Diversi fattori mi hanno portato a scrivere questo editoriale su Resident Evil: la notizia riportata baldanzosamente da Capcom, a proposito dei 2 milioni di dowload del demo-teaser Beginning Hour (su PS Plus, dunque in numero ancora più considerevole), l’averne scritto in questi giorni per lo speciale E3 di TGM cartacea e, non ultima, l’eterogenea ma intrigante sostanza delle parole del publisher e dello stesso dimostrativo, mix di consuetudini vecchie e soprattutto “nuove” (o giù di lì, come vedremo). Ci metto anche le riflessioni sui survival horror di questo articolo, insieme a tutte le volte che in un dossier o in uno speciale ne ho anelato una forma di moderna e intelligentemente ibridata, in equilibrio tra la storica impostazione del genere e il contributo della scuola d’orrore in prima persona degli studios indipendenti.
In fin dei conti non si può parlare nemmeno di invenzioni dell’altro ieri – visto che i primi vagiti di Frictional Games e Penumbra risalgono al 2007 – ma di un vero e proprio sottogenere con canoni ricorrenti e risultati non di rado eccelsi, che tuttavia beneficerebbe in taluni casi di limiti meno stringenti e talvolta irrealistici (quasi come l’eccesso di armi, paradossalmente) in merito alla vulnerabilità e possibilità di difesa dei protagonisti, puntando a una vera e completa “simulazione horror” in prima persona. Che sia arrivato davvero il momento di giubilare, bevendo e cantando come a un bel matrimonio, addirittura in una delle serie horror più famose della storia?
ci troviamo di fronte a qualcosa di molto diverso dal pregevole Alien Isolation
Per quel che mi riguarda, ho un paio di auguri da fare alla serie: il primo è che non si faccia eccessivamente guidare dalla compatibilità con PlayStation VR, in termini di meccaniche e articolazione del level design, sperando al limite in una versione per i più performanti visori in realtà virtuale su PC; allo stesso tempo, spero ardentemente che la materia storica della saga non venga urlata e, anzi, alimenti con intelligenza il mito di Raccoon City e dei personaggi originali – senza mai più incedere nell’infinita “novelization” di cui, peraltro, in questi giorni quasi nessuno ha nominato o sentito la mancanza. È sempre bellissimo mettere un oggetto classico sull’altare, ma è ancora più bello riuscire a farlo con silenzio e devozione, attraverso piccoli riferimenti che possano assumere il profumo della mitologia e coprire senza rimpianti ciò che è stato, dal quarto capitolo in poi, degli ultimi Resident Evil.