Attori troppo belli sono gli unici eroi (Ode al FMV)

Ode al FMV Editoriale 01

Febbraio. Dopo due mesi dedicati a shooter e frenesia da parkour, ho voglia di storie, ma soprattutto di facce e personaggi. Nei negozi digitali, tuttavia, non scorgo alcun gioco “moderno” che possa girare sull’obsoleto computer di casa. Non c’è da stupirsi, dunque, che la nostalgia vestita di FMV venga a farmi visita, valevole succedaneo di performance recitative virtuali che, già ai tempi del Source, hanno saputo affascinarmi, perché negli occhi di Jeanette (ho detto gli occhi!) – gemelli diversi pitturati da baluginante insania – ho saputo cogliere la scintilla della vita, o della non vita, in questo caso.

In una rincorsa sempre più frenetica che mira a produrre il cine-videogioco definitivo, trovo che le performance di PG e PNG siano talvolta straordinarie, con Pagan Min e Vaas Montenegro che quasi si avvicinano ad una prova “da Oscar”; diverso è il discorso se guardo al comandante Shepard. In ogni caso, i personaggi virtuali nascono spesso dal contributo di attori in carne ed ossa più o meno celebri, e così l’imperatore Uriel VII sfoggia le sembianze di Patrick Stewart, Miranda Lawson è Yvonne Strahovski (non solo per via dei denti, ma anche perché ne ricalca esattamente la mimica facciale), mentre Elizabeth di Burial at Sea (DLC di BioShock Infinite) è Ella Raines, radiosa attrice di vecchie pellicole noir, con espressioni e fogge prese in prestito da sbiaditi fotogrammi in bianco e nero.

Ode al FMV Editoriale 02

Il FMV colmava intermezzi, si occupava della narrazione e donava un volto ai nostri avatar

Detto questo, anche a costo di suonare contraddittorio, non apprezzo l’utilizzo del motion capture quando mira al fotorealismo assoluto (come in Beyond: Due Anime, per esempio): credo che nella trasposizione da carne a digitale, inevitabilmente, venga smarrito qualcosa di ineffabile, un po’ come quando lo scienziato pazzo dei film di fantascienza trasferisce il proprio ego nell’androide o computer di turno. In questi casi, non sarebbe più opportuno usare direttamente le performance filmate degli attori? Per tenermi compagnia – e, incidentalmente, esaltare un genere – evoco dunque dalla caligine del passato Tex Murphy, protagonista del “recente” Tesla Effect che, come un buon vecchio B-movie, mi riporta indietro di anni, all’epoca in cui il Full Motion Video – quasi a voler scusare una grafica “povera” e “rozza” – colmava intermezzi, si occupava della narrazione e, soprattutto, donava un volto ai nostri avatar. Rimembro qui l’ottimo Zork Nemesis e l’avvincente Black Dahlia, l’intramontabile Gabriel Knight II: the Beast Within e il superbo Myst IV: Revelation, il già citato ed esilarante Tex Murphy, il tamarrissimo Star Wars Jedi Knight: Dark Forces II e, infine, la cinematica d’apertura del vetusto Daggerfall.

Probabilmente è solo nostalgia, ma trovo che nessun poligono, per quanto liscissimo, possa rendere giustizia alle belle forme femminili (o maschili, a seconda dei gusti); che il taglio registico sia valorizzato solo dalla presenza di corpi fisici; che la rodente rabbia, l’estatica esaltazione, il folle fanatismo, l’irruente innamoramento e la seducente sensualità possano essere efficacemente rappresentati solamente da attori in carne ed ossa, che impugnano oggetti di scena “veri” e tangibili. E per quinta uno smeraldino schermo verde. Tutto questo nonostante le performance non siano sempre da Oscar, nondimeno mai artificiali, perché adoro quel ricchissimo effetto “cheap”.

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