si finisce mai di lavorare, e anche mentre sei in spiaggia con i piedi infilati sotto la sabbia bollente si “rischia” di dover indossare – almeno virtualmente – il camice bianco per rispondere a un’emergenza o, fortuna volendo, alla richiesta di qualche semplice consiglio. E poi, come cita il nostro codice deontologico, “Il comportamento del medico, anche al di fuori dell’esercizio della professione, deve essere consono al decoro e alla dignità della stessa”, e anche per questo motivo è difficile, al di fuori dell’intimità della propria abitazione, spegnere il cervello e farsi gli affaracci propri. Perché sto scrivendo queste cose? Perché spesso e volentieri ho come l’impressione che i videogiochi vadano proprio a cozzare con quel “decoro e dignità della professione” che deve essere rispettata in ogni momento della giornata.

Non voglio essere frainteso: non sto affatto dicendo che giocare a DOOM sia un’attività di cui vergognarsi, anche perché altrimenti non scriverei proprio su The Games Machine. Devo però purtroppo ammettere che, per la società in cui viviamo, dedicare qualche ora ai videogiochi sia qualcosa da non spiattellare ai quattro venti. Mi piacerebbe dire che solo la popolazione più anziana consideri il nostro hobby preferito una mera perdita di tempo, eppure non è affatto così: tali pregiudizi non hanno età, e non sono nemmeno legati a chissà quale percorso di studi. Semplicemente, chi impugna un pad sta “perdendo tempo prezioso”, che potrebbe essere sfruttato per attività più importanti. Ciò ovviamente mi fa arrabbiare, perché godersi un film al cinema, un pomeriggio allo stadio o una partita a carte al bar sono invece attività ben accettate dalla società, e io – altrettanto ovviamente – non riesco a carpirne le differenze.

tassani medico 2Quando affronto il discorso, tiro certo l’acqua al mio mulino, ma bene o male tale argomento è valido per una lunga schiera di mestieri, e se vi sembra che stia esagerando provate a immaginarvi davanti al vostro medico di famiglia, che scambiando due chiacchiere dopo la visita, ammette di non vedere l’ora di mettere le mani sulla prossima espansione di XCOM 2. Oppure, ancora peggio, pensate a come reagireste trovando al parco, la domenica pomeriggio, l’avvocato che deve salvarvi da qualche guaio che gioca beatamente a Pokémon Luna sul suo Nintendo DS. Sono abbastanza sicuro che, persino noi che siamo cresciuti a pane e Commodore 64, cominceremmo a dubitare, anche solo per qualche attimo, della sua professionalità, come se effettivamente videogiocare rendesse in qualche modo un professionista meno abile nel suo mestiere (btw, lo sapevi, caro Tasso, che Enzo Jannacci era anche un celebre cardiochirugo? Giusto per dire, eh. ndKikko).

Giusto per riportare un esempio, nel 2015 Repubblica pubblicò come “notizia” una foto di un noto politico che giocava a PES su PlayStation. Simpatie o antipatie a parte, mi colpì particolarmente il numero di commenti rivolti proprio sul suo atto di dedicarsi a un videogioco, attività – secondo il parere dei commentatori – adatta solo a perditempo, bambini e svogliati.

Dentro l’ambulatorio, giustamente, si pensa a cose più importanti, ma una volta usciti da quella porta non nego che, magari davanti a pazienti che sfoggiano magliette raffiguranti diverse icone videoludiche, vorrei in qualche modo sbilanciarmi con loro, parlando della mia passione, spiegando di come sia incredibilmente collegata con la professione medica, di come abbia influito nel mio percorso di studi e di come abbia contribuito a farmi superare i periodi più neri. Vorrei davvero, ma non lo farò. Mi piego al volere della folla, continuando a far finta di niente in pubblica piazza e a lodare il sole insieme a pochi intimi. Nella speranza che all’utenza dell’ambulatorio non venga in mente di cercare il mio nome su Facebook: in quel caso, nulla potrebbe salvarmi.

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