La paura di scegliere, secondo Warren Spector

system shock 3 concept art

Alcune risposte date da Warren Spector alla Game Developer Conference, durante un nuovo post-mortem a Deus Ex, mi hanno fatto riflettere sul modo con cui, anche oggi, ci confrontiamo coi generi. Il concetto di “scelta” nei suoi giochi era qualcosa che andava al di là delle barriere di gameplay, provocando le reazioni spaesate di tester e giocatori: quasi nessuno, nemmeno fra i designer più esperti e talentuosi interpellati all’epoca, riusciva davvero a percorrere Deus Ex adattandosi fluidamente alle situazioni, come il gameplay peraltro concede, e ogni punto critico si risolveva – tanto per i dialoghi come per gli approcci shooter, stealth o non violenti – in una pioggia di salvataggi e ricaricamenti per ricercare la soluzione migliore.

Secondo Spector era come se nessuno avesse mai posto quei giocatori davanti una vera scelta, se non elencandogliela in modo didascalico. Un discorso che a mio modo capisco, e che ho trovato vero anche nell’ultimo Deus Ex di Eidos Montreal: da un lato, scegliere di non uccidere nessuno mi ha fatto guardare meno ossessivamente al confine tra silenziosità e sparatutto, e anzi mi sono mosso d’istinto, con pochi ricaricamenti non necessari, reagendo solo in caso di allarme; una volta arrivato nella parte finale, però, sono ricaduto in una pratica che ha più a che fare con il videogiocare classico che non con il realismo, tornando ossessivamente indietro tutte le volte che l’azione inficiava, da quel che avevo intuito, il raggiungimento del “finale più bello”.

A Warren Spector non importava nulla che le sue opere risultassero di ruolo, stealth o sparatutto

E allora, perché ho parlato di generi? Beh, è semplice: a Warren Spector non importava nulla che le sue opere risultassero di ruolo, stealth, sparatutto o, peggio, che si corresse il rischio di scomodare la definizione “momento platform” perché c’erano pedane fra cui saltare, o “puzzle” di fronte a un enigma ambientale. Caratteristiche di questo genere dovevano fondersi insieme per concedere al giocatore tutte le opzioni che effettivamente avrebbe potuto adoperare in quel frangente. Negli anni ’80 anche la più semplice sfumatura d’azione era diventata un genere, per combattere direttamente, di soppiatto o anche semplicemente per “saltare gli ostacoli”, e forse era arrivato il momento di rimettere insieme i pezzi. La pratica su ogni aspetto dei controlli, affinata proprio con le singole tipologie di giochi, consentiva di ricostruire una plausibile esperienza in prima persona completa di tutti i dettagli. System Shock o Deus Ex erano ibridi tra adventure narrativi, stealth, FPS e pura esplorazione, se guardati con gli occhi “di genere”, oppure erano la simulazione giocabile di un dettagliato universo fantastico. Io preferisco di gran lunga la seconda definizione.

Quello che Spector ha detto e fatto nella sua carriera non ha rivoluzionato il mondo dei videogiochi. Qualcuno lo trova anche un po’ spocchioso, specie quando dice di aver voluto umiliare i colleghi dell’epoca con un progetto ritenuto impossibile.

Warren Spector

Oggi i paladini si chiamano Prey e System Shock 3, e sempre alla GDC Spector ha menzionato Arkane come lo studio più vicino allo spirito di Looking Glass

L’ha detto anche alla GDC, e forse è anche per quest’aura di superiorità che, almeno una volta, ho sentito la controversa tesi (o bestialità, a seconda dei punti di vista) secondo cui Warren Spector avrebbe avuto solo fortuna nel rocambolesco sviluppo di Deus Ex, e che i risultati di Invisibile War ne sono stati la plastica dimostrazione. Io credo invece che il merito di quel che ha realizzato negli anni ’90 si trovi un po’ ovunque, se non altro come principale punto d’inizio di tutte contaminazioni moderne fra narrativa, azione in prima persona e approcci di ruolo (o anche solo “realistici”, per quel che davvero interessava a Spector). Pochi titoli, tuttavia, riuniscono i vari aspetti nel modo che ho descritto sopra, e anzi il tono dominante – e piacevole, su questo non si discute nemmeno – del fenomeno gaming è rimasto ben saldo alle radici del passato, nell’amore per i generi e persino nel modo di fruire i videogame. Ai massimi livelli, come in The Witcher 3 o, oggi, nel nuovo Zelda, tutte le migliori pratiche del passato possono confluire in aggiornatissimi universi open world, e tuttavia rimangono ben chiare – anche nel linguaggio – le origini di quel particolare genere attraverso i decenni. Dal canto loro, System Shock e Deus Ex erano quasi opere di rottura, che alla fine non hanno rotto nulla ma hanno aperto, per la mia gioia, alle tipologie di esperienze che tutt’ora preferisco in assoluto.

Oggi i paladini si chiamano Prey e System Shock 3, e sempre alla GDC Spector ha menzionato Arkane come lo studio più vicino allo spirito di Looking Glass: ha chiamato affettuosamente “my old guys” il gruppo al lavoro su Prey, precisando che metà di loro – già membri del team originale di Dishonored – ha messo mano alle sue opere più importanti. Ha ricordato le visioni più estreme di Harvey Smith (oggi in Arkane Studios) durante lo sviluppo di Deus Ex, e anche qui è sembrato di assistere a un’investitura in piena regola, al di là del fatto che Spector è personalmente impegnato nella supervisione di System Shock 3 con OtherSide Entertainment. Per quel che mi riguarda è una bellissima stagione, spero solo di non dover aspettare troppo per averne un’altra.

Chiudo, più che altro per onestà intellettuale, precisando che Warren Spector ha di nuovo riservato parole poco gentili sulla VR. “Sono sopravvissuto all’ultima volta che la realtà virtuale doveva salvarci“, ha detto (il riferimento, probabilmente, è agli esperimenti commerciali anni ’90, come il VFX1 Headgera) per poi spiegare più compiutamente, in risposta a una domanda sull’utilizzo del codice sorgente di Deus Ex, che le esperienze di ampio respiro non sono troppo adatte alla pratica della Realtà Virtuale. Io che mi sono ammazzato di Elite Dangerous in VR non sono d’accordo, chiaramente, ma me ne farò una ragione.

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